

Negli anni fra il 1100 e il 1200 si diffuse per l'Europa il mito
del Santo Graal. Studi effettuati sulla storia e sulla letteratura
di quei tempi hanno permesso di rivedere in modo radicale l'intera
materia, documentandone un'origine orientale, d'area persiana, con
l'aggiunta di un protagonista di primo piano, Parsifal, tratto invece
dalla figura di un santo toscano: Galgano di Montesiepi.
Rinviando al testo completo su questo argomento, si riportano alcuni
passaggi significativi, che trattano il problema della connessione
fra Galgano e la presunta cultura celtica.
Gli studiosi del Santo Graal si affannano, da oltre otto secoli,
a dimostrare che tutto cio' che riguarda la Tavola Rotonda deriva
dall'antica tradizione dei Celti. Nelle misura in cui Galgano viene
accostato, seppure in tono dimesso e subordinato, alla Materia di
Bretagna, non puo' mancare la tentazione di coinvolgerlo nelle saghe
del Nord.
Accostarsi all'argomento "Celti" apre un importante interrogativo
su cosa fossero realmente i Celti e sulla loro esistenza storica.
Affrontiamo il problema per gradi e partiamo dal presupposto che
essi siano realmente esistiti, con un proprio corredo di cultura,
di simboli e di manifestazioni storiche.
Si fa notare, da piu' parti, che la località di Montesiepi,
dove sorge l'eremo di San Galgano, allude forse ad un luogo sacro,
cinto da siepi, nascosto ai profani, che non potevano partecipare
ai riti segreti. Questa tradizione di recintare luoghi sacri (si
prosegue a sostenere) era tipicamente celtica. Ne deriverebbe il
fatto che la roccia, dove fu piantata la spada del santo, potrebbe
essere il centro di un antico culto sacro, probabilmente celtico.
QQuanto la tesi sia labile o insufficiente e' dimostrato dal fatto
che tale consuetudine appartiene alle usanze di tutti i popoli.
Persino il vocabolo italiano "paradiso" derivando dal
persiano "pairi - daeza" o "giardino cintato"
riconduce a questa usanza diffusa anche in oriente.
Ma la presunta pista celtica presenta ulteriori elementi.
L'antico nome di Montesiepi era Cerboli, che ricorda il Cervo, animale
sacro ai Celti, identificato con il dio Cernumno, coinvolgendo anche
il vicino paese di Cerbaia. Anche in questo caso e' difficile non
notare che un Parco dei Cervi e' caro perfino alla tradizione buddista
e non e' prerogativa indiscussa dei celti.
Nei pressi di Montesiepi esiste poi la localita' di Brenna con radice
affine a Bran, eroe celtico, o a "brenna", sacrificio
rituale di annegamento della vittima celebrato, si dice, dai Druidi.
Qualcuno sostiene anche che i cerchi formati da pietra bianca e
cotto rosso, sulla volta della Rotunda, sono 48 e ricordano le decorazioni
circolari celtiche, aggiungendo in via marginale che questi cerchi
potrebbero essere connessi con una rappresentazione delle "onde
di forma", ovvero di radiazioni negative e positive emesse
da una struttura architettonica.
Non lontano dalla Rotunda, si nota ancora una vistosa croce celtica,
scolpita nella pietra, elaborata o rielaborata in tempi recenti,
che campeggia in un prato, ben visibile dalla strada contigua.
Si vuole ad ogni costo individuare qualcosa di celtico, insomma,
in questo luminoso angolo di Toscana.
In realta' anche il collegamento fra cultura celtica, da una parte,
e Galgano o il Graal, dall'altra, deve essere rivista da un'angolazione
differente.
La possibile presenza dei cosiddetti Celti, nonche' dei simboli
e della presunta cultura celtica nell'etrusca Toscana non dovrebbe
suscitare grande sorpresa. Il transito e il trasferimento di elementi
culturali o artistici fra le regioni dell'Europa medievale e' cosa
nota e accettata. Anche la suggestiva chiesa di sant'Antimo, non
lontanissimo da Chiusdino, presenta tracce grafiche appartenenti
a quella categoria di "nodi" conosciuti come celtici.
