

Opicino de Canistris: un prete pavese del sec. XIV, nato a Lomello
e finito esule alla corte papale di Avignone, noto agli studiosi
come cartografo, per la sua vita avventurosa e sventurata (fu uno
dei pochi autori a lasciare un'autobiografia), ma soprattutto come
cultore d'astrologia e studioso delle tradizioni popolari della
sua terra natale, la Lomellina.
Proprio tre anni prima che egli si facesse prete, il papa Giovanni
XXII condannava l'alchimia con la bolla Spondet pariter, dichiarava
infami e punibili i laici che la praticavano e decretava la destituzione
degli ecclesiastici che si rendessero rei della stessa colpa. Segno
che anche fra i preti certe scienze dal sapore occulto dovevano
essere abbastanza diffuse! Quanto all'astrologia, solo in epoca
più tarda essa fu rifiutata dalla scienza ufficiale e divenne
incompatibile per un prete parlare d'oroscopi e disegni delle stelle.
Opicino, che era un bravo disegnatore e miniatore, di gusto gotico,
scrisse un libro per esaltare le bellezze di Pavia, ma tentò
anche d'interpretare la città alla luce d'una "astrologia
cristiana": egli volle dare alle proprie interpretazioni siderali
un "battesimo" cristiano, integrando nei cerchi zodiacali
i classici segni delle costellazioni con le ricorrenze dei santidel
"calendario pavese".
Opicino aveva apparizioni notturne sin da quando, all'età
d'undici anni, una voce del sogno gli consigliò di mettersi
a studiare. In seguito sognò il Giudizio universale e più
volte ritenne che gli apparisse la Madonna. Ai sogni, alle fantasie
erotiche e alle interpretazioni astrologico-simboliche dedicò
gran parte del proprio tempo. Le sue tavole sono fiorite d'allegorie,
di santi personaggi con il loro doppio astrale, di corrispondenze
siderali ed onomantiche. Egli, concepito due giorni dopo il concepimento
di Cristo e nato un giorno prima del Santo Natale, vedeva in ciò
un segno del destino. Tentò perciò di fondere la propria
esistenza con le credenze della mitologia celtica, conosciuta nella
natia Lomellina e approfondita nel suo lungo soggiorno in terra
occitana, e di dare un'interpretazione cristiana di tutto quest'intreccio,
nel quadro dell'astrologia.
Gli sembrava una maledizione il fatto d'essere nato sotto il segno
del Capricorno e proprio la vigilia di Natale. Qualche studioso
moderno non ha esitato a commentare le sue fantasie e le sue espressioni
sino a definirlo psicopatico. Quando non riusciva a trarre per la
sua città e la sua terra gli auspici di buon segno che avrebbe
voluto, si metteva ad insultarle e ad insultare sé stesso.
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Una carta dell'Europa disegnata da Opicino. |
Il caprone, simbolo per il mondo cristiano del male e dell'Anticristo,
ossessionò la sua vita: nato Capricorno, divenuto parroco
di Santa Maria Capella (termine che in latino significa cappella,
ma anche capretta) a Pavia, finì per ritenere che capri e
capre fossero il marchio indelebile della sua esistenza. Vedeva
nel mar Mediterraneo, attraverso il quale l'Europa si congiunge
all'Africa, l'immagine d'un enorme, osceno caprone, che si congiungeva
carnalmente con i due continenti raffigurati in sembianze femminili.
"La misera Lombardia si è presa su di sé tutta
la corruzione dell'intera Europa e dell'Africa, e a Pavia è
toccata la parte dei genitali... il territorio di quel sito fa schifo
come un inguine mestruato, valle del giudizio e inguine della turpitudine
d'Europa".
Opicino rappresentava spesso i luoghi geografici con l'immagine
di persone umane. Per lui l'Europa è una donna, spesso nuda,
della quale l'Italia e la Grecia rappresentano le gambe, mentre
la testa è nella penisola iberica. Ovvie le trasposizioni,
per cui in certi disegni la laguna veneta diventa un "sesso
castrato" e la Corsica un escremento che esce da Genova, definita
Genua = Ianua, cioè "porta" d'uscita dei rifiuti
organici.
