
La scoperta dei qanat, noti anche come kariz, rappresenta senza dubbio una delle più grandi invenzioni dell’antichità, un vero e proprio capolavoro di ingegneria idraulica che ha profondamente influenzato la storia delle società umane nelle regioni aride e semiaride del Vicino e Medio Oriente. I qanat sono un sistema di gallerie sotterranee, spesso lunghissime, scavate per intercettare le falde acquifere collinari e convogliare l’acqua in superficie grazie alla sola forza di gravità. Questi enigmatici buchi che si scorgono nel terreno, oggi spesso oggetto di meraviglia e interrogativi, sono in realtà i pozzi verticali di accesso e aerazione che punteggiano il percorso sotterraneo del canale principale. Il sistema di Gonabad, nell’odierno Iran nord-orientale, rappresenta uno degli esempi più antichi e meglio conservati: risale infatti a circa 3.000 anni fa, ovvero intorno al 1000 a.C., ben prima delle celebri guerre tra Greci e Persiani (V secolo a.C.), collocandosi all’epoca della civiltà achemenide e forse persino precedente.
La mancanza di laghi e di grandi fiumi costrinse i primi abitanti dell’altopiano iranico ad insediarsi tra le pendici delle montagne, dove le piogge, che erano più frequenti rispetto al resto del territorio, e lo scioglimento delle nevi incrementavano le falde e le sorgenti pedimontane. Ciò accadeva tra il II e il I millennio a.C. dove la vita, ancora più nomade che stanziale, ruotava esclusivamente intorno all’allevamento.
Fu solo grazie alla geniale invenzione dei qanat che si poterono formare i primi veri e propri insediamenti urbani, lontani dalle impervie e disagevoli montagne, dove l’agricoltura, e successivamente l’artigianato, divennero le attività sociali ed economiche predominanti.
Il qanat è un acquedotto sotterraneo per il trasporto dell’acqua dalle falde montane fino al sito desiderato. Nell’altopiano si stima che nel corso degli ultimi tre millenni siano stati scavati circa 200.000 chilometri di tunnel, con qanat lunghi mediamente tra i 30 e 60 chilometri; ma ne esistono anche di dimensioni maggiori. Desta curiosità constatare come dal termine qanat derivino anche i nostri “canna” e “canale”.
L’esattezza di queste informazioni è confermata da numerosi studi archeologici e storici, tra cui quelli condotti dall’UNESCO, che ha riconosciuto il qanat di Gonabad (Qanats of Gonabad) come Patrimonio Mondiale dell’Umanità nel 2016. La lunghezza totale dei canali di Gonabad supera i 33 chilometri e la profondità massima dei pozzi raggiunge i 300 metri, un dato impressionante considerata la tecnologia dell’epoca. I qanat si diffusero rapidamente in tutto l’Impero Persiano, arrivando fino al Nord Africa, alla Penisola Arabica, all’Asia Centrale e persino al Sud della Spagna, dove sono noti come “acequias”. La loro funzione era cruciale: permettevano l’irrigazione dei campi, la sopravvivenza delle città e delle carovaniere nel deserto e la creazione di veri e propri giardini paradisiaci — come i celebri “paradiso persiani” (pairidaeza), da cui deriva il termine “paradiso”.
Il valore archeologico dei qanat si coglie anche nella loro struttura ingegneristica: la pendenza minima del canale principale, calcolata con perizia millimetrica, impedisce sia l’erosione che il ristagno, mentre i pozzi verticali, disposti a intervalli regolari, consentono la manutenzione e la ventilazione del condotto. Strumenti come la “libella” (una specie di livello a bolla) e la corda graduata erano utilizzati dagli antichi ingegneri persiani per garantire la corretta inclinazione. La costruzione di un qanat era un’opera collettiva, guidata da maestranze specializzate chiamate “muqannis”, figure che ancora oggi godono di grande rispetto nelle culture locali.
A livello comparativo, i qanat iraniani possono essere messi a confronto con altri grandi sistemi idraulici antichi: le gallerie d’acqua degli Etruschi in Italia, i sistemi di acquedotti romani, i foggaras algerini, i falaj dell’Oman. Tuttavia, nessun altro sistema ha avuto la stessa longevità e adattabilità dei qanat: molti sono ancora in funzione dopo millenni, a testimonianza della loro straordinaria efficacia. ?️
Sul piano sociale e culturale, la presenza dei qanat ha modellato la vita delle comunità: la condivisione dell’acqua era regolata da norme severe, spesso codificate in leggi consuetudinarie che sancivano il diritto di accesso e l’obbligo della manutenzione collettiva. Attorno ai pozzi principali si sviluppavano leggende e racconti: si dice che nei qanat di Gonabad vivessero spiriti protettori, i “piri”, incaricati di vegliare sull’acqua e punire chi avesse osato inquinarla o sprecarla. Le città nate lungo i qanat, come Yazd, Kashan, e la stessa Gonabad, sono celebri per la loro architettura adattata al clima desertico, con torri del vento (badgir), cisterne (ab-anbar) e giardini (bagh) alimentati dall’incessante flusso d’acqua sotterranea.
L’eredità dei qanat si ritrova anche nella toponomastica e nei miti locali: si narra che il re persiano Ciro il Grande (VI secolo a.C.) avesse ordinato la costruzione di qanat per sostenere le sue campagne militari e per fondare la celebre città di Pasargadae. Alcuni racconti popolari attribuiscono invece l’invenzione dei qanat a figure semidivine, come Jamshid o Zoroastro, sottolineando il valore quasi sacro dell’acqua in una terra assetata. Le cronache greche, come quelle di Erodoto, descrivono con ammirazione la “sapienza degli Orientali” nel domare il deserto grazie a questi canali invisibili, mentre gli storici arabi medievali, come Al-Muqaddasi e Al-Hamadani, ne hanno tramandato la tecnica fino ai giorni nostri.
Numerose ricerche recenti, tra cui gli studi dell’archeologo italiano Paolo Matthiae e dell’iraniano Hassan Fazeli Nashli, hanno permesso di mappare centinaia di qanat ancora funzionanti e di comprenderne l’evoluzione tecnologica attraverso i secoli, mettendo in luce anche i rischi attuali dovuti all’abbandono, all’inquinamento e alla sovrapompaggio delle falde. La protezione e il restauro di questi siti sono oggi al centro di progetti internazionali che coinvolgono università, enti locali e organizzazioni come l’UNESCO.
In sintesi, il qanat non è solo una straordinaria testimonianza della capacità umana di adattarsi all’ambiente, ma anche un simbolo di cooperazione sociale, di resilienza culturale e di dialogo tra popoli. La sua presenza nelle leggende, nei paesaggi e nella memoria collettiva dell’Asia e del Mediterraneo ne fa uno dei tesori più preziosi e meno conosciuti della nostra storia. ?? #archeologia #qanat #antichità #Iran #PatrimonioMondiale #acqua #ingegneria #StoriaAntica #Gonabad #leggende #cultura
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Milanesi