Trovare elementi o tracce di questo genere in giro per l'Europa,
fra le fiabe irlandesi, nelle decorazioni di un portale romanico,
nelle poesie di Aquitania, nelle leggende bretoni, come quella del
Graal, non dovrebbe essere motivo di sorpresa ma neppure prova di
appartenenza alla tradizione celtica, con il relativo bagaglio di
riti magici o sanguinari. Difficile ritenere che nella cristianissima
chiesa di sant'Antimo si celebrassero riti celtici, con sacrifici
di animali, sulla base della presenza di nodi celtici su qualche
portale laterale della chiesa stessa.
Potremmo anche spingerci piu' in la', non escludendo che, sotto
il racconto di Dionigia (si tratta della madre di Galgano e si riportano
le frasi da lei pronunciate nel processo di canonizzazione n.d.r.),
si celi veramente una traccia di riti pagani e, perche' no?, di
tradizione celtica.
- Figlio mio, il freddo e' eccessivo, la fame intensa, il luogo quasi inaccessibile: come vi andremo?
"Come ci avvicineremo, figlio mio, a quel luogo inaccessibile perche' cintato e interdetto a chi non appartiene alla setta che vi pratica i suoi culti?"
Tutto cio' potrebbe avere un senso e una spiegazione, se non fosse
invece assodato che i Celti, come tali, non sono mai esistiti.
Pur essendo una questione non strettamente legata al presente testo,
il problema dell'esistenza dei Celti consente importanti considerazioni.
Occorre premettere, paradossalmente, che un elevatissimo numero
di storici e letterati antichi parla dei Celti. Vale la pena elencarne
qualcuno:
- Ecateo di Mileto (540 - 475 a.C.)
- Erodoto (490- 424 a.C.)
- Platone (428 - 348 a.C.)
- Aristotele (384 - 322 a.C.)
- Teopompo (378- 300 a.C)
- Eforo (sec. IV a.C.)
- Diodoro (sec. IV a.C.)
- Callimaco (320 - 240 a.C.)
- Polibio (205 -120 a.C.)
- Poseidonio (135 - 50 a.C.)
- Giulio Cesare (102 - 44 a.C.)
- Strabone (63 a.C. - 20 d.C.)
- Tito Livio (59 a.C.- 17 d.C.)
- Properzio (47a.C - 16 d.C.)
- Cassio Dione (155 - 235 d.C.)
- Avieno (sec IV d.C.)
Adispetto di tutti costoro, non e' difficile dimostrare che i Celti
non esistevano, come nazione o come popolo, e che quelli che venivano
chiamati Celti, comunque, non sapevano di esserlo.
"Una donna vissuta nel Dorset, nel IV secolo a.C., un sacerdote
pagano irlandese, del II secolo a.C., un guerriero dei Belgi, nel
I secolo a. C., un bambino della corte di Hywel Dda, nel 950, un
allevatore delle Highlands scozzesi, nel XVI secolo d.C., si sarebbero
altamente meravigliati di essere definiti Celti." (1)
PPer indicare un popolo o una nazione o qualunque altro aggregato
di persone, il termine "celti", come usato dagli scrittori
sopra elencati, ha una validita' etnica poco differente dal termine
"barbari", o "infedeli", o "gentili",
o qualunque altro termine usato per indicare una vaga accozzaglia
di persone ritenute "aliene" ma non precisamente identificabili.
Il nome, anzitutto, non ha un'origine sicura e definita. Quella
grande nebulosa di gente di cui stiamo parlando veniva definita
col nome di Celti, ad occidente, e di Galati, ad oriente. L'uno
e l'altro nome condividevano con la parola "Galli" la
presenza di due lettere, K-L oppure G-L.
Cio' ha spinto gli esperti a far derivare i loro nomi da una antica
radice indoeuropea kal- (sanscrito kalayati) non lontana dall'italiano
calare, nel senso di arrivare, oppure dalla radice gal-, che in
greco e' associata al latte e alle cose bianche (italiano Galassia).
(2)
Ci troviamo in un campo piuttosto vasto di significati che va da
invasori a uomini bianchi, con infinite possibilita' intermedie.
