

L'ultima novità su Atlantide tira in ballo Troia. Ricerche
approfondite e studi molto seri, e un duro e lungo lavoro di scienziati
e ricercatori di varie discipline, sono alla base di una nuova teoria
secondo la quale il continente perduto di Atlantide deve essere
localizzato sulla collina turca di Hissarlik, dove sorgeva la mitica
città cantata da Omero nell' "Iliade". Se ci affidiamo,
sull' onda emozionale, a un giudizio superficiale e approssimativo,
questa idea può apparire azzardata o quanto meno provocatoria,
senz'altro bizzarra. Viene subito da chiederci: possibile che la
città dell'Asia minore governata dal re Priamo, assalita
e infine distrutta dagli Achei, sia proprio Atlantide? La prima
osservazione che arriva spontanea, quasi elementare, è questa:
Platone la descrisse come un'isola, e un'isola l' hanno sempre considerata
tutti gli studiosi che da Platone a oggi si sono occupati della
terra perduta. Troia, invece, si trova sulla terraferma. Com' è
possibile, quindi, sostenere questa teoria? Invece lo sostiene con
ricchezza di prove documentali, frutto di indagini scientifiche
e di ricerche storiche, il geoarcheologo, cioè esperto della
geologia dei siti antichi, Eberhard Zangger, svizzero di Zurigo.
Sicuro dell'assistenza della Stanford University e dal Deutsches
Archaologiches Institut dal 1984 al 1988, nel 1992 Zangger, che
aveva allora 36 anni, annunciò di essere riuscito dove migliaia
di saggi hanno fallito: fornire qualche prova della coincidenza
tra la favolosa isola scomparsa e un qualche luogo conosciuto della
nostra terra. Atlantide, si sa, è stata individuata in varie
parti del mondo: nell'oceano Atlantico, nel Mediterraneo, in qualche
isola dell'America latina, in Siberia, in Egitto, nelle isole di
Capo Verde, nello Yucatan, in Svezia, in Libia, nell'isola di Ceylon
o nel Madagascar. Nonostante le prove presentate dagli studiosi,
la certezza di una localizzazione sicura non c'è stata. Tanto
è vero che se ne discute ancora: anzi, quello della identificazione
di Atlantide è uno degli argomenti più affascinanti
e dibattuti dell'archeologia moderna. Eberhard Zangger dichiara
di poter dimostrare senza ombra di dubbio la coincidenza di Atlantide
con la città di Troia. La sua teoria, che ha già diviso
il mondo dell'archeologia, presenta un lato debole, proprio quello
relativo alla rivelazione fatta da Platone secondo la quale Atlantide
sarebbe stata un'isola o per lo meno su un'isola.
Il geoarcheologo svizzero elimina subito queste incertezze. Confortato
dal parere di molti linguisti, precisa che l'espressione "isola"
in greco antico si presta a molte interpretazioni. Infatti, tra
i tanti significati, poteva indicare anche una città in riva
al mare, com'era appunto Troia. Convinto di aver fugato ogni dubbio
sul punto debole iniziale della sua ricerca, l'archeologo svizzero
spiega come e perché ha iniziato il suo lavoro di indagine
sulla città che è a due passi del mar Egeo, poco a
sud dello stretto dei Dardanelli. Eberhard Zangger ha affidato la
sua teoria e le prove che ne dovrebbero confermare la validità
a un libro, "The Flood from Heaven: Deciphering the Atlantis
Legend", pubblicato contemporaneamente negli Stati Uniti da
Morrow di New York e a Londra da Sidgwick§Jackson, e poi in
Germania da Droemer Knaur di Monaco con il titolo "Atlantis:
Eine Legende wird entziffert". Subito divamparono polemiche
molto accese tra gli archeologi. Quelli tradizionalisti o classici
gridarono all'eresia: "Ancora uno studioso che racconta storie
incredibili su Atlantide; non è stato sufficiente l'esempio
disastroso di Heinrich Schliemann che con le sue teorie da principiante
ha fatto soltanto confusione e ha distrutto Micene?!". L'archeologo
inglese Anthony Snodgrass, che ha scritto la prefazione al libro
di Zangger, nonostante avesse detto che il paragone tra Atlantide
e Troia è valido, non sembrava completamente convinto delle
teorie del suo collega e amico. Se la cava dicendo che, secondo
alcuni, "la leggenda di Atlantide non pone alcun problema perché
non sarebbe altro che una fantasia di Platone, mentre secondo altri
il problema c'è, ma essi pensano di averlo già risolto".
Zangger è, naturalmente, fra coloro che credono di aver risolto
il problema. L'archeologo americano Curtiss Runnels accorse a dare
man forte a Zangger. Dichiarò, infatti: "La sua scoperta
avrà lo steso impatto sul mondo accademico delle scoperte
compiute da Schliemann più di cento anni fa". Lo scienziato
svizzero spiegò inoltre che "il suo libro è la
storia dei tentativi compiuti per decifrare le leggende di Atlantide
per mezzo della scienza moderna, le leggende e l'antica poesia".
Non era però tanto sicuro, Eberhard Zangger, di convincere
tutti. Infatti, aveva incluso nel suo libro un capitolo a parte
intitolato "Obiezioni e inconvenienti", con lo scopo di
rispondere subito, senza attendere le critiche che comunque arrivarono
numerosissime, a quelli che lo avrebbero contestato. L'obiezione
più importante, come aveva rilevato Richard Ellis nel suo
"Atlantide" (edizioni Corbaccio), è perché
così poche delle descrizioni di Troia corrispondano alle
caratteristiche di Atlantide. La risposta di Zangger è che
"molto di rado i testi antichi possono essere intesi alla lettera,
senza alcun adattamento e interpretazione e che, benchè Troia
non corrisponda alla descrizione di Atlantide come data, localizzazione,
grandezza e carattere insulare, coincide praticamente in tutto il
resto, almeno a quanto si può giudicare data l'incompletezza
della documentazione archeologica". Richard Ellis nega validità
alla tesi di Zangger: "Io credo che non concordando data, localizzazione,
grandezza e carattere insulare, non è possibile sostenere
che esista un accordo con la leggenda di Atlantide". E per
avvalorare la sua obiezione, cita quello che scrive Lyon Sprague
de Camp nel "Mito di Atlantide e i continenti scomparsi"
(edizioni Fanucci): "Non potete cambiare tutti i dettagli della
storia di Platone e poi pretendere che sia ancora la sua. Sarebbe
come dire che il leggendario re Artù era in realtà
la regina Cleopatra; basta cambiare il sesso, la nazionalità,
l'epoca, il temperamento, il carattere morale di Cleopatra: più
qualche altro piccolo particolare, e la rassomiglianza balza agli
occhi".
Eberhard Zangger sostiene che la "sua" storia di Atlantide
è un' antica narrazione egizia della guerra di Troia. Uno
dei primi esperimenti del geoarcheologo svizzero venne effettuato
a Tirinto, nel Peloponneso. Qui venne scoperto un deposito alluvionale
in pianura, non stratificato, alto qualche metro. Zangger accertò
che si erano verificati terremoti che potevano aver causato uno
smottamento; una volta instabile e in movimento, il fango fu probabilmente
raccolto dal torrente e accumulato davanti al primo ostacolo, il
poggio calcareo di Tirinto. Poiché, spiega ancora Zangger,
al tempo di questa catastrofe gli ateniesi erano in guerra contro
gli atlantidi, ne segue che la patria degli atlantidi, Atlantide,
doveva essere la stessa del grande nemico della Grecia micenea:
Troia. Zangger, annota ancora Richard Ellis, crede che il racconto
del conflitto fra Troia e Micene sia stato trasmesso dai sacerdoti
egizi del santuario di Sais al bisnonno di Crizia, il quale lo tramandò
ai suoi discendenti, che lo raccontarono a loro volta all'ateniese
Solone al quale si ispirò Platone. La storia di Atlantide,
conclude Ellis, sarebbe perciò una interpretazione egizia
della guerra di Troia. Molti particolari delle descrizioni della
Città d'oro, che Platone avrebbe ricavato da Solone, corrispondono
alle ricostruzioni storiche e archeologiche di Troia: dalla posizione
geografica, in prossimità di uno stretto marino e in un luogo
esposto ai venti del nord, alle opere portuarie, con un bacino interno
costruito utilizzando il corso modificato di due fiumi e protetto
contro la violenza del mare da una soglia sulla quale le navi venivano
fatte scivolare fino alla laguna interna, agli acquedotti e ai sistemi
di irrigazione. Opere pubbliche descritte accuratamente da Platone
che per secoli si è pensato non fossero alla portata dei
mezzi tecnici disponibili in età protostorica. Secondo Zangger,
invece, le scoperte archeologiche degli ultimi decenni hanno dimostrato
che già nel secondo millennio avanti Cristo si realizzavano
strutture perfezionate come quelle del tempo dei romani e si fondeva
già l'ottone, che sarebbe l'Orichalkos lavorato, sempre secondo
il filosofo greco, nella terra perduta. Gli scavi hanno indicato
che ha un qualche fondamento l'altra "meraviglia" tramandata
su Atlantide: l'esistenza di strade e di edifici coperti d'oro.
In alcuni siti dell'Asia minore sono state ritrovate chiare tracce
di polvere d'oro mischiata alla sabbia utilizzata per le costruzioni
e le pavimentazioni.
Nel tentativo di rafforzare le sue tesi, Zangger ammette che con
il nome di Colonne d'Ercole i greci conoscessero due stretti, uno
dei quali introduceva nel Mediterraneo e l'altro nel mar Nero. Proprio
questo secondo stretto sarebbero stati i Dardanelli: l'affermazione
si basa anche su una citazione dal poeta romano Servio, vissuto
intorno al 400 dopo Cristo: "Passammo per le Colonne d'Ercole
nel mar Nero oltre che in Spagna".
Tre anni dopo l'uscita del libro di Zanggen, venne pubblicato "The
Sunken Kingdom: The Atlantis Mystery Solved" dell'archeologo
inglese Peter James che dichiara, anche lui!, di aver risolto una
volta per sempre l'enigma di Atlantide collocandola in Turchia.
Non si tratta però di un tentativo di allineamento alle tesi
di Zanggen, perché James contesta il ricercatore svizzero:
"Un'Atlantide che non è sprofondata in mare non è
un'Atlantide". L'Atlantide di Peter James si trovava a una
cinquantina di chilometri dal porto di Smirne. In questo sito c'era
un lago che coprì un tempo la città di Sipilo che
in seguito venne ribattezzata Tantalus in onore del re anatolico
dello stesso nome. Nel sito del lago prosciugato, sostiene James,
si trovava la città di Sipilo. Secondo Pausania, scrittore
greco della seconda metà del secondo secolo dopo Cristo,
autore della "Descrizione della Grecia", proprio nei pressi
del monte Sipilo in Asia Minore, la città sarebbe "scomparsa
in un abisso apertosi nel terreno, e da una fenditura della montagna
scaturì acqua, che trasformò l'abisso nel lago Saloe;
si potevano vedere le rovine della città nel lago, fino a
quando il torrente non coprì persino le rovine". James
aggiunge che la storia di Atlantide arrivò alle orecchie
di Platone non tanto dall'Egitto attraverso i racconti di Solone,
quanto piuttosto dalla Lidia, l'attuale Anatolia. In realtà
si sa che Solone fu in Egitto, ma pare che sia del tutto fondata
anche la notizia del suo viaggio in Lidia, in visita al re Creso.
Conclude Peter James: "La prova di questa congettura su Atlantide
in Turchia potrà venire soltanto dagli scavi. Sapremo allora
anche se la città fu davvero distrutta da un terremoto, come
dicono Pausania, Plinio e altri. Il sito contiene promesse straordinarie,
come prototipo della città reale di Atlantide di Platone".
Peter James fu bersaglio di critiche da parte di molti suoi colleghi.
Uno per tutti, Nigel Soivey, in un articolo apparso l'8 dicembre
1995 nel "Times Literary Supplement" : "E' un deprimente
indice di miopia da parte di questo autore il fatto che quasi tutte
le obiezioni da lui stesso sollevate contro l'identificazione di
Santorini e Atlantide ad opera di Spyridon Marinatos si applichino
anche alla sua ipotesi. Le prove archeologiche a sostegno di un
regno di Tantalo sono pateticamente inconsistenti". Effettivamente,
nonostante la sua buona volontà, Peter James cercò
di compiere ricerche nel sito da lui indicato, ma non ha potuto
iniziare gli scavi, perché non ha mai ottenuto il permesso
dalle autorità turche.
Fin qui le polemiche nate dalle reazioni alle tesi avanzate da Eberhard
Zangger. Lui non se ne preoccupò. Anzi la appassionata diatriba
lo invitò a proseguire le sue ricerche.
Mentre la prima fase dell'operazione Atlantide-Troia, iniziata nel
1984, era terminata nel 1992 con la pubblicazione di "The Flood
from Heaven", la seconda fase, quella conclusiva, prese il
via in grande stile nel 1994. L'équipe di specialisti messi
a disposizione di Zangger dal Deutsches Archaologiches Institut
fu sostituita da una formazione nutrita di scienziati di molte discipline,
un'autentica task force. Era, infatti, sceso in campo l'Istituto
federale per le Scienze geologiche e le Materie prime di Hannover
con 800 uomini decisi a tutto, forti di un appoggio anche politico,
di un sostanzioso budget e di strumenti tecnici d'avanguardia. Tra
l'altro disponevano di speciali missili che sparati da un particolare
elicottero, si infilano nella terra a profondità finora mai
raggiunte. Il teatro delle operazioni si è spostato direttamente
a Troia per iniziare le ricerche sulla base delle indicazioni di
Zangger. Il 30 dicembre 1998 l'autorevole settimanale tedesco "Spiegel"
dedicava la copertina e dodici pagine alle ricerche di Atlantide-Troia,
rivelando la scoperta di prove clamorose. Da allora, il silenzio.
Sappiamo, comunque, che le ricerche continuano sulla collina di
Hissarlik, poco lontano dallo stretto dei Dardanelli. Quanto tempo
dovremo attendere prima di conoscere la verità sulla reale
importanza di questi scavi?
L'idea di Zangger è considerata "rivoluzionaria"
ancora oggi. Come sarebbe stata accolta la stessa idea un secolo
fa? Non è una domanda inutile, perché l'identificazione
Atlantide-Troia era già nella mente di Heinrich Schliemann,
lo scopritore della città distrutta dagli Achei. La storia
non è nuova, ma molti stentano a crederci. Robert Charroux,
considerato un'autorità in materia di "misteri del mondo",
nel suo "Libro dei maestri del mondo", afferma che Schliemann
rinvenne sotto i resti della Troia di Priamo quelli di una città
di epoca precedente che era stata sicuramente abitata da Ariani,
come risultava chiaramente dal ritrovamento di un gran numero di
cocci e tavolette di terracotta, che recavano incisi i simboli religiosi
di quella razza, tra i quali la svastica degli Indù.
La maggior parte dei vasi trovati era modellata sotto forma di testa
di civetta, l'uccello notturno sacro a Minerva Glaucopide (dagli
occhi verdi) protettrice di Ilio. In realtà, secondo Charroux,
"Minerva era la Ana, la Mater dei popoli celti, vale a dire
una divinità tipicamente ariana. Il suo nome, in Gallia,
era Belisama, cioè simile alla fiamma". Schliemann rinvenne
anche armi e oggetti di silice, argento, oro e rame. Le armi di
rame erano identiche a quelle di bronzo appartenenti alla preistoria
danese e alle civiltà lacustri del sud dell'Europa. Secondo
lo studioso francese, un così gran numero di indizi e coincidenze
persuase Schliemann che tra la preistoria della Troia ariana, negata
dagli archeologi tradizionalisti, e la preistoria di Atlantide dovesse
esistere una stretta relazione di parentela. Scrive Charroux: "Le
tesi 'eretiche' dello Schliemann intendevano dimostrare che Grecia,
Fenicia, Caldea eccetera avevano una comune origine iperborea, vale
a dire che il mondo è nato nell'Atlantide e non nella regione
dei Sumeri". In un momento di evidente eccitazione, Charroux
si domanda: "Heinrich Schliemann si rese effettivamente conto
di avere realizzato una delle più grandi scoperte di tutti
i tempi? Di avere, cioè, ricostruito la vera storia del mondo?
La risposta è senza dubbio affermativa, ma lui, da prudente
iniziato, avrebbe rivelato la parte più preziosa delle sue
scoperte dopo morto, vale a dire quando era probabile che con il
trascorrere del tempo le sue tesi avrebbero avuto maggiore probabilità
di essere comprese e accreditate".
Il 20 ottobre 1912, cioè ventidue anni dopo la misteriosa
morte di Schliemann a Napoli, suo nipote Paul pubblicò sul
prestigioso quotidiano "The New York American" un articolo
intitolato: "Come ho ritrovato l'Atlantide, sorgente di tutte
le civiltà". Paul Schliemann rivelava: "Qualche
giorno prima della sua morte, mio nonno consegnò ad uno dei
suoi più grandi amici una busta sigillata sulla quale aveva
vergato queste parole: 'Questa busta deve essere aperta solo da
un membro della mia famiglia, il quale, per il solo fatto di romperne
i sigilli, si troverà impegnato sul suo onore a consacrare
la vita nel proseguimento di quelle ricerche cui si fa sommario
cenno nel presente messaggio".
Un'ora prima di morire, raccontava ancora Paul Schliemann, mio nonno
chiese carta e matita e con mano incerta scrisse queste righe: "Rompere
il vaso a testa di civetta ed esaminane il contenuto: riguarda l'Atlantide.
Sepolcro all'est delle rovine del tempio di Sais e nel campo funerario
della valle di Chacuna. Importante! Vi troverai le prove in merito
all'esattezza delle mie tesi. Su di me sta calando la notte: addio!".
Il messaggio insieme con la busta chiusa fu depositato dall'amico
sconosciuto in un banca francese. Soltanto nel 1906, dopo aver terminato
gli studi in Russia, Germania e in Oriente, Paul decise di assumersi
l'impegno solenne lasciato dal nonno e aprì la busta sigillata.
C'era un messaggio che diceva: "Io sono giunto alla conclusione
che l'Atlantide non solo è veramente esistita, occupando
un immenso territorio oggi scomparso, ma è stata anche la
culla di ogni civiltà. Chiunque esamini tali documenti, assume
l'impegno di proseguire le mie ricerche per giungere a un risultato
definitivo e conclusivo. Egli sarà tenuto a proclamare in
ogni occasione che il vero ideatore e promotore delle ricerche sono
stato io. Presso la Banca di Francia è depositata una somma
sufficiente a coprire tutte le spese connesse con le nuove indagini.
Voglia l'Onnipotente proteggere questa importante missione. Firmato:
Heinrih Schliemann".
Il nipote Paul in un primo tempo cercò di ubbidire alle disposizioni
del nonno. Esaminò prima il materiale depositato nella banca
francese, poi intraprese viaggi in Egitto e in sud America. L'articolo
suscitò grande impressione. Quando tutti si attendevano gli
sviluppi di questa rivelazione, Paul Schliemann sparì dalla
circolazione. Le ipotesi sul suo destino sono state tante, e tra
queste ce ne sono molte che accennano a una fine altrettanto misteriosa
come quella del nonno. Altri, invece, parlarono di un'azione di
un mistificatore che, schiacciato da un complesso di inferiorità
nei confronti dell'illustre avo, si era preso gioco del mondo dell'archeologia
nel tentativo di procacciarsi una rapida e facile fama. Fatto sta
che dopo la pubblicazione di quell'articolo, di Paul Schliemann
si sono perse le tracce. Nemmeno la polizia più efficiente
del mondo è riuscita a risolvere il "giallo" della
sua improvvisa sparizione. Restano però i reperti lasciati
da suo nonno e che l'archeologo Christos Mavrothalassitis (ricchissimo
collezionista di vasi etruschi e di una raccolta numismatica che
lui stesso fa risalire ad Atlantide) contribuì a dichiarare
autentici avendone lui stesso trovati in gran numero identici a
quelli di Schliemann nel corso di ricerche effettuate nell'Africa
del nord e in particolare a Djerba. Ma nessuno al mondo ha preso
per buone le sue conclusioni sul ritrovamento della vera Atlantide.
Però, dopo oltre sessant'anni, un geoarcheologo di Zurigo,
finanziato sontuosamente da istituzioni tedesche, tenta di avvalorare
le scoperte "eretiche" di Schliemann e del suo "successore"
greco Mavrothalassitis. In attesa di conoscere le nuove scoperte
di Eberhard Zangger sulla collina di Hisserlik, la storia tortuosa
e affascinante della coincidenza della mitica città di Priamo
e del favoloso continente inghiottito dal mare continua, e promette
altri nuovi colpi di scena.
di Mario La Ferla
mariolaferla@tiscali.it




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