"Ed ecco - aggiunge Opicino - in queste iniquità io
sono stato concepito... A volte mi glorio d'essere uomo e mi dimentico
d'essere un capricorno dalla lunga barba (longobardo), adoratore
della testa del capro. Infatti sono nato in pieno peccato, come
un ladro che arriva prima di Cristo, scivolando furtivamente nel
giorno maledetto dell'Anticristo. Sono nato in pieno peccato, come
un capro espiatorio, ma il battesimo mi ha trasformato e risuscitato
dai vizi del capro all'innocenza dell'agnello. E se il signore Gesù
Cristo non mi avesse subito seguito e riscattato dal peccato, avrei
già toccato il vertice dell'Anticristo...ma io, miserabile
capro, nato sotto il segno terrestre del capro e designato all'unione
col più piccolo povero della capra, mi accorgo di non aver
generato altro che capri e becchi che ritornano sempre alla loro
natura sinistra".
Opicino gioca sui nomi, un vezzo frequente tra i saggi letterati,
gli alchimisti antichi (e gli uomini politici moderni), il capro
è spesso visto come il simbolo del male, del peccato e della
depravazione...
"giudicate quindi voi chi e quale sia la mia genitrice e quale
la mia consorte... la religione alla patria, la patria alla mia
parrocchia, la parrocchia a me stesso, alla mia persona procurano
dei crimini carnali... tutte quelle parti che sono membra del diavolo
non sono al centro di Gerusalemme ma nelle spire del labirinto".
In tale disperata tensione di ricerca delle proprie radici, intese
come radici di peccato, poiché proveniva da una città
che ai primi del Trecento era stata scomunicata in quanto ghibellina,
Opicino tenta di leggere l'oroscopo di Pavia e del territorio della
Lombardia, dell'Europa, del bacino del Mediterraneo, per collegarli
fra loro e con il proprio.
In un intero codice, fatto di pelli d'agnello conciate e disegnate
su entrambi i lati, traccia globi terrestri con abilità da
esperto cartografo. Poi identifica i Tropici e l'area del bacino
del Mediterraneo. Sovrappone alla Terra immagini di Santi, della
Madonna e di Gesù Cristo, in posizione diritta e rovesciata
"in corpo astrale". Sul Mediterraneo, sull'alta Italia
e l'Occitania, scende più in particolare. Arriva a sovrapporre
in uno stesso disegno una carta geografica, un disegno allegorico
(a volte sacro, a volte osceno) e la pianta di Pavia, coi luoghi
più importanti, coperta da ben dodici ruote zodiacali. Sei
cerchi zodiacali che ruotano in un senso e gli altri in quello opposto,
in un tentativo d'interpretazione dinamica, per cui i fatti salienti
sono le congiunzioni e le opposizioni fra i vari segni, lungo linee
che partono dal centro geometrico della città.
Nel centro dell'Italia superiore, un mostro misterioso dotato di
sei buffi piedi umani, squamato, coronato da testa di leone, "causa
di peccato, corpo di riprovazione". Secondo Salomon si tratta
d'una delle locuste dell'Apocalisse e rappresenta la concupiscenza,
secondo quanto scrisse monsignor Gianani. Due scritte, molto chiare:
"In hac stercoraria valle hoc simulacrum adoratur: causa peccati,
corpus reprobationis. Hic est turpior locus totius Europe. In questa
valle di merda si adora questo simulacro, causa di peccato e oggetto
di riprovazione", e "dalla città meravigliosa (Pavia)
è nato il mostro stupefacente".
Altre teste di leone figurano qua e là, nelle molte pelli
d'agnello che compongono il manoscritto del prete pavese. In altre
tavole, il mostro a sei zampe è la Tarasca, immagine mitica
dell'antica tradizione celtica, ancor oggi ricordata in Provenza,
raffigurata nell'atto di mangiare un uomo. Il suo corpo, in un altro
disegno, appare corazzato, come quello d'un armadillo, e coperto
d'ispide punte. Inoltre elementi di sacro, le immagini di Cristo
e della Madonna ricorrono spesso. Il mostruoso e il diabolico spesso
intrecciato con questi, in un'orgia che talvolta rasenta la pornografia;
costruzioni cartografiche delineate con la perizia d'un sapiente
geografo, nelle quali l'attenzione maggiore si punta sul bacino
del Mediterraneo e sull'Italia: allegorie in cui quest'ultima si
trasforma nella gamba d'una donna, carnalmente allacciata con il
mare, che ora è un giovane, ora un satiro barbuto; la topografia
di Pavia, ricca d'allusioni cosmiche e di coincidenze simboliche;
infine l'autobiografia dell'autore, pedantemente tracciata a forma
di canestro, per ricordare il proprio cognome, e dettagliata in
ciascun evento per lui significativo (per esempio, è indicato
il momento esatto in cui i compagni di scuola gli insegnarono le
prime parolacce, e quello in cui cominciò ad avere visioni
notturne).
Tutti questi piani si fondevano, o meglio si confondevano.
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La Tarasca: mostro celtico-provenzale con sei zampe, che man-gia i bambini. |
Pare che - nel quinto o sesto secolo - le chiese venissero disposte
nel tessuto della città secondo la forma delle costellazioni
celesti. La città diventava così l'immagine del Cosmo
creato, con tutti i suoi influssi fasti e nefasti, e ogni luogo
veniva "battezzato", destinato a rappresentare qualcosa,
una stella, un'energia, una festività. Otto secoli dopo re
Teodorico e il vescovo Ennodio, Opicino, quando lavorava sulla pianta
di Pavia per identificare gli influssi zodiacali, non possedeva
probabilmente elementi precisi su cui basarsi. La sua appare come
una ricerca sperimentale, tanto più che egli la estende al
perimetro di Pavia dei suoi tempi, molto più ampio di quello
delle origini.
Dal lontano esilio d'Avignone, Opicino si preoccupava di trovare
un senso, una risposta coerente al progetto spazio-temporale della
propria città, inteso come un flusso storico continuo d'intenzioni
e d'avvenimenti. Astrologia, allegorie, topografia, storia e destini
futuri si fondono in una visione unica, della quale bisogna arrivare
a comprendere il senso: come e perché Opicino si era messo
d'impegno, lavorando all'interpretazione zodiacale di Pavia. Gira
e rigira, gli sembrava di non riuscire a venire a capo dell'arcano
disegno: "A dicembre si riscuotono le decime, ma io non riesco
a tirare le fila del mio lavoro". Parafrasava il profeta Ezechiele,
le cui frasi di sconforto gli erano sempre piaciute: "Mi sono
arrovellato invano, più volte, per descrivere Gerusalemme,
per comprenderla in un cerchio. Mi sono scontrato con le limitatezze
della mia testa dura, e lo zelo non è bastato a mettere ordine
in quel confuso calderone". "La vera Pavia dovrebbe essere
"figlia del Papa", ma questa è avversaria del Pontefice,
e i suoi abitanti sono figli del diavolo: nessuno vuole riconoscere
d'avere un padrone, e vogliono comandare tutti".
Opicino disegnò dapprima la città, con le tre cerchie
di mura, tramandate dalla tradizione, che ricordano la Gerusalemme
celeste.Poi l'avvolse con diversi anelli zodiacali. Provò
a leggere ciascun giro zodiacale in un senso e nell'altro, girando
ora nella stessa direzione della volta celeste ed ora in direzione
inversa. Numerò i calendari, disegnati intorno ai cerchi,
indicandovi i mesi e i segni zodiacali. Cominciò quindi a
cercare i significati delle congiunzioni, che nascevano dal ruotare
dei diversi calendari. Capricorno con Vergine: sub communitate virginis
mobilitas capricorni. Toro e Toro: ex duplici tauro stabilitas firmamenti.
E via via, le corrispondenze fra segni mobili, segni stabili e segni
comuni. Leone con Gemelli: suppositio leonis; ignis sub aere (il
fuoco posto a fondere il bronzo). Non dimenticava infatti la corrispondenza
dei pianeti coi metalli e le loro proprietà. Mercurio: tremore
e mollezza. Venere: stagno. Marte: bronzo rosso. Giove: piombo e
pesantezza. Saturno: ferro, ruggine, l'età del ferro e il
trionfo dell'Europa. Luna: argento, l'Africa. Sole: oro, sette metalli,
otto se si aggiunge l'elettro, dodici materie se si aggiungono anche
i quattro elementi primordiali.
Le coincidenze si moltiplicavano: Gemelli e Sagittario: resistentia
pacis ad bellum. Così pure le opposizioni: Sagittario opposto
a Sagittario: obviatio belli. e così via.
Opicino, per cristianizzare l'oroscopo, aggiunge qua e là
le feste dei Santi, cerca coincidenze e significati reconditi. Lavora
sui cerchi zodiacali, tenta di interpretare il presente e il futuro
d'una situazione politica che gli sembra disastrosa. L'imperatore
Federico II, col suo regno di Sicilia, ma con pretese territoriali
nell'Italia peninsulare, alleato dei Ghibellini e degli eretici
di mezza Italia, gli appare come un uomo diabolico.
Opicino è stato definito "un Noé malato che cerca
di mettere nella sua Arca di carta ciò che può salvare
della terra e di sé stesso". Venuto ad Avignone, presso
il Papa, per trovare un impiego che non riuscì a mantenere
a lungo, disegnò decine di carte che raffigurano il Mediterraneo,
il proprio racconto autobiografico, considerazioni astrologiche
e una serie di elaborazioni geografiche e cartografiche. Muto, paralizzato
al braccio destro e a parte del viso, privato d'una parte della
sua memoria letterale, visionario perseguitato dall'idea del peccato,
ma convinto d'essere depositario d'una verità segreta, Opicino
convoca il cielo e la terra per testimoniare l'impossibile conciliazione
delle due immagini, quella del corpo mistico, rigorosamente geometrica,
e quella, difforme, d'un corpo stravolto dai peccati del mondo e
dalla storia. Allora, in tale inadeguatezza, i territori si accoppiano
carnalmente, come parole in giochi d'assonanze, i nomi s'incarnano
in personaggi d'un teatro geografico. In una tavola, due carte geografiche
identiche sono sovrapposte. S'intravvede la seconda sotto la prima,
ma invertita specularmente secondo un asse diagonale, come nelle
carte da gioco. Il gioco di parole si trasforma in gioco geografico,
il mondo si assoggetta ad una logica linguistica. Rodi cade sul
Rodano, Creta sul ventre di Pavia, i due stivali dell'Italia si
ricoprono e nel mar Nero si scorge lo stretto di Gibilterra. Il
serpente tunisino, che appartiene all'Africa, simbolo del vizio
e seduttore della Chiesa, deve ritrovarsi sul Kanastreion di Tessalonica;
un tacco vi sovrasta l'iscrizione Canistrum, con allusione anche
al proprio nome e alla statua detta del Regisole, che si trovava
di fronte a casa sua, nella quale il piede sinistro del cavallo
appoggiava su un cagnolino. Quest'immagine, secondo un versetto
di Giacobbe, può essere considerata come una profezia dell'Anticristo,
al quale Opicino si identifica.
Il calendario, i territori, i nomi propri, i corpi, i testi sacri,
i toponimi, tutto diviene segno in questa confusione geografica,
lotta contro la malattia e strumento della memoria, utopia impraticabile
in cui I'immagine non riesce a nascondere la lettera, né
la lettera lo spirito. Opicino insegna che è impossibile
ignorare queste commistioni, che la carne del mondo non si può
trascendere e che le parole non possono fare altro che immergervisi.
In margine ad una carta, Opicino scrive:
"Sapere non è nient'altro che conoscere il sapore dello
spirito, e sapere senza misura non è nient'altro che conoscere
la carne e la lettera".
La vita di Opicino de Canistris
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In questa carta del Mediterraneo, disegnata da Opicino de Cani-stris in sovrapposizione agli isolati della città di Pavia, appare anche un osceno accoppiamento tra le figure allegoriche del Ca-prone (nel mare) e dell'Europa, raffigurata come una donna con un seno divorato dalla cancrena. |
Opicino (Opizìn) de Canistris (Cavagna?) fu concepito
il 27 marzo 1296, primo di cinque fratelli (ebbe due fratelli e
due sorelle), e nacque il 24 dicembre, verso l'ora del tramonto,
sotto il segno del Capricorno, a Lomello, in una famiglia assai
vicina a quella dei conti di Langosco. Dall'autobiografia, disegnata
all'età di quarant'anni in forma allegorica di canestro,
possiamo trarre alcune indicazioni sulla sua vita. Di questa sua
nascita, avvenuta la vigilia di Natale, gli parlarono quando aveva
l'età di sette anni. Delle sue sorelle conosciamo anche i
nomi: Reginetta e Sibillina.
Nell'aprile del 1300 cade e si spacca la fronte e la faccia: rimarrà
segnato in volto per tutta la vita. Poi, da bambino, viene mandato
a Biella. Nel 1305, egli ricorda che "iniziarono a Biella le
avversità" per la sua famiglia. Non era di famiglia
povera, dato che poteva studiare e che a meno di dieci anni fu fatto
chierico dal vescovo, per solo titolo di patrimonio. Era piuttosto
il figlio d'un "maggiordomo" della famiglia dei conti
di Langosco, signori di parte guelfa che imposero, per qualche tempo,
la propria autorità alla città di Pavia. Visse durante
la sua infanzia tra Biella, Bassignana e Lomello. Iniziò
da giovane a occuparsi di politica e ciò, unito alla data
di nascita (la vigilia di Natale, che egli interpreta come un giorno
particolarmente maledetto, legato alla figura dell'Anticristo: ante
Christum = anti Christum), tormentò in seguito la sua coscienza
di prete. Un sogno premonitore lo avverte di mettersi a studiare.
L'anno dopo frequenta le scuole, prima a Lomello, poi a Bassignana,
alla confluenza del Tanaro nel Po. Studia poco e riesce male in
tutto, ma si scopre una vocazione naturale al disegno (mentre, ad
esempio, non è assolutamente versato per il canto). Come
scrive egli stesso, a dodici anni impara le "parolacce".
Nel 1310, visto lo scarso rendimento scolastico, la famiglia lo
mette a riscuotere i pedaggi sul ponte che attraversa il Po, vicino
a Bassignana. L'anno dopo "cresce in malizia" e comincia
a sentirsi "legato ai vizi". Si ammala per tre mesi di
febbre quartana. Nel 1314 smette di studiare per le ripetute malattie.
L'unica attività nella quale appare versato è il disegno.
Nel 1313, a 16 anni, tenta di studiare canto, poi abbandona gli
studi ufficiali e fa qualche pratica di cure mediche. è chiamato
a Milano a curare il figlio d'un conte tedesco prigioniero, poi
diventa insegnante privato di materie letterarie della figlia d'un
signore di Pavia in esilio, probabilmente del conte di Langosco.
Qui verso i 19 anni, ospite della moglie dello stesso signore e
probabilmente innamorato di lei, si interessa di politica. Nella
sua autobiografia, scrive che ha avuto dei contatti con "scomunicati
e interdetti". In quei momenti infuriano, a Pavia e a Milano,
le lotte tra Guelfi e Ghibellini (che a Pavia si chiamano, rispettivamente,
Fallabrini e Marcabotti).
Opicino è del partito guelfo, amico dei Langosco, signori
di Lomello e di Pavia; il 6 ottobre 1315 la città di Pavia
cade in mano ai Visconti, per il tradimento di Marchetto Salerno.
I Ghibellini uccidono Ricciardino Langosco in piazza San Giovanni
(l'attuale piazza Borromeo). Opicino riesce a far fuggire le donne
della famiglia Langosco, accompagna la madre delle sue allieve sino
al monastero di Giosafat, oltre il Ticino, e dobbiamo supporre che
non la veda mai più. L'anno dopo, egli stesso con tutta la
sua famiglia è esiliato a Genova. Il padre, caduto in disgrazia,
non può più garantire il mantenimento familiare. Così
egli, come primogenito, si trova obbligato a lavorare. Fa il precettore
e, scrive, "si dà ai piaceri della carne". Il 3
settembre 1316, egli ricorda, gli viene rivelata in sogno la visione
dell'estremo giudizio. Impara a miniare libri, come sostegno economico
per la sua famiglia. Nel 1317 un suo fratello, ancor bambino, viene
ucciso per incidente. Alla fine d'ottobre muore suo padre. L'anno
seguente, nell'aprile del 1318, con la madre, le sorelle e il fratello
che gli resta, ritorna a Pavia e trova che la città, ormai
in mano ai Ghibellini, è stata colpita da interdetto papale:
vi è proibita la celebrazione di funzioni solenni e alcuni
sacramenti non sono amministrati. S'impegna in lavori manuali, per
vivere con la propria famiglia, e diventa devoto della vergine Maria.
Alla fine dell'anno tenta d'ottenere gli ordini per diventare diacono
ed è bocciato agli esami. Ottiene gli ordini minori a Bologna,
nel marzo 1319, e il diaconato dal vescovo di Bobbio; nel febbraio
1320 è finalmente prete. Negli anni che seguono studia le
"scienze divine" e scrive su diversi argomenti. Nel 1323,
in ottobre, ottiene la cappellania di San Raffaele nella chiesa
di San Giovanni in Borgo, ma dopo poco vi rinuncia e viene eletto
alla parrocchia di Santa Maria Capella, con una rendita che finalmente,
a 27 anni, dovrebbe permettergli la tranquillità economica,
per sé e per la propria famiglia.
Nel frattempo va trattando argomenti divini in diversi libretti
o trattati. La sua famiglia abita nella parrocchia di Santa Tecla
ed egli, dalle finestre, domina l'Atrio di San Siro, cioè
la piazza delle due Cattedrali, con la statua del Regisole. Scriverà
un giorno, dall'esilio: "Nella nostra città di Pavia,
sotto il piede anteriore sinistro d'un cavallo di bronzo che reca
in groppa la statua del Regisole (o Raggisole), vi è un cagnolino
che sembra mordere l'unghia del piede e guarda verso la casa dove
abitavo io". Intanto Pavia vive dilacerata dalle lotte tra
fazioni rivali, che si appoggiano ad analoghe fazioni milanesi e,
in ultima istanza, rappresentano i partiti dell'Impero e del Papato.
Nel 1322, Musso Beccaria e Galeazzo Visconti hanno assunto la successione
dei genitori, Manfredo Beccaria e Matteo Visconti, nelle Signorie
di Pavia e di Milano.
Puntuale, la scomunica che aveva colpito i padri si abbatte anche
sui figli. Nel 1323, la cancelleria del Cardinal Legato di Piacenza
si sobbarca a una gran fatica ed emana le liste dei nobili Marcabotti
pavesi da scomunicare: fino a centocinquanta, appartenenti a settanta
famiglie. Anche Guido da Vigevano, famoso ingegnere militare e medico
personale del defunto imperatore Arrigo VII, viene colpito dalla
scomunica. A Pavia le chiese sono sempre più vuote, i preti
fuggono. Opicino è rientrato in città nell'aprile
del 1318, ma è destinato a un nuovo esilio. Come Dante Alighieri,
dovrà abbandonare per sempre la sua città.
La tranquillità finalmente raggiunta dura troppo poco: le
rinnovate lotte fra Fallabrini e Marcabotti lo obbligano ad un nuovo,
definitivo esilio. Nel luglio 1328 abbandona nuovamente Pavia, raggiunge
Tortona, Alessandria e Valenza. Qui il 3 agosto si ammala "per
languore" ed è dato per spacciato. Invece guarisce e
fa pratica ad amministrare quei sacramenti che a Pavia erano interdetti.
L'anno dopo, ad aprile, giunge ad Avignone, alla corte del papa
Giovanni XXII. Per un mese è occupato a miniare un libro
d'un protonotario del papa, poi mendica coi clerici poveri. Papa
Giovanni XXII vede il libro da lui miniato e lo assume come miniatore.
Tuttavia, la sua scarsa competenza nelle cose ecclesiastiche lo
conduce ad essere accusato di falsità. Deve astenersi totalmente
dalle cose divine e non ottiene comprensione né dai penitenziari
né dal penitenziario maggiore. Infine, dopo mille difficoltà,
viene assolto dal camerario del papa. Più volte invia suppliche
al signor papa e più volte egli le riceve, per poter comparire
alla sua presenza, ma non riesce nell'intento.
Nel 1330, a 33 anni (l'età di Cristo), si sente predestinato
a cose grandi. In sogno, ha un'apparizione dell'Eucaristia. Poi
scrive un libretto con la descrizione e le lodi di Pavia, invocando
il Papa perché ritiri l'interdetto sulla sua città.
Il libretto, a lungo conosciuto come opera d'un "anonimo Ticinese",
viene concluso il 19 settembre 1330. Con Opicino, in quegli anni,
ci sono diversi preti pavesi alla corte d'Avignone. Conosciamo i
nomi di Pietro da Pavia e Uberto d'Antonio, dell'arciprete Giacomo
de Trivilla e del vicario generale della diocesi di Pavia, Giovanni
Mangano, originario di Valenza. Le accuse contro di lui non vengono
mai ritirate, nonostante la condiscendenza papale. Quattordici testimoni,
più o meno, si dichiarano a favore della sua causa. Per diversi
anni rimane contro di me la mozione della questione, che quasi mai
da allora cessa, per un triennio, se non casualmente. Ciò
l'obbliga a spendere tempo e denaro per discolparsi. I suoi principali
accusatori sono, probabilmente, proprio quei prelati pavesi da cui
egli sperava aiuto. Ciò motiva, almeno in parte, le sue invettive
contro la città e i suoi abitanti. Intanto, per interessamento
del papa, la sorella minore viene accolta in un monastero pavese.
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Autobiografia di Opicino de Canistris. |
Il 31 marzo 1334 lo colpisce una nuova malattia, rimane muto e paralizzato
ed è dato per moribondo. In giugno ha di sera un'apparizione,
sulle nubi. In agosto gli appare in sogno la Madonna e comincia
a guarire, benché muto e debole nella parte destra. Il 4
dicembre muore papa Giovanni XXII. Il 1° gennaio del 1335 viene
eletto il nuovo papa, Benedetto XII. La mano destra di Opicino recupera
la sua funzionalità. Il 25 aprile del 1335 muore sua madre,
cui egli era sempre stato fortemente legato e che aveva portato
con sé ad Avignone. Nel 1336 viene risollevata contro di
lui la vecchia denuncia, che l'obbliga nuovamente a forti spese.
Infatti la redazione dei due codici di disegni che conosciamo può
essere motivata come una sua memoria, grafica più che letterale,
di discolpa di fronte al tribunale papale, nella causa intentatagli
contro.
Nei disegni del codice Vaticano Latino 6435 appaiono le coste dell'Europa
e del Mar Mediterraneo. I continenti e il mare sono animati da figure
allegoriche: frati, guerrieri, donne e - nel mare - un immenso satiro
dagli evidenti attributi sessuali. L'Europa, in particolare, cambia
da una tavola all'altra e - da donna casta e pura - si trasforma
in meretrice oscena e ammalata, che si accoppia con un satiro o
Caprone, raffigurato nelle forme del Mar Mediterraneo: è
la Grande Meretrice, allegoria della Chiesa in decadenza. In alcune
di quelle tavole, la pianta di Pavia si sovrappone alla carta geografica
e la corrispondenza di punti nel territorio con parti dei corpi
allacciati si fa più densa di contenuti, in una rappresentazione
quasi parossistica. Questi sono forse tra i più noti e studiati
dei disegni di Opicino, proprio per i riferimenti alla cultura cartografica
della sua epoca e alla topografia cittadina. La sequenza delle tavole
potrebbe essere letta in chiave diacronica, quasi come un film.
Non desideriamo però spingerci oltre in tale lettura, che
a nostro avviso richiede ancora importanti approfondimenti.
Il codice Palatino Latino 1993 è composto di 52 disegni,
ricchi di notazioni teologiche, astrologiche, storiche e geografiche.
Il codice contiene, tra l'altro, la celebre veduta delle due cattedrali
romaniche di Pavia e l'autobiografia dello stesso Opicino, disegnata
come un grande canestro, a cerchi concentrici di vimini. Ricordiamo
in particolare come le autobiografie, a quell'epoca fossero generalmente
concepite come elementi di discolpa di fronte agli accusatori. Opicino
riversa in disegni tutta la propria sapienza per esporre tutto sé
stesso, per dimostrare di essere un prete, un prete pavese, educato
nella Chiesa e affezionato alle proprie tradizioni e alla propria
terra.
Si divertiva a studiare le leggende celtiche e longobarde ed a trascriverle
in latino. Scrisse di non aver mai visto, vivi, né un lupo
adulto né un leone né un cinghiale o altre fiere,
pur avendo visto delle belve già morte. E aggiunse: "Cresciuto
fra bestie viziose, sono stato preservato dall'incontrare le belve
della natura".
Poco sappiamo del seguito della sua vita: malato, Opicino deve aver
perso il suo posto di miniatore ed aver trascorso gli ultimi anni
della sua vita ad Avignone, vecchio pensionato memore della sua
Pavia per sempre irraggiungibile e di quella effimera promessa di
gloria che aveva vissuto, da giovane, all'ombra della famiglia Langosco.
A nulla approdano le sue ricerche astrologiche, con cui tenta d'interpretare
le sorti proprie e della "sua" città. Deve essere
morto nel 1352, o non molto dopo, a poco più di 55 anni.
Era stato concepito due giorni dopo il miracoloso concepimento di
Cristo, ma era nato il giorno prima di Natale: tutti segni evidenti,
a suo avviso, di una missione divina.
Note:
(1) Santa Maria Capella era detta anche Santa Maria Lintarda
o Leutarda, perché fu fondata nel sec. XIII da un prete Leutardo
o, secondo un'altra versione, della famiglia Lintarda (v. P. ROMUALDO
DA S. MARIA, Flavia Papia Sacra, Ticini, 1699, parte I, p. 127,
e G. ROBOLINI, Notizie appartenenti alla storia della sua Patria,
Pavia, 1823-38, t. II, nota DD). Secondo Padre Romualdo l'attributo
"Capella" non significava "cappella", ma derivava dal nome della
famiglia Capelli. Era una chiesa con tre navate, che si affacciava
aul lato orientale di una piazzetta-sagrato, tuttora visibile nella
parte bassa di via Rezia. Il suo parroco aveva anche il titolo di
Rettore. Nel 1692 vi si stabilirono i Padri Crociferi, che iniziarono
la costruzione dell'imponente convento adiacente e rinnovarono parzialmente
la chiesa, pur mantenendo parte delle antiche strutture. Nel 1789
quell'ordine fu soppresso e i fabbricati, acquistati dalla noblie
famiglia Beccaria, furono trasformati in case di abitazione. Cfr.
anche E. GIARDINI, Memorie topografiche, Pavia, 1872, p. 105 e nota
133.
(2) Apoc., 9, 7-10.
di Alberto Arecchi
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