Antichi rituali pagani nelle tradizioni popolari del Sud Italia
Come i rami e le gemme crescono e sbocciano su ruvidi e secolari
tronchi, così spesso capita che aspetti di una nuova religione
attecchiscano su vetusti legni di passate credenze, assorbendone
usi e tradizioni. Nel Cristianesimo, religione fortemente intrisa
di elementi pagani, pur nel suo opporsi a tali pratiche, tale consuetudine
è fortemente presente.
Esempio potrebbe essere Sant'Antonio, l'abate anacoreta su cui si
sono accumulate e stratificate antiche credenze e remoti rituali
in questo modo poi assorbiti dalla mistica figura attraverso un'operazione
di sincretismo religioso.
Miste ad immagini fortemente cristiane, però, ecco che e
feste stagionali rimangono ancora oggi il più evidente ricordo
dell'ancestrale culto pagano delle campagne.
La Festa di Sant'Antonio e le Tradizioni Popolari nel Sud Italia
Non c'è un santo più fortemente radicato nella tradizione
popolare e tra le genti contadine come il Santo Anacoreta. La festività
del santo si svolge normalmente in occasione della data della sua
morte tra il 16 e il 17 Gennaio, e presenta, in tutti i luoghi,
elementi comuni come i falò, le tradizioni alimentari, la
benedizioni degli animali e l'uccisione del porco rituale.
Il Tema della Questua e dell'Orgia Alimentare
Tipici elementi distintivi della tradizione delle feste del fuoco
legate all'Anaconeta sono, come già accennato prima, il tema
del banchetto rituale, ed in particolare la Questua, la Distribuzione
Gratuita di Cereali e l'Orgia Alimentare, che oggi si manifesta
nei numerosi punti di ristoro presenti nei borghi ove avvengono
i festeggiamenti.
In passato però la tradizione era molto più rigida,
definendo ben precisi momenti di festa.
La fase iniziale coincideva con la Questua, in realtà il
prologo dei festeggiamenti e dei banchetti che si svolgevano e tutt'ora
svolgono, in numerose regioni d'Italia. Il termine deriverebbe dal
latino questa, questuo, quaestus, quaerere, cioè chiedere.
Qualche giorno prima del dì di festa, gruppi di uomini del
paese andavano in giro di porta in porta a chieder cibarie che poi
sarebbero servite ad allestire il banchetto in onore del Santo.
La questua è di solito organizzata dai giovani ragazzi del
paese e normalmente si presenta come più di una "richiesta".
Infatti diviene una vera e propria manifestazione folklorica, i
questuanti vanno in giro di casa in casa cantando e suonando, in
alcuni casi anche mettendo in opera una pantomima teatrale che narra
gli episodi di vita tra Sant'Antonio e il Diavolo.
Nella tradizione vi è l'obbligatorietà di donare qualcosa,
in realtà, il rifiuto, non è un'offesa alla comunità
privata dell'"apporto" di un suo membro, ma al santo stesso,
in un alone di timore e riverenza che avvolge la figura indifferentemente
in grado, come vedremo successivamente esaminando i patronati, di
graziare o punire.
Del resto il fatto che i doni fossero intesi non solo per il banchetto
ma proprio come offerta all'Anaconeta è testimoniato proprio
dall'usanza tra i questuanti di vestirsi da Sant'Antonio,
"una persona vestita di camice, con barba di stoppa, mitra
di carta, bordone con campanello, accompagnata da cantori e suonatori
"(1),
con tanto di campanello nelle mani del santo sempre pronto a tintinnare,
un modo quasi per riproporre la vera presenza terrena del Santo.
Ancora oggi il ricordo delle antiche questue alimentari è
vivido nei canti popolari regionali, come in quel dell'Abruzzo "
Sant'Antonio
de la rocca damme' na piega de savicicce, e si ni mi li vo da' ti
si pozza fracicà
" o ancora "
e si nun
ng' date niente ve pjjasse ia' n' accidente
"(2).
Il Tema del Banchetto e l'Orgia Alimentare
Come accennato in precedenza, la questua è solo la prima
fase dei preparativi della festa, e cioè del banchetto alimentare.
In moltissime piazze di tutta Italia si accendono fuochi e si pongono
calderoni nei quali vengono cotti ogni tipo di cereale.
La tradizione vuole che questi vengano distribuiti gratuitamente
ad ogni viandante, ad ogni povero, ad ogni sconosciuto che, nel
sui "ire", potrebbe essere lo stesso Sant'Antonio o, l'antico
Nume tutelare del luogo.
