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22 Ottobre 2003 MISTERO
Massimo Polidoro
Il Cronovisore
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Marco Tullio Cicerone, il grande politico, oratore e filosofo romano, tiene un discorso al Senato nel 63 d.C. e un osservatore rileva: "I suoi gesti, la sua intonazione... com'erano potenti. E che fantastica oratoria!"
A fare questi commenti, però, non è un contemporaneo di Cicerone, bensì Padre Pellegrino Ernetti, un monaco benedettino nato nel 1925 e scomparso nel 1992. A rigor di logica, simili apprezzamenti sul portamento e sullo stile di un oratore sarebbero possibili solo osservando costui in azione: ed è esattamente quanto sostiene di avere fatto padre Ernetti. Non solo, il monaco avrebbe anche assistito a un discorso di Napoleone, a una tragedia latina del 169 d.C., e, addirittura, alla passione di Cristo sulla croce.
Un visionario mistico? Niente affatto, padre Ernetti era un musicista, un celebrato storico di musica arcaica al Conservatorio di Stato Benedetto Marcello di Venezia, un filosofo, un laureato in fisica quantistica e un appassionato di elettronica. Fu proprio grazie a queste sue passioni scientifiche che sarebbe riuscito a costruire, negli anni '50 del secolo scorso, il "Cronovisore", una vera e propria macchina del tempo! A differenza di quella romanzesca di H. G. Wells, però, la sua non trasportava le persone avanti e indietro nel tempo ma sembra permettesse "solo" di vedere nel passato eventi storici nel momento esatto in cui si svolgevano, come in una sorta di incredibile televisore tridimensionale.
Padre Ernetti, che nell'ambito della chiesa era anche un esorcista di fama, sosteneva che il Cronovisore era il risultato di molti anni di studio condotto insieme a un gruppo di 12 grandi scienziati che, però, preferivano restare anonimi. Gli unici di cui lasciò trapelare il nome erano Enrico Fermi e Werner von Braun, l'inventore della V2.
"Volevamo per prima cosa verificare che quello che vedevamo fosse autentico" raccontò Ernetti a un teologo francese, padre François Brune(1). "Così iniziammo con una scena abbastanza recente, della quale avevamo buoni documenti visivi e sonori. Regolammo l'apparecchio su Mussolini che pronunciava uno dei suoi discorsi. Poi risalimmo nel tempo, captando Napoleone (se ho ben compreso quello che diceva, era il discorso con il quale annunciava l'abolizione della Serenissima Repubblica di Venezia per proclamare una Repubblica Italiana). Successivamente andammo nell'antichità romana. Una scena del mercato ortofrutticolo di Traiano, un discorso di Cicerone, uno dei più celebri, la prima Catilinaria. Abbiamo visto e ascoltato il famoso: "Quousque tandem Catilina".
 La presunta foto dell'immagine del volto di Cristo in agonia sulla croce pubblicata sulla Domenica del Corriere.

Poco tempo dopo, continuava Ernetti, fu possibile assistere a una tragedia latina andata perduta, il "Thyestes", di Quinto Ennio, uno dei padri della poesia romana. Il monaco trascrisse la tragedia sostenendo di avere così restituito al mondo un tesoro perduto e di avere quindi dimostrato l'efficacia della sua meravigliosa invenzione.
Ma come era nata questa invenzione? Ernetti si mostrava reticente a parlare e a fornire dettagli, diceva che la scoperta era avvenuta per caso. Sembra che, all'epoca in cui lavorava con padre Agostino Gemelli, il fondatore dell'Università Cattolica di Milano, ebbe qualche esperienza di psicofonia. Questa pratica, di moda presso certi gruppi di spiritisti, sembra offrire la possibilità di registrare su nastro le voci degli spiriti dell'aldilà. Ernetti si convinse così di avere captato la voce del padre di Gemelli e immaginò che allo stesso modo si potessero captare le immagini di eventi del passato.
"In realtà", spiega Marco Morocutti, progettista elettronico e membro del Gruppo Sperimentazioni del CICAP, "tutte le verifiche fatte sulla psicofonia dimostrano che le voci registrate sono di solito interferenze radio di vario tipo captate dal registratore. Spesso, si tratta solo di rumori indistinti, ma la forte motivazione di chi pratica la psicofonia, e il desiderio di credere che chi non c'è più ci possa ancora parlarci, è sufficiente a farvi riconoscere tracce di una comunicazione intenzionale"(2).

 Immagine del crocifisso nel Santuario dell'Amore Misericordioso di Collevalenza (Todi).


La foto di Cristo
Quando gli si chiedeva di spiegare come funzionasse il misterioso Cronovisore, Ernetti sapeva essere anche più enigmatico. "L'intera elaborazione si basa su un principio di fisica accettato da tutti", disse in un'intervista alla Domenica del Corriere, "secondo il quale le onde sonore e visive, una volta emesse, non si distruggono ma si trasformano e restano eterne e onnipotenti, quindi possono essere ricostruite come ogni energia, in quanto esse stesse energia"(3). Era una spiegazione che non spiegava nulla, ma contribuiva indubbiamente a creare molta curiosità e attesa intorno a padre Ernetti.
Restava però il fatto che nessuno avesse mai visto questa macchina e che l'unica prova della sua esistenza fossero solamente le parole del monaco.
Fu forse per questo che, sullo stesso numero della Domenica del Corriere, Ernetti acconsentì che fosse pubblicata una fotografia(4) che lui disse ottenuta con il Cronovisore: l'immagine ritraeva il volto di Cristo in agonia sulla croce.
"Vidi tutto" raccontò Ernetti all'amico Brune. "L'agonia nel giardino, il tradimento di Giuda, il processo... il calvario". Ernetti sosteneva di avere addirittura filmato con una telecamera l'intera sequenza, ma l'unica prova che emerse fu quella foto.
Passarono pochi mesi, tuttavia, e l'enigma venne svelato: sul Giornale dei misteri dell'agosto 1972 fu pubblicata la lettera di un lettore e una fotografia . La foto, acquistata per 100 lire al Santuario dell'Amore Misericordioso di Collevalenza, vicino a Perugia, mostrava un primo piano di una scultura in legno del Cristo sulla croce: il volto era uguale a quello della foto di Ernetti. Lo stesso padre Brune fu costretto ad ammettere che le due foto erano identiche.
Forse a causa dello scandalo suscitato, padre Ernetti fu invitato dai suoi superiori a evitare di alimentare ulteriori polemiche. A padre Brune, che gli chiese conto dell'evidente inganno, Ernetti rispose che lo scultore che aveva realizzato il crocefisso era stato ispirato da una monaca spagnola che, in una visione, aveva visto la crocefissione di Cristo. Per questo, sosteneva, il volto del crocefisso e quello da lui fotografato con il cronovisore si somigliavano tanto: entrambi ritraevano il vero volto di Gesù! Ma le foto erano identiche anche nelle ombre e nei riflessi di luce, segno che non era tanto lo stesso volto a essere stato fotografato, ma la stessa foto a essere stata riprodotta.


Una confessione?
Del misterioso cronovisore non esiste nessuna traccia, lo stesso Ernetti sosteneva che era stato quasi subito smontato e i suoi pezzi dispersi per evitare che una simile macchina cadesse in mano a potenze malintenzionate.
Cosa concludere quindi su una vicenda molto suggestiva e affascinante ma totalmente priva di qualunque riscontro concreto?
"E' vero, non esistono testimoni attendibili circa quanto affermava Ernetti" riconosce Peter Krassa, autore di un recente volume sulla vicenda(5). "Nessuno ha mai visto il cronovisore, nemmeno Brune che gli era molto vicino. Inoltre, Ernetti non disse mai chi erano gli scienziati che lavorarono con lui. Le uniche eccezioni erano Fermi e Von Braun che però erano già morti al momento del suo annuncio"(6).
Oltre alla fotografia, dimostratasi un falso, anche l'unica altra prova che il cronovisore sia esistito, la trascrizione del "Thyestes", la tragedia perduta di Quinto Ennio, a un esame più attento si è rivelata inconsistente. Katherine Owen Eldred, una classicista dell'Università di Princeton e una delle massime esperte del "Thyestes", spiega che il testo di Ernetti è molto breve e include quasi tutti i frammenti della tragedia che erano già noti: "Le parti "nuove", per quanto dimostrino che l'autore aveva una buona conoscenza del latino antico, non possono considerarsi auentiche poiché contengono numerose parole che sarebbero entrate nel linguaggio latino solo 250 anni dopo che Ennio scrisse la sua tragedia"(7).
Infine, come in ogni buon giallo pieno di complotti e rivelazioni inaspettate, è arrivata anche la confessione: nel suo libro, infatti, Krassa riporta la lettera di un non meglio identificato nipote di Ernetti che avrebbe raccolto le ultime volontà del monaco sul suo letto di morte. Era vero, Ernetti aveva mentito, la foto di Cristo era falsa e il Thyestes l'aveva scritto lui, ma l'aveva fatto perché sperava di riuscire un giorno a trasformare il Cronovisore in realtà.
Vittima di una fede mal riposta, convinto forse che una pia frode avrebbe aiutato la diffusione del cristianesimo, oppure prigioniero per tutta la vita di una menzogna iniziata per gioco? Non potremo mai saperlo... almeno finché qualcuno non inventerà per davvero una macchina del tempo che ci permetta di tornare da padre Ernetti a chiederglielo di persona.

Tratto da "Enigmi della storia: da Stonehenge al Santo Graal" di Massimo Polidoro - Edizioni Piemme 2003. Riproduzione autorizzata e limitata a questa occasione.

Note:
(1) Brune, François e Remy Chauvin, En direct de l'Au-Delà, Parigi, Robert Laffon, 1993 (trad. ital. In diretta dall'aldilà, Roma, Edizioni Mediterranee, 1998). Vedi anche: Brune, François, Cronovisore. Il nuovo mistero del Vaticano. La macchina del tempo, Roma, Edizioni Mediterranee, 2003.
(2) Per saperne di più sulla psicofonia vedi: Morocutti, Marco, Voci dell'aldilà. Indagine sulla psicofonia, Roma: Avverbi, 2001. Vedi anche il sito di Marco, dove sono presenti molti esempi di presunte "voci" dell'aldilà: http://www.marcomorocutti.it
(3) Maddaloni, Vincenzo, "Inventata la macchina che fotografa il passato", La Domenica del Corriere, n. 18, 2 maggio 1972.
(4)
De Silva, Alfonso, "Lettera", Giornale dei misteri, n. 17, agosto 1972.
(5) Krassa, Peter, Father Ernetti's Chronovisor, Boca Raton, FL: New Paradigm Books, 2000.
(6) Heinzerling, Jünger, "The Voyeur of Time", Fortean Times, n. 165, Dicembre 2002, p. 35. Sullo stesso numero, vedi anche: Chambers, John, "Father Ernetti's Machine", Fortean Times, n. 165, Dicembre 2002, pp. 30-34.
(7) Krassa, Peter, op. cit.

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