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3 Marzo 2004 MISTERO
Roberto Volterri
Metallurgia Celeste
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Dal Dodecaedro di Tongeren, testimone, forse, di una scienza sacra appannaggio dei druidi, all'alluminio e ferro inossidabile dell'antico oriente, gli antichi mostrano ancora una volta di essere possessori di una sbalorditiva conoscenza "fuori contesto".

Gallia.54 a.C. Un prigioniero dell ' esercito degli Eburoni suggerisce che in sole tre ore, secondo quanto annotato da Caio Giulio Cesare nel Libro VI del suo "De bello gallico", i soldati "...avrebbero potuto raggiungere la cittadina di Atuatuca dove le truppe dei Romani avevano ammassato tutti i loro averi".
Ma se oggi cercassimo Atuatuca, difficilmente la troveremmo su qualsiasi atlante geografico. Dovremmo cercare invece Tongeren, il nome moderno di quella cittadina delle attuali Fiandre, nella provincia del Limburgo. Ma perchè cercarla? Forse perchè è la più antica cittadina del Belgio? No di certo.
E allora, perchè ci si dovrebbe interessare ad una pur suggestiva località che in un lontano passato fu teatro di imprese belliche tra le truppe di Cesare, i Germani e popoli ormai quasi dimenticati come gli Eburoni - con il loro capo Ambiorix - o i Condrusi?
Perchè a Tongeren - appunto l'antica Atuatuca Tungorum - nel centro storico, a breve distanza dalla bella Basilica di Notre-Dame c'è l'interessante Museo gallo-romano, edificato proprio su quello che fu il sito di una lussuosa villa romana. Qui, in una vetrina, è conservato un piccolo oggetto in bronzo pesante circa duecento grammi - verosimilmente frutto dei locali 'metallurgisti' - datato al V secolo d.C., probabilmente celtico e sicuramente... incomprensibile! Fu rinvenuto durante scavi archeologici effettuati alla fine dell'800 vicino al fiume Cher, nel Nivernese.

 Una riproduzione in oro del 'Dodecaedro di Tongeren'.

Non è un unicum: mi risulta, infatti, che esistano altri oggetti molto simili a quello di Tongeren, rinvenuti al di là della Loira, nella Frisia olandese e anche nella contea di Pembroke, nel Galles. Altri sono stati rinvenuti ad Arles e sulle rive del Danubio. Quasi tutti, comunque, in aree dominate dal culto druidico...
Si tratta di un Dodecaedro - uno dei cosiddetti 'Solidi Platonici' , su cui torneremo più avanti - che mostra su ciascuna delle sue dodici facce un foro, di diametro diverso a seconda della faccia su cui è praticato. E, per complicare le cose e la vita di noi poveri archeologi, presenta una piccola sfera in corrispondenza di ciascuno spigolo.
Cos'era? A cosa serviva? Forse era una sorta di dado per un gioco di cui non sono state tramandate le regole fino ai nostri giorni? Abbastanza improbabile. E poi, a cosa servirebbero le diverse aperture circolari? E le sferette?
Allora è chiaro: era la testa di un'arma simile ad una mazza. Quasi impossibile. Non lo avrebbero realizzato cavo, quindi facilmente deformabile e poco 'offensivo' nonostante la presenza delle strane sfere. Finalmente abbiamo la soluzione: era il solito... 'oggetto di culto' con cui ogni archeologo in difficoltà - e a corto di 'solidi' argomenti - nasconde il proprio imbarazzo nello spiegare la presenza di oggetti, vari manufatti, prodotti dell'umano e antico ingegno che non trovano immediata (ma che fretta c'è?) collocazione nell'universo delle nostre conoscenze.
Sarà, ma anche quest'ultima spiegazione non mi convince del tutto: fornisce però lo spunto per ulteriori riflessioni. Qualche ipotesi - solo ipotesi! - forse mi è consentito avanzarla, almeno riguardo la possibilità che il 'Dodecaedro di Tongeren' sia stato concepito come oggetto legato in qualche modo al "mondo delle idee", ad una concezione 'magica' del Cosmo intero, ad un tentativo di rappresentare il mondo reale per cercare, forse, di influenzarlo. Partiamo da molto lontano, da Platone.

 I cinque Solidi Platonici, tratti da una illustrazione del XV sec. in cui si evidenzia lo stretto rapporto tra forma geometrica e gli elementi che compongono la Natura.

I cinque Solidi Platonici
"...E li platonici assomigliano quattro solidi regulari a questi quattro elementi [Aria, Acqua, Terra, Fuoco. N.d.A.], et il quinto al Cielo...Il Dodecaedro al Cielo perchè come il cielo è più ampio di tutti gli elementi, et abbraccia ogni cosa, così il Dodecaedro è il più grande de cinque solidi chiusi intra una spera, et può circoscrivere ogn'uno de l ' altri, come Hypsicle demostra nelli Anaphorici...".
Così si esprime il matematico e filosofo Francesco Maurolico (1494-1575) nella sua 'Cosmographia' trattando dei Solidi Platonici. Ma perché un solido regolare come un Dodecaedro veniva assimilato all'intero Universo?
Perchè in antico ci si era già resi conto di quanto fossero rare figure solide dotate di simmetria, comparabili con i poligoni regolari della geometria piana.
Solo cinque sono i poliedri regolari che la geometria solida offriva a chi cercava strette analogie tra il mondo delle idee, l'universo matematico e l'Universo fisico.
Anche se Euclide, nel XII libro della sua opera 'Elementi' , si mostra di opinione contraria, è a Platone che viene attribuita la scoperta - base della sua cosmogonia - dei solidi simmetrici che da lui hanno appunto preso il nome: il Cubo, il Tetraedro, l'Ottaedro, il Dodecaedro e l ' Icosaedro.
"... E prima di tutto, che Fuoco e Terra e Acqua e Aria siano corpi, è chiaro ad ognuno. Ma ogni specie di corpo ha anche profondità...Restava una quinta combinazione (dopo aver esaminato la composizione 'geometrica' degli altri solidi regolari - N.d.A.) e Dio se ne giovò per decorare l'Universo", scrive Platone nel Timeo (XX, 55) associando la "quinta combinazione" - il Dodecaedro - all'intero Creato o ad una sorta di etere che dovrebbe pervaderlo tutto.
Enorme fu la fortuna che questi cinque 'Solidi Platonici' trovarono nella cultura occidentale. Piero della Francesca ne trattò nel suo 'Libellus de quinque corporibus regolaribus' e il grande matematico Luca Pacioli affrontò l'argomento delle cinque figure solide regolari e della loro corrispondenza con alcuni elementi della Natura nel suo 'De Divina Proportione'. Senza dimenticare ovviamente Keplero e le due sue opere 'Harmoniae mundi', del 1619, e 'Mysterium Cosmographicum' di poco posteriore, opera nella quale si sforza di 'giustificare' i movimenti dei pianeti con le caratteristiche geometriche dei 'Solidi Platonici' : "...La Terra è la sfera che misura tutte le altre. Circoscrivi ad essa un Dodecaedro: la sfera che lo comprende sarà Marte. Circoscrivi a Marte un Tetraedro: la sfera che lo comprende sarà Giove. Circoscrivi a Giove un cubo: la sfera che lo comprende sarà Saturno...", e così via.
I solidi geometrici regolari, i 'Solidi Platonici' - ma soprattutto il nostro Dodecaedro - assursero quindi a modello matematico per cercare un collegamento tra Macrocosmo e Microcosmo, poichè le idee che si avevano sull'infinitamennte grande si riflettevano, in alcuni casi, nell'infinitamente piccolo (o meglio, in quello che allora era considerato tale!), soprattutto in alcune manifestazione del 'Regno Minerale'. Per quanto riguarda il Dodecaedro, estremamente interessante appare infatti - al fine di poter avanzare qualche plausibile ipotesi, nell'ottica sopra esposta, riguardo il reperto di Tongeren - il constatare come nella Magna Grecia, soprattutto in Sicilia, fossero stati rinvenuti molti cristalli di Pirite con struttura quasi perfettamente dodecaedrica. Cristalli a cui ci si potrebbe essere ispirati per aver conferma della stretta corrispondenza tra 'ciò che è in alto' e 'ciò che è in basso'.

 L'enigmatica "Iron Pillar", Delhi (India), alta sette metri, ha un diametro di circa quaranta centimetri e venne realizzata in ferro purissimo, ma in un epoca talmente remota da rappresentare un reale mistero per la metallurgia antica. Infatti non arruginisce.
E ancor più interessante appare l'aver rinvenuto in alcuni siti archeologici italiani oggetti in forma dodecaedrica, databili al VI secolo a.C.

Ausilio didattico?
Dunque, perchè non ipotizzzare che il 'Dodecaedro di Tongeren' abbia svolto un ruolo simile a quello del ben più famoso 'Fegato di Piacenza' utilizzato dagli aruspici etruschi per 'divinare' e verosimilmente per insegnare ai discepoli l'etrusca disciplina? Perchè non ipotizzare che esso - se è attendibile la sua attribuzione alla cultura celtica - sia stato usato dai sacerdoti, dai Druidi, per spiegare ai discepoli l'origine del mondo osservabile, la struttura stessa del Creato?
Forse nei fori con diverso diametro del 'Dodecaedro di Tongeren' venivano introdotte sfere rappresentanti alcuni corpi celesti? Forse esso era qualcosa di simile al curioso gioiello realizzato con fili d'oro che i saggi tibetani - fin dal VI secolo a.C - utilizzavano per illustrare la nascita della Materia dal 'Caos primigenio', il concetto di "Uovo Cosmico", le due opposte polarità del Bene e del Male.
Di più non saprei dire - al momento - riguardo lo stranissimo reperto del Museo gallo-romano di Tongeren. Sperando solo che non ci accada quel che - secondo Giamblico - accadde al pitagorico Ippaso di Metaponto, il quale fu inghiottito dal mare perchè ritenuto reo di aver svelato il segreto della sfera circoscritta a un Dodecaedro!

Ferro inossidabile
La metallurgia antica non ha però esaurito i suoi argomenti. Altri reperti attendono risposta da una scienza che ancora non sa interpretarli.
India, Delhi. V secolo d.C. Qui, attraversata la più antica moschea indiana - la Quwwat - ul - Islam masjid - ci appare tuttora, una maestosa colonna di ferro, alta ben sette metri, infissa nel terreno molto, molto tempo fa. Nulla di strano, dunque. Sembrerebbe far parte di una struttura ormai andata distrutta, è di ferro, è imponente, ma è pur sempre una semplice colonna.
E invece no, perché si tratta di una particolarissima colonna cui, negli ultimi sedici secoli (forse dal 413 d.C) nessun accenno di ruggine ne ha intaccato la superficie nonostante sia stata tormentata da infinite piogge e altrettanti venti monsonici. Anzi, essa appare incredibilmente liscia e quasi splendente, come se venisse giornalmente lucidata! Qualcuno sostiene che fu realizzata con tanti piccoli tasselli uniti tra loro per saldatura, ma la cosa è dubbia. Solo recentemente le mani dei fedeli, che la toccano quotidianamente quale segno di fortuna, hanno causato l'apparizione di sospette macchie bianche sulla zona inferiore. Questo strano cilindro di ferro purissimo - contenente però una percentuale di fosforo 'anomala', ed è questo il suo millenario segreto - ha un diametro di circa quaranta centimetri, fuoriesce dal terreno per sette metri, ma non siamo certi di quanto si estenda la parte non visibile - e peserebbe oltre sei tonnellate. Alla sua base è stato inciso l'epitaffio del re Chandra Gupta II, deceduto appunto nel 413 d.C.
Ma è probabile che essa sia stata realizzata molto tempo prima da espertissimi metallurgisti dei quali non c'è giunta notizia. Né di loro, né delle loro tecniche. Quale potrebbe essere stata la sua reale funzione moltissimi secoli or sono? Fu veramente una 'colonna' o faceva parte di una struttura ben più complessa che oggi non riusciamo ad immaginare? Perchè non sono stati rinvenuti altri manufatti con le stesse eccezionali caratteristiche metallurgiche?.

 Roberto Volterri con Gino Brambilla.

Alluminio in Cina
Cina. III secolo d.C. In questa lontana parte del mondo si svolgono i solenni funerali del generale Chou Chu (265-316 d.C.) appartenente alla dinastia Tsin occidentale, che ebbe il merito di unificare, temporaneamente, i vari regni in cui si suddivideva il vastissimo territorio cinese. Gli archeologi cinesi, verso la fine degli anni '50 del XX secolo scavano il sito in cui è situato il sepolcro del valoroso generale. Qui, tra ciò che resta dei sontuosi paramenti con cui Chou Chu venne sepolto, viene rinvenuta una strana fibbia. Strana non tanto per la pregevole fattura, quanto per l'incredibile materiale con cui venne realizzata. Esami metallografici eseguiti presso l'Istituto di Fisica Applicata dell'Accademia delle Scienze cinese hanno infatti appurato che la fibbia è composta dal 5% di Manganese, dal 10% di Rame - e fin qui tutto appare normale - e dall ' 85% di Alluminio!
E qui la vicenda rasenta veramente l'incredibile perchè il procedimento elettrolitico per produrre Alluminio dal minerale Bauxite è stato ideato nel 1808 e messo definitivamente a punto solo nel 1854! La vicenda appare stranissima soprattutto perchè per ricavare Alluminio dalla Bauxite non solo sono necessarie alte temperature (prossime ai 960°C) - facilmente raggiungibili anche in antico - ma perchè richiede l'impiego di corrente elettrica a bassa tensione ma ad altissima intensità di corrente, fino a 300.000 Ampère! Quindi, come venne prodotto l'Alluminio dello strano reperto cinese? La sua estrazione dalla Bauxite fu realizzata con un metodo che sfugge alla moderna tecnologia metallurgica? Metodo, forse, ben più semplice ed economico.

 L'enorme mantice utilizzato per i primi esperimenti di metallurgia etrusca.

Archeometallurgia etrusca
Spostiamoci ora in aree geografiche a noi molto più vicine e accessibili, per tornare indietro nel tempo ed assistere ad un metallurgico esperimento...etrusco.
Isola d'Elba. Luglio 2001. Chi scrive queste note si reca sulla bellissima isola che vide l'esilio di Napoleone per partecipare ad alcune giornate di studio organizzate dall'Associazione Italiana di Metallurgia - del cui Comitato Tecnico per la Storia della Metallurgia chi scrive fa parte - per partecipare ad esperimenti sulle antiche tecniche utilizzate dagli etruschi per produrre ferro, partendo da minerali di Ematite, di cui l'Elba è particolarmente ricca.
Deus ex machina di questa serie di esperimenti è un 'redivivo' ... metallurgista etrusco, Gino Brambilla, Ispettore onorario per l'archeologia dell'Isola d ' Elba.
 Strumento didattico dei monaci tibetani usato per illustrare ai discepoli le diverse concezioni cosmogoniche.

