

Nell'immaginario comune la Puglia è ricordata come la terra
del sole, conosciuta per le sue spiagge coi due mari che le fanno
da contorno, l'Adriatico e lo Ionio, per le bellissime giornate
dai cieli tersi e "caldi", per i trulli e per l'ottimo
cibo.
Ma non tutti sanno che anch'essa vanta una tradizione mistico-esoterica
non indifferente!
Calcando le vestigia degli antichi padri di questa rigogliosa terra
del Sud è possibile tracciare un interessante itinerario
di luoghi più o meno "misteriosi", sede di culti
pagani o di reminiscenze orientaleggianti che fa capo a una delle
zone più belle da un punto di vista naturalistico e più
suggestive da un punto di vista storico-archeologico.
Il Gargano è uno splendido promontorio che si estende lungo
il tacco dello stivale d'Italia e si affaccia sul Mare Adriatico.
A guardarlo da lontano la sua particolare forma farebbe probabilmente
pensare a una formazione vulcanica ma buona parte del suo territorio
è caratterizzato da strutture carsiche che hanno favorito
il proliferare di grotte e caverne ed è coperto da un'estesa
foresta che prende il nome di Foresta Umbra.
Di primo impatto sembra presentarsi come un territorio arcigno e
inospitale ma il suo fascino consiste proprio nelle forme frastagliate
delle curve montuose e nell'aspetto primitivo delle sue terre.
Fin dall'antichità è stato abitato da popolazioni,
prima pagane e poi cristiane, che hanno utilizzato le sue caverne
come rifugi, templi o luoghi di culto ed è stato spesso decantato
per le sue bellezze paesaggistiche da nomi eminenti della classicità
storica e letteraria.
I reperti archeologici attestano una sicura presenza umana sul territorio
fin dalla Preistoria, in particolare gli scavi hanno portato alla
luce una serie di reperti litici sotto forma di utensili appartenenti
tanto all'epoca Neolitica che a quella Paleolitica, datati a circa
30.000/40.000 anni fa. Elementi rappresentativi del passaggio di
popolazioni mesopotamiche, anatoliche e greche sono la venerazione
di miti eroici, i riti dell'acqua salvifica e le diverse forme di
culto come quelle di Mitra, Michael e Mercurio.
Uno dei posti più suggestivi e ricchi di mistero del Gargano
è sicuramente Monte Sant'Angelo, un paese che si staglia
all'apice del promontorio (a circa 800 mt) e che ha suscitato da
sempre un enorme fascino nelle popolazioni "straniere".
La sua collocazione rientra nella logica delle formazioni carsiche
ed è rappresentativa di una delle più antiche cave
di tutta la zona.
L'elemento di maggior attrattiva, presso le popolazioni circostanti
e non, fu sicuramente la chiesetta che fu ricavata all'interno della
grotta e che fu consacrata nel 493 all'arcangelo Michele, in seguito
all'apparizione al vescovo di Siponto.
Come le altre zone del Gargano questo santuario è in particolar
modo invischiato in antiche storie di magia, riti sacri e pagani
e mitologia.
Alla figura divinatoria dell'Iliade, ovvero Calcante, sarebbe dedicata
la parte anteriore del santuario che, per altro, in epoca Paleolitica
era già sede di insediamenti umani che beneficiavano del
volere divino attraverso riti sacri. Il santuario si colloca sul
monte Drion, monte delle querce che, se rimanda da un lato all'influsso
di correnti celtiche, dall'altro ricorda il culto del Podalirio.
Sembra infatti che questa zona fosse provvista di un'acqua salvifica
utilizzata in detto culto per la guarigione di esseri umani e di
animali.
La grotta è profonda 60mt e offre resti di un'arte antica,
frutto della maestria di artigiani illustri che si manifesta attraverso
affreschi e iscrizioni che arricchiscono le pareti e il pavimento
sottostante. Molti degli antichi visitatori inoltre lasciavano segni
testimoni del loro passaggio, la maggior parte senza alcun significato
particolare, magari scarabocchi o l'incisione del proprio nome.
Ma quattro epigrafi appaiono scritte in caratteri molto diversi
dall'alfabeto tradizionale greco o latino. Si tratta delle famose
rune, segni utilizzati nelle isole Britanniche tra il VI e il IX
secolo.
La funzione delle rune è ben diversa da quella delle lettere
dell'alfabeto comune. Esse non servivano per scrivere testi o come
elementi minimi di un significato più vasto. Essere erano
già di per sé significanti, alla stregua di un'intera
parola. Avevano carattere molto spesso iniziatico o un utilizzo
magico-sacrale. Appaiono senza alcuna curva, sotto forma di segni
angolari e spigolosi, al fine di essere tracciate su supporti di
materiale diverso, quali le pietre, il legno o altri elementi della
natura. Tali segni rimandano all'antica saggezza druidica di tradizione
celtica e contengono frammenti di una scienza a noi sconosciuta,
che considerava l'uomo nel suo aspetto bipolare di corpo e anima.
Tali cognizioni erano a fruizione di pochi eletti che entravano
a far parte di una sorta di "casta" sacerdotale (ma non
solo) dopo un apprendistato durato circa 20 anni.
La zona del santuario è ricordata anche da Strabone come
luogo di antichi culti: "Nel territorio della Daunia, su
un monte chiamato Drion esistono due templi: uno sulla sommità,
dedicato a Calcante, e l'altro, sulla parte più bassa, a
cento stadi dal mare, dedicato a Podalirio."
La grotta dedicata all'arcangelo Michele diventa così luogo
di incrocio di culture, religioni ed etnie diverse.
Per quello che riguarda la sua storia si apprende sia stata luogo
di apparizioni mistiche almeno tre volte.
La leggenda racconta che un vecchio contadino si aggirasse nei pressi
della cava alla ricerca di un toro (simbolo di fetilità)
che era scappato dal resto della mandria e, trovatolo nella grotta,
gli scagliò una freccia contro. Questa, però, anziché
colpire la bestia tornò indietro a colpire l'uomo. Questo
evento sarebbe stato considerato un segno misterico dal vescovo
di Siponto che si recò sul luogo dove l'arcangelo si manifestò
dichiarandosi effettivamente il responsabile del misfatto con tali
parole:
"Io sono l 'Arcangelo Michele e sto sempre alla presenza
di Dio. La caverna è a me sacra, è una mia scelta;
io stesso ne sono il vigile custode... Là dove si spalanca
la roccia possono essere perdonati i peccati degli uomini... Quel
che sarà qui chiesto nella preghiera sarà esaudito.
Va', perciò, sulla montagna e dedica la grotta al culto cristiano".
Ma, poiché il luogo aveva ospitato culti pagani, il vescovo
esitò non poco prima di consacrare la grotta.
In un secondo un aneddoto la chiesetta sarebbe sì stata spesso
utilizzata dalle popolazioni primitive come culto di riti pagani
ma, poi, consacrata nel 493 dal vescovo di Siponto per premiare
la cittadina che aveva saputo resistere a un'incursione barbarica
grazie alla premonizione dell'arcangelo assicurante la vittoria
sui nemici.
Quando il vescovo, secondo la tradizione storica, si decise così
a consacrare la grotta all'arcangelo questi gli apparve per dichiarare
che egli stesso l'aveva già fatto. Il vescovo organizzò
così una processione durante la quale si verificarono eventi
straordinari: alcune aquile, durante il cammino dei monaci, li protessero
con le loro ali dai raggi cocenti del sole (era Settembre). Quando
giunsero alla grotta vi trovarono con grande sorpresa un altare
coperto da un mantello color porpora e, nella pietra, l'impronta
del piede di un bambino, segni soprannaturali lasciati dal Santo
come reliquie.
Un'altra apparizione non ben testimoniata sarebbe avvenuta alla presenza di Enrico II che volle trascorrere una notte da solo nella grotta.
Della terza sarebbe stato invece testimone l'arcivescovo Piccinelli
che ne l 1656 si trovò a dover debellare un'orrida ondata
di peste che travolse tutto il Mezzogiorno.
Fu così che implorò l'arcangelo di mettere fine alla
peste. Egli avrebbe ascoltato le sue preghiere suggerendogli di
prendere delle pietre dalla cava, di segnarle con una croce e di
darle ai malati come talismano finalizzato alla guarigione. I documenti
storici dell'epoca attesterebbero che le cose andarono esattamente
a buon fine e che, non solo i malati della zona, ma chiunque riuscisse
a entrare in possesso di una pietrolina guarì dalla peste.
Come ringraziamento l'arcivescovo volle veder costruire nella piazza
del paese una statua in onore a S. Michele che porta la seguente
iscrizione in latino:
AL PRINCIPE DEGLI ANGELI
VINCITORE DELLA PESTE
PATRONO E CUSTODE
MONUMENTO
DI ETERNA GRATITUDINE
ALFONSO PUCCINELLI
(1656)
In realtà pare che l'utilizzo di talismani simili sia riconducibile
ad antichi culti pagani che i monaci cercarono di arginare senza
risultati, esattamente come avvenne per la venerazione dell'acqua
salvifica che filtrava attraverso la grotta per finire in un piccolo
pozzo.
Inoltre lo studioso Aldo Tavolato avrebbe identificato su alcune
simulacri della chiesetta l'"omphalos", ovvero la triplice
cinta, simbolo ricco di riferimenti di tipo ermetico.
Sempre su una lapide, in alto a destra rispetto alla porta d'ingresso
della chiesetta si trova un'iscrizione che recita: "Terribilis
est locus iste hic domus est dei et porta coeli" (questo
è un luogo terribile, è la casa di Dio e la porta
del cielo).
Così la grotta dal culto micaelico e la relativa cittadina
di epoca medievale divennero ben presto un crocevia per pellegrinaggi
dai posti più disparati del mondo e per scambi commerciali
e culturali non indifferenti. In particolare questa misteriosa zona
del Mezzogiorno suscitò attrazione nei popoli Longobardi
che videro nella figura dell'arcangelo Michele una trasposizione
del loro dio della guerra Wotan, che l'iconografia classica definiva
dotato di spada e scudo, simile a un guerriero. La grotta sacra
infatti custodisce al suo interno una statua di marmo scolpita da
Andrea Sansovino rappresentante il santo in atteggiamento di guerriero
vittorioso mentre calpesta un essere mostruoso. Questo cimelio è
custodito in un'urna d'argento e cristallo di Boemia.
I longobardi ne fecero così tappa importante della famosa
"Via sacra Longobardorum" che si snodava da Benevento
lungo l'antica Via Traiana, fino a san Severo di Puglia e infine
a Monte Sant'Angelo.
La consacrazione del posto, rifugio nel X secolo per i cristiani
contro gli avamposti bizantini, rese necessario pensare a strutture
che potessero ospitare i pellegrini, per cui l'antico quartiere
Junno, ancor oggi visibile e caratteristico per la molteplicità
di palazzotti bassi con porta centinata sormontata da un unico piccolo
balconcino, fungeva da nucleo centrale da cui si sarebbe poi sviluppato
il resto del paese in tempi più recenti. Le cinta murarie
del paese testimoniano la presenza normanna e quella aragonese.
Inizialmente il santuario e il villaggio costituivano due nuclei
separati ma, dopo la costruzione della prima cinta muraria nell'XI
secolo, la rivalità tra popolo civile e popolo religioso
fu estinta quasi del tutto, mentre quella che fu la parte costruita
nel XIII secolo, la terza cinta muraria, è ancora relativamente
visitabile.
Si vocifera ancor oggi che, durante particolari notti, nel santuario
di Monte Sant'Angelo si sprigionerebbero forze sovrumane e alcuni
abitanti del luogo avrebbero assistito a strane apparizioni. Sicuramente
la bellezza paesaggistica del posto e la suggestione delle numerose
testimonianze artistiche all'interno della grotta (statue, affreschi,
pitture su legno, la cattedra di Acceptus e icone in bronzo del
santo) scatenano la fantasia popolare. Ma la storia sembrerebbe
suggellare la magia di questa zona che conserva alcune tra le tracce
più antiche e variegate di tutta Italia e, quindi, credi
e apparizioni sembrano legittimati in modo quasi incontestabile.
di Paola Mastrorilli
nyamh@libero.it




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