Una rapida ricognizione sulle loro caratteristiche permette di affermare,
quantomeno, che:
- non possedevano caratteristiche fisiche comuni: alcune popolazioni "celte" erano alte, alcune basse, alcune bionde, altre castane;
- non possedevano caratteristiche linguistiche comuni, se non quelle riscontrabili nel comune ceppo indoeuropeo e riscontrabili anche nel greco, nell'ebraico, nell'assiro babilonese, nel persiano, nel sanscrito o nel latino, non lasciarono tracce che si possano definire letterarie;
- non avevano religioni, divinita', miti comuni, omogenei e condivisi: si sono riscontrate, in area "celtica", oltre quattrocento divinita';
- non possedevano espressioni artistiche stilisticamente ben definite: i reperti archeologici (Hallstatt, La Tène, Golasecca, ) dimostrano al piu' che le popolazioni locali subivano l'effetto della diffusione e della imitazione fra un popolo e l'altro;
- non c'e' accordo neppure sull'elenco di tribu' o gruppi che possano essere inclusi o esclusi dal gruppo celtico: si dibatte ancora se Iberi, Aquitani, Liguri, Veneti e perfino Germani (tanto per fare qualche esempio) sono da considerare "celti" o meno;
- Il complesso dei costumi popolari e delle usanze comprendeva la gamma piu' completa di funerali (cremati, sepolti diritti, sepolti in posizione fetale, dati in pasto agli avvoltoi, ); alcuni bevevano vino, altri no; alcuni si opposero ai Romani, altri no; alcuni curavano l'estetica, altri no.
Se consideriamo poi che non avevano per nulla coscienza di appartenere alla grande nazione celtica, vera o presunta, dovremmo domandarci: puo' essere definito "celta" (o qualunque altra cosa) un popolo sparso che non lo e', non sa di esserlo e non ha nessun interesse per la questione?
Anzitutto Sorgono spontanee, a questo punto, due questioni:
- Su quali presunte prove e' stato costruito l'intero castello dei Celti e della loro unita' etnica?
- A parte le affermazioni generiche degli autori sopra elencati, chi e' stato autore e creatore di quei Celti in cui oggi molti credono?
La prima domanda puo' ricevere una rapida e sommaria risposta:
le prove sono state in parte falsificate e in parte basate su indubbie
radici culturali comuni, che certamente sono condivise dai presunti
Celti ma anche da tutti gli altri popoli dell'area europea ed asiatica.
È noto agli studiosi che l'intero arco geografico che va
dall'Indo alla Penisola Iberica, spaziando dal Mediterraneo al Mare
del Nord, condivide comuni tratti culturali, definiti indoeuropei.
Lo testimoniano una infinita' di elementi storici, artistici, archeologici
e, soprattutto, linguistici.
Lo si ritrova, ad esempio, nella parola latina Veritas, italiano
Verita', che contiene la radice indiana Rt-, in antico persiano
Arta; oppure nella parola latina Nomen, italiano Nome, inglese Name,
persiano Namah.
Anche il nome di Parigi trova le sue radici nell'assiro babilonese
Parisu, luogo che separa, mentre la parola Mago ha le sue origini
in una radice indiana Mak- da cui il tedesco Machen, fare, e l'analogo
inglese Make. (3)
Il flusso e la circolazione dei popoli e delle idee, fin dai tempi
preistorici, ha provocato una sensibile e documentabile diffusione
di elementi comuni dall'Indo all'Europa, fino alle isole europee,
Inghilterra, Irlanda e Islanda. Al di la' di ogni possibile fenomeno
di migrazione di massa e di invasione violenta, la naturale trasmigrazione
delle idee e dei modelli di vita e' rintracciabile e documentabile
in modo abbastanza preciso.
In altre parole, al di la' delle Alpi, oltre i confini del mondo
greco o romano, qualcuno esisteva e si muovevano popoli, fossero
Celti o altri, che condividevano le comuni radici indoeuropee.
La seconda domanda (chi ha creato i celti?) esige una risposta piu'
complessa, che qui si cerchera' di sintetizzare in un breve cenno
su cio' che e' avvenuto in Irlanda, in Scozia, in Galles ed in Francia.
Notiamo anzitutto, come elemento comune, che fino alla fine del
primo millennio d.C. non esistono in Europa significativi processi
di formazione delle identita' nazionali, nelle forme e nei modi
che oggi ci permettono di parlare di etnicita'. Unica realta' in
qualche modo unificante e identificante e' l'Impero Romano, con
la sua cultura e la sua progressiva conquista. Disgregato l'Impero
Romano e attenuatesi le scorrerie di popoli provenienti da est,
all'inizio del secondo millennio incominciano a formarsi le prime
aggregazioni nazionali in senso moderno, anche sotto la spinta di
quei re o signori che intendevano definire e consolidare un proprio
regno.
Questo processo, che subira' un ulteriore importante sviluppo e
consolidamento nei secoli XVII, XVIII, XIX, esigeva anche che i
membri di una certa "nazione" avessero una chiara percezione
del concetto di Noi e del concetto di Altri, magari Nemici.
Il rapporto con il passato romano, che era stato portatore di civilta',
venne in qualche modo rinnegato e vissuto con una ostilita' culturale
ostentata. In ogni caso, per potersi dare un'identita', occorreva
distinguersi da quella cultura unificante e totalizzante che da
troppi secoli era costituita dal mondo latino e romano. Occorreva
spezzare con decisione questo rapporto (pur conservandone tutti
i vantaggi pregressi) che veniva avvertito come un cordone ombelicale
troppo a lungo tollerato. Occorreva ricostruire una propria autonoma
storia, anche a costo di falsificare la Storia. E la confusa nebulosa
celtica era un'occasione da non lasciarsi sfuggire.
In Francia, sul finire del primo millennio, si era ormai perduto
lo slancio europeista di Carlo Magno, che aveva inseguito improbabili
progetti culturali estesi a tutto il continente, con l'aiuto di
Alcuino da York.
In un contesto segnato dal sorgere di regni e signorie, giunse all'improvviso
un racconto orientale, forse persiano, dal possibile nome di Parsifal
Namah, la Storia di Parsifal. Il racconto, debitamente tradotto,
suscito' eccitata curiosita' nelle piccole corti europee in formazione,
che avrebbero voluto anche loro essere raffinate, colte e mature
come le corti persiane dell'epoca. Chrétien de Troyes si
incarico' della riscrittura del racconto, a favore della corte di
Aquitania, e cerco' probabilmente di dare maggior corpo alla figura
del protagonista, cogliendo al volo la storia della vita di un personaggio
di cui raccontavano i pellegrini giunti dalla Toscana, un certo
Galgano. E al protagonista del racconto persiano furono fatti vestire
i panni del santo toscano. Qualcuno (Wolfram vn Eschenbach) avrebbe
avuto da ridire, ma intanto il gioco era fatto: l'area bretone si
era costruita un suo modello e un suo aggancio con un presunto passato.
Con l'aiuto dei Cistercensi e il consenso della Chiesa.
Ridimensionati i Cistercensi e cancellati i Templari, troppo sovranazionali
per i tempi nuovi, la Francia si sforzo' di riaffermare e consolidare
la propria identita' e la propria preminenza, tentando perfino di
trasferire il papato ad Avignone.
Alle soglie del periodo romantico l'abate Paul Yves Pezron, nel
1730, interpretando la volonta' francocentrica scrisse un'opera
che, ai nostri fini, risulta rivoluzionaria e fondamentale: l'Antichita'
della Nazione e della lingua gallica. In quest'opera i Celti, cioe'
i Galli, cioe' i Franchi, cioe' i Francesi presero decisamente corpo,
facendo risalire la propria genealogia a Gomer,figlio di Japhet,
figlio di Noe', genealogia nella quale trovano posto anche i Titani,
Saturno, Urano, gli Spartani.