Ecco che però già traspare in questi comportamenti
la superstizione, e così il cibo acquista un valore magico-apotropaico,
così sembrerebbe che i pani e ci cibi di Sant'Antonio possano
allontanare i mali e avere poteri di protezione, alleviare il peso
della gestazione alle donne partorienti come traspare dalle canzoni
popolari
"Sant'Antonio mio benigno, io ti prego e non so' degno. Come
nostro protettore, prego a Cristo salvatore. La mia vita è
castigata. Molte grazie Dio ci ha dato. La virtù degli stensorio
[si tratta dell'ostensorio n.d.A.], facci la grazia Sant'Antonio
quelle
povere vedovelle, quelle povere 'rfanelle, quelle povere partorienti,
che gli passa l'ingrandimente
"(3)
La tradizione del banchetto, in realtà, in numerosi paesi,
aveva forse anche a causa del rigido clima, un carattere domestico,
tutta la famiglia infatti si riuniva attorno al fuoco del caminetto
sul quale apparivano innumerevoli immagini e santini dell'Anaconeta.
Però anche l'ambito domestico non era uno spazio chiuso,
ma, proprio come capitava nel caso dei banchetti comuni, gli usci
aperti delle case, invitando i passanti e gli abitanti dello stesso
borgo a portare i saluti nelle singole case assaggiando deliziosi
piatti e bicchieri di vino.
Spesso questi festeggiamenti si tramutavano in vere e proprie orge
alimentari, come testimoniato dalla tradizione in molti paesi di
dar vita ad un pasto che iniziava in serata e terminava all'alba
del giorno 17.
Era un modo di rompere il tabù della dura frugalità
del pasto contadino e finalmente festeggiare l'arrivo delle nuove
messi.
Altro interessante tema legato al santo è quello del patronato
sugli animali.
In realtà questa caratteristica è data al Santo solo
dalla tradizione popolare e non è presente nella agiografia
dell'Anaconeta, anzi, dalle fonti classiche sembrerebbe trasparire
un odio del Santo verso gli animali spesso confusi con il demonio.
Un esempio potrebbe essere il seguente passo, mentre era in eremitaggio
in una grotta nel deserto, "
vi irruppero demoni che avevano
assunto diverse forme di bestie feroci e di rettili, e il posto
si riempì subito di fantasmi di leroni, di orsi, di leopardi,
di tori, di serpenti
" che cacciò imperterrito.
Atanasio poi ripropone la "distanza" tra animali e Anacoreta
quando, narrando un'episodio della vita del santo, "
alcuni
animali feroci, avvicinandosi a bere, provocarono danno di frequente
al seminato e al terreno coltivato. Allora egli ne afferrò
pian piano uno dei tre e disse
perché mi portate danno,
mentre io non ve ne faccio? Andatevene via e nel nome del Signore
non avvicinatevi mai più
".
Ecco che però la tradizione popolare fa trasformare il santo
in protettore degli animali in un ricordo legato, come vedremo,
ad antichi culti pagani autoctoni.
Solo successivamente, a causa del forte radicamento nella tradizione
popolare di tali usi e credenze,
il tema sarà assorbito anche dalla religione ufficiale, come
testimonierebbe la Benedictio equorum aliorumve animalium del rito
Romano.
In realtà, come già accennato, le tracce di questa
credenza sono molto antiche, le troviamo già nel Boccaccio
quando, nel suo Decamerone, fa dire a Fra' Cipolla "Acciò
che il beato santo Antonio vi si guardia de' buoi e degli asini
e de' porci e delle pecore vostre
".
Ma ancora una volta sono gli stornelli e i canti popolari a riproporci
l'antico tema del Santo protettore delle bestie domestiche
"
e se hai una gallina l'anno prossimo ne avrai una sessantina,
e se hai un porcellino per l'anno prossimo un mucchietto, e se tieni
jna pecorella, per l'anno prossimo un mucchio
"(4)
Non si può dimenticare poi l'usanza di affiggere, sull'ingresso
delle stalle o dei dormitori degli animali, immagini e santini raffiguranti
il santo raffigurato circondato da animali e con il fuoco in mano.
A queste forme fortemente "cristiane" si associano poi
le formule magico apotropaiche per guarire gli animali, come nel
caso di un antico rituale che parla di collocare su un piatto due
chiavi incrociate, una maschio e una femmina, e di ripetere per
tre volte
"sante crismale medichè lu cape, sante Siste mèdiche
Gesù Criste, Sant'Antuone mèdiche buone, mèdiche
quella vena, che tanta guerre mena".
Il Maialino animale totemico del Santo
Se Antonio è protettore degli animali ed è spesso
raffigurato circondato da essi, particolare importanza assume, nell'iconografia,
il maialino, tanto da dare addirittura un epiteto all'Anaconeta
conosciuto anche come Sant'Antuono"de lu purcelle".