Abbigliato come, verosimilmente, lo fu qualche suo lontanissimo antenato - anche se ebbe i suoi natali sul 'continente' e molto più a nord, come suggerisce il cognome! - Gino Brambilla, appassionato conoscitore di tutti i segreti degli antichi metallurgisti etruschi, ha realizzato alcuni forni per illustrare come fosse possibile produrre del ferro con mezzi relativamente semplici. E tutto ciò fino alla fine del I secolo a.C, un secolo dopo la conquista dell'isola da parte degli onnipresenti Romani. Purtroppo lo scorrere del tempo ha cancellato quasi del tutto gli originali forni e le antiche officine etrusche. Però qualcosa è rimasto e Gino Brambilla ha avuto la costanza di cercarne le tracce e la fortuna di trovarle. Nel V secolo a.C. gli etruschi avevano realizzato un centro per la produzione del ferro presso la loro fortezza edificata sul Colle S.Bartolomeo, nei pressi del paese di Chiessi. Non molto rimane di quegli antichi forni, ma qualcosa risalente al XII secolo - periodo della dominazione pisana - ben poco diverso dalle stutture utilizzate quasi sedici secoli prima, ha consentito all'energico sperimentatore di realizzare fornaci in stile etrusco e - portandoci idealmente indietro nel tempo - di farci rivivere i magici momenti in cui si riusciva a ricavare l'indipensabiole metallo partendo dalle inesauribili miniere di Ematite.
Tre grandi massi di granito, disposti a semicerchio - poggianti su un basamento di argilla - costituivano metà della struttura del forno; l'altra metà era realizzata con blocchetti di granito più piccoli che gli davano una forma praticamente cilindrica.
Apposite aperture consentivano l'uscita delle scorie di fusione, mentre un tubo di argilla, posto a circa mezzo metro d'altezza, provvedeva a convogliare nel forno l'aria prodotta da un grosso mantice. Si versavano nel forno alcuni chili di carbone di legna - mentre due volenterosi fuochisti muovevano il mantice - seguiti da manciate di Ematite frantumata. Quando si era certi che il forno non si sarebbe più spento - la temperatura interna raggiungeva i 1300°C - si riempiva il forno di carbone: dopo circa un'ora, quando la carica di carbone si era quasi dimezzata, si versavano nel forno circa dieci chilogrammi di Ematite triturata. Si ripetevano le operazioni più volte: dopo circa due ore iniziava la fuoriuscita delle 'scorie' , finché dopo dieci o dodici ore il minerale era del tutto ridotto.
Abbattuto il muretto di piccoli blocchetti di granito, si estraeva una sorta di 'spugna di ferro' - il cosiddetto blumo - che, frantumato in cinque o sei parti, lavorato alla forgia e con il martello, dava origine a lingotti di ferro con cui si realizzavano armi, attrezzi, utensili. Ma le cose - ben più di venti secoli fa - andavano proprio così?
è estremamente probabile: almeno questo ci garantiscono i testi di archeologia e questo, in sintesi, è ciò a cui ho assistito, mentre Gino Brambilla - l'etrusco elbano... acquisito - provvedeva a tutte le operazioni descritte...Tranne una.
Toppo faticoso azionare l'enorme mantice realizzato per l'occasione. Un potente... aspirapolvere - azionato 'al contrario' - lo ha efficacemente sostituito, in una suggestiva commistione di tecnologie antiche e... comodità moderne!

Le Pietre Geometriche di Huentelauquén
Il Dodecaedro di Tongeren non è l'unico manufatto che riporta a conoscenze matematiche e geometriche tipiche delle Accademie Platoniche dell'antichità. Abbiamo trattato in passato dei "Poliedri Litici" del Museo Ashmolean di Oxford risalenti al 2500 a.C. (cfr HERA n°15 pag.63). Sebbene si tratti di una data molto antica per concetti legati a valori aurei e matematici poi sviluppati e codificati almeno mille anni dopo in Grecia, non è la più antica. è invece nel Nuovo Mondo, in Cile, che troviamo i riferimenti più remoti a questo tipo di conoscenza. Le pietre geometriche della cultura Huentelauquén, rappresentano la più antica forma di codificazione di concetti matematici aurei e universali, risalendo infatti al 7500 a.C.
Un enigma archeologico che viene così descritto dall'antropologo e archeologo Juan Shobinger dell'Istituto Nazionale di Antropologia e Storia di Città del Messico: "nei trenta anni che sono trascorsi dai primi studi sul complesso archeologico di Huentelauquén non si è riusciti a risolvere gli enigmi posti dalle pietre geometriche: la loro origine, la loro funzione e la loro cronologia sorprendentemente antica nell'ambito di un gruppo di cacciatori andini teoricamente primitivi". I dubbi dello studioso sono legittimi. Noi reputiamo che solo la pre-esistenza di codici così complessi, risalenti chissà a quanto addietro nel tempo, può spiegare in epoca preistorica una tale conoscenza da parte di popolazioni appena uscite dall'era glaciale. Soprattutto, questi reperti rappresentano un indizio "solido" per chi considera la geometria sacra una conoscenza che proviene da tempi in cui un'altra cultura dominava il pianeta.

L'articolo è tratto da "Hera" numero 29 del Maggio 2002. Riproduzione autorizzata e limi-tata a questa occasione.

di Roberto Volterri
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