I Galli - Celti sono cosi' diventati nos ancetres, i nostri antenati
in tutti i sensi e con tutti i crismi, e l'operazione continuera'
durante la rivoluzione, poi con Napoleone I e Napoleone III, giungendo
fino all'attuale classe politica, che continua ad incentivare il
consolidamento del filone celtico. E Roma aveva perso qualunque
diritto di paternita' culturale, conquistando il solo titolo di
invasore imperialista.
Sul Galles gravava una situazione complessa, legata ad una serie
di elementi che avrebbero influito non poco sulla cultura ufficiale.
Il primo elemento e' costituito dal gia' citato Goffredo o Geoffrey
di Monmouth. Si tratta di una figura storica di incerta origine,
che parla di se stesso come Gaufridus, o Galfridus, o Gaufrido de
Monemuta, che l'abilita' degli studiosi ha tradotto in un piu' rassicurante
Geoffrey de Monmouth, assegnandogli nazionalita' gallese.(4)
Goffredo, o chi per lui, si era appunto inventata una tradizione
gallese(5), facendo derivare il nome dei Britanni da un Bruto
preistorico, piacevolmente affine a quel Bruto che aveva accoltellato
Cesare.
In secondo luogo, agli inizi del 1700, lo scritto di Paul Yves Pezron
aveva attratto l'attenzione di Edward Lhuyd, uno studioso di Oxford,
che sognava una possibile derivazione della lingua gallese da un
ipotetico, affascinante celtico. E su questa ipotesi aveva scritto
pagine che avevano lasciato traccia nel pensiero locale, sostenendo
che i Gallesi discendessero dai Britanni e questi, a loro volta,
dai Celti.
Si era poi aggiunto, nel 1849, un altro testo, oggi ritenuto fondamentale,
composto a cura di Lady Charlotte Guest. Si trattava di una antologia
di racconti medievali gallesi, alla quale l'autrice diede il nome
di Mabinogion, spesso citata perche', fra le sue pagine, si individuano
racconti e figure che potrebbero avere analogie con quelle di cavalieri
della Tavola Rotonda.
Lady Guest faceva parte di un gruppo di appassionati cultori della
materia, che diedero forma o rivitalizzarono un'immagine gallese
storica e folcloristica fittizia ma affascinante.
In questo ambiente si materializzarono:
- il mito della discendenza da Noe'; (6)
- la definizione dell'abito delle streghe; (7)
- l'identificazione fra druidi e bardi; (8)
- il tentativo di costruire o ricostruire una antica lingua gallese. (9)
L'Irlanda godeva di una situazione particolare, decisamente invidiabile.
Gli irlandesi avevano alle proprie spalle una tradizione culturale
di tutto rispetto. Si raccontava che nel suo territorio si fossero
succedute almeno sei antiche dinastie di eroi. Le due ultime, fondamentali
per la storia locale, erano i Thuata de Danaan (la tribu' della
dea Danaan) e i Goidels, veri antenati degli odierni irlandesi.
In questo ambiente erano emerse alcuni mitici campioni, come Fionn
e Cu Chulainn. (10)
Queste leggende, riprese poi nei secoli seguenti, davano una certa
indipendenza e sicurezza di se' alla cultura irlandese, rendendo
meno pressante la ricerca di un collegamento con ipotetici Celti,
tantopiu' se invasori.
I monaci irlandesi, pur filtrando le leggende con la visione cristiana,
ebbero un ruolo decisamente fondamentale nel recupero delle tradizioni
locali. Lontani da Roma, isolati nella magia dei loro monasteri,
fornirono un prezioso contributo alla cultura della loro terra ma
anche a quella di tutta l'Europa e del mondo intero, raccogliendo
preziose tracce di antichita', elaborando meravigliosi codici miniati,
inviando ovunque i loro messaggeri spirituali: Columcille, Colombano,
Gallo e altri, che lasciarono consistenti tracce di se' dalle isole
britanniche al sud dell'Italia, raggiungendo anche l'Islanda, la
Groenlandia e il nord America.
Furono loro, fra l'altro, a perfezionare e diffondere quelle preziose
forme artistiche, legate alla decorazione dei codici, che oggi vengono
percepite come stile celtico.
Le vicende storiche che seguirono, soprattutto i difficili rapporti
con la vicina Britannia, stimolarono ripetutamente l'orgoglio locale,
anche nel periodo romantico del secoli XVII e XIX, cercando di dare
consistenza alla presunta identita' celtica di quest'isola.
Un discorso a parte meriterebbe la questione dei druidi, sull'esistenza
dei quali si costrui' una serie di teorie sostanzialmente inesatte
o false, dando loro ruoli, riti ed abiti di cui non esistono testimonianze
oggettive, prima del secolo XVIII.
La Scozia non fu da meno. Fino al settecento essa era rimasta la parente povera, nel complesso delle regioni britanniche. In qualche modo emarginata dal sud gallese o inglese, era vagamente connessa con la vicina Irlanda. Non possedeva e non condivideva tradizioni di grande importanza.
Fu cosi' che nei secoli XVIII e XXI ebbero luogo due fenomeni:
- quello che si puo' chiamare un trafugamento delle tradizioni, a danno dell'Irlanda;
- la rielaborazione artefatta di un complesso di elementi locali, tali da rendere la tradizione scozzese autonoma e dotata di un proprio folclore esclusivo.
Il risultato di queste operazioni puo' essere cosi' sintetizzato:
- vennero raccolte ballate irlandesi e trasferite nell'ambiente scozzese, dando corpo alla figura del presunto bardo Ossian; (11)
- furono inventati il kilt e i relativi colori dei clan scozzesi, operazione comunque compiuta dopo il 1700; (12)
- fu definitivamente affermata la radice celtica (o presunta tale) degli scozzesi.
L'operazione fu in qualche modo legittimata dai sovrani inglesi,
dall'ambiente militare (che adotto' kilt e cornamuse) e dalla nazione
intera, che fu coinvolta in eventi politici, militari e culturali
basati, appunto, su kilt e cornamuse, nonche' su clan, tartan, plaid
ed elementi di folclore relativi.
Pochi oggi, in Gran Bretagna e in tutto il mondo, dubitano della
genuinita' e dell'antichita' di queste presunte tradizioni.
Al di la' delle creazioni fantastiche di tempi piu' o meno recenti,
non possiamo che ripeterci la domanda gia' formulata: puo' essere
definito "celta" un ipotetico antico popolo, disperso
su un intero continente, che non ha elementi di identita' solidi
e comuni, non sa di esserlo e, comunque, non ha nessun interesse
per una propria identita' nazionale o soprannazionale, se non quella
occasionale e strumentale, prodotta da qualche sussulto nazionalistico
o politico?
Note:
(1) lo spunto e' tratto, con qualche modifica, da S. James
- I Celti popolo atlantico op. cit. pag 18.
(2) Si puo' controllare quanto affermato su opere come L.Rocci
- Vocabolario Greco Italiano - Ed. Dante Alighieri
(3) Gli esempi sono esposti con in modo semplificato. Sarebbe
necessario, piu' correttamente, riferire in merito agli studi fatti
in rapporto al sanscrito e al suo ruolo nella civilta' indoeuropea,
ma l'argomento esula dal presente testo. Si veda, ad esempio. G.
Semeraro - Le origini della cultura europea - Firenze 1984 - Ed
Olschki, oppure H.J. Stoerig - Abenteuer Sprache - Berlino 1987.
(4) Cfr. G. Agrati M.L. Magini (a cura di) - Merlino, l'incantatore
- Ed Mondadori 1996, pag. 348
(5) Come si e' detto, si veda Prys Morgan - La caccia al
passato gallese in eta' romantica - in L'invenzione della tradizione
- Torino 2002 - Ed.Einaudi
(6) Vedi il citato Prys Morgan, pag 67
(7) ibid pag. 79
(8) ibid. pag. 62
(9) ibid. pag. 70
(10) Vladimir Grigorieff - Les mythologies du monde entier
- Marabout Alleur 1987 Ed.It. Armenia pag. 119
(11) Hugh Trevor Roper - La tradizione delle Highlands in
Scozia - in: L'invenzione della Tradizione op.cit. pag21 e segg.
(12) Ibid. pag. 23
di Mario Moiraghi
m.moiraghi@intersafe.it




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