"Sant'Andone de gennare era frate era purcare, che nu tocche
di campanelle, ritirève le su' purcelle"
Da sempre il maiale è legato al mondo del numinoso e al
diavolo, in alcune tradizioni popolari era proprio il demonio poi
convertito dal Santo. In realtà però, nel mondo contadino
rurale, il maiale era un animale preziosissimo nell'economia popolare.
Egli era spesso ingrassato proprio lasciandolo libero di circolare
e nutrirsi delle ghiande dei boschi, forse da qui il ricordo del
maialino comprato proprio in onore del santo.
Sicuramente il rito doveva comunque avere una valenza sacrale notevole
se addirittura scomoda il noto inquisitore Martin del Rio che dice
"coloro che castrano i porci li affidano a S.Antonio, e se
i porci donati a S. Antonio sono offesi da quavuno, costui non resta
impunito".
E' nella Antonianae Historiae del 1534 che troviamo per la prima
volta un riferimento al porco. L'episodio narra che mentre il santo
si trova a Barcellona viene raggiunto da una scrofa che aveva tra
le fauci un piccolo porcellino zoppo e malato. Deposto davanti al
santo in atto di preghiera, quasi a chieder la grazia per l'animaletto,
l'animale viene guarito dal Santo con un segno della croce che,
grazie a questo prodigio, converte tutta la città. Da allora
egli viene raffigurato con ai piedi un maialino.
Questo episodio è ancora ricordato nella tradizione popolare
che vuole nel giorno di festa del Santo siano uccisi dei maiali
ed offerti ai questuanti
"in molti comuni usano comprare un porcello a cui appendono
un campanellino. La bestiola vaga liberamente nel paese, dorme dove
gli pare e piace, senza pericolo che alcuno faccia neanche in pensiero
il peccato di rubarlo; e tutti di buon grado danno da mangiare al
porco di Sant'Antonio".
Il giorno di festa poi, il porcello veniva venduto all'asta e il
ricavato poi serviva per finanziare la festa e in parte per acquistare
il porco dell'anno seguente.
Il maialino dell'anaconeta però, come nel caso dei pani
ha, nella tradizione popolare, una valenza terapeutico-sacrale.
Così le carni del porcellino di Sant'Antonio erano distribuite
tra i fedeli e si credeva fossero medicamentose, un esempio, dunque,
di cannibalizzazione del divino, un rituale da sempre presente nelle
civiltà antiche e che riporta agli atavici culti del dio
vegetazionale che deve morire per poi risorgere, un tema molto caro
ad un altro periodo di festa, il Carnevale, che proprio con le festività
di Sant'Antonio viene ufficialmente "aperto".
Rituali sicuramente molto antichi se a Creta, durante la celebrazione
della morte della divinità, si sbranava a morsi un toro vivo,
mentre in Grecia, durante i rituali dionisiaci si usava cibarsi
di un capretto.
Le ragioni di tali pasti sono semplicissime: il selvaggio mangiando
la carne di un uomo o, in questo caso di un animale, crede di acquistarne
le qualità caratteristiche, non soltanto fisiche ma anche
morali. Se, come in questo caso, si tratta di un essere divino o
direttamente a lui collegato, l'uomo antico pensa di assorbire,
con la sostanza materiale, una parte di divinità. Pertanto
il bere vino nei riti di una divinità della vite, come Dioniso,
o il cibarsi di animali sacri al dio non è una gozzoviglia
ma un sacramento solenne.
La Festa del Fuoco
La tradizione del 16 Gennaio vuole che, per festeggiare il santo
anacoreta si debbano accendere sulle colline o nelle piazze dei
paesi, enormi falò, i cosiddetti fuochi di gioia.
Così in diversi paesi del Sud Italia alla questua alimentare
precedentemente descritta si associa quella della "legna di
Sant'Antonio" usata proprio per il falò rituale.
Anche questo aspetto della festa di Antonio affonda però
le sue radici in un atavico passato ed in particolare in quelle
"feste del fuoco" tipiche del mondo pagano.
Le spiegazioni che può esser data a questo tipo di rituali
sono essenzialmente due, da una parte si è pensato che tali
riti si basassero su una magia imitativa o "simpatica"
del ciclo solare, dall'altra che avessero solo una funzione purificatrice.
L'idea della rappresentazione in terra del ciclo solare deriverebbe
da una serie di usanze come il far ruzzolare una ruota infuocata
giù per una collina, e può esser ben applicata anche
alle torce, in quest'ottica il correre per i campi con fiaccole
accese è semplicemente un modo per diffondere la luce nelle
campagne.
Nel momento in cui l'Inverno si fa più duro ecco che l'uomo
tenta di esorcizzarlo riportando la "luce" sulla terra.
Secondo l'idea primitiva di magia simpatica o imitativa, così
come fuochi scaldano gli uomini, allo stesso modo il Sole deve tornare
a riscaldare la terra.
L'altra idea è quella della purificazione, forse sviluppatasi
in un periodo posteriore, e legata all'aspetto distruttivo dell'elemento
stesso, concetto facilmente espresso dal bruciare l'effigie un fantomatico
fantoccio che rappresenterebbe proprio lo spirito arboreo. Questo
deve morire tra le fiamme perchè la luce e il calore sono
necessari ai vegetali per crescere: in altre parole il dio dei boschi
brucia nel sole assicurando così all'intera vegetazione calore
e luce.
Ancora una volta ecco così che con un'operazione sincretica,
il Cristianesimo si appropria di antiche tradizioni pagane e così
il Santo diventa anche colui che padroneggia il fuoco, come ben
suggerito dalle comuni raffigurazioni iconografiche che vogliono
il santo rappresentato sempre con la fiamma viva nel palmo del Santo.
Nella tradizione popolare, poi, il tema del fuoco è collegata
ad un'altra caratteristica del Santo, quella di poter guarire gli
ammalati di ignis sacre o "fuoco di Sant'Antonio".
Interessanti testimonianze in merito sono portate dal Pitrè
che descrive numerose preghiere e scongiuri siciliani per ottenere
la guarigione.
"Sant'Antoniu autu a putenti, Mmau aviti lu focu ardenti, comu jistivu pilivanti e punenti, comu ammanzistivu li porci di Tubia, ccussì ammanzisti li cristiani a vogghia mia"(5)
Se dunque una prima valenza dell'elemento igneo può essere quella terapeutico-sacrale legata alla malattia, macrocosmicamente questa "guarigione umana" viene trasposta a quella dei campi, la fiamma diventa così il fuoco rigeneratore della tradizione pagana e dunque ciò che rimane del fuoco del santo, le ceneri, devono esser raccolte per poi spargerle nei campi e assicurare loro fertilità in un rituale dunque che riporta prepotentemente a quelle credenze pagane agro-pastorali.
Sant'Antonio e La cacciata del Nume Inverno:
Il rito dei Campanacci di San Mauro Forte
Dopo questo excursus sulle tradizione legate alla festa di S. Antonio
Abate merita soffermarsi, per la particolarità e l'amenità
dell'evento, su una festa folklorica del tutto particolare e che
dunque che si svolge a San Mauro Forte, bellissimo borgo della Lucania.
Qui, tra il 15 e il 17 Gennaio un cupo, fragoroso e assordante rumore
di campanacci sconvolge la quieta esistenza del borgo.
L'isolamento geografico dell'area, racchiusa nell'abbraccio dei
monti del cuore della Basilicata, ha poi contribuito ad un prefetto
stato di non mutamento che ha permesso il tramandare, attraverso
la conoscenza popolare, di antiche tradizioni cariche di arcaici
ed unici sapori, non solo dunque un ricordo, ma una vera e propria
reviviscenza popolare.
Così ecco che persone di ogni età, dal 15 gennaio
fino all'alba del giorno 17, muniti di ogni tipo di sognaglio, campana
o del classico cupa cupa, una pignatta di terra chiusa con pelle
di capra, alla quale viene legata una cannula che, mossa, producono
suoni assordati proprio con lo scopo di allontanare il "Buio".
La festa, oggi legata al Santo, altro non è, in realtà,
che ricordo di atavici rituali di propiziazione e fertilità
campestre, espressione di quelle festività apotropaiche del
calendario agro-pastorale legate alla Grande Madre e al suo compagno
il Dio Vegetazionale.
Moltissimi così sono gli "indizi" che ci portano
al cospetto del "Nume Inverno".
Già la scelta dei due strumenti musicali tipici dell'area
non sembra casuale, se il cupa cupa, realizzato proprio con la pelle
di capretto, animale totemico della divinità maschile, ricorda
rituali dionisiaci come il ballo sul tamburo, in maniera ancor più
marcata la campana manifesta simbologie femminili e poteri apotropaici
del tutto evidenti.
Da sempre la campana, in generale, è elemento legato ai culti
femminili della Grande Madre, l'autoctona Meftis, raffigurando,
nella sua forma, l'unione sessuale dell'elemento maschile, il batacchio,
con la "vulva" femminea rappresentata dallo strumento
stesso e dunque per questo simbolo di fertilità e abbondanza.
Così nella tradizione popolare la campana è dunque
lo strumento che, proprio per sua conformazione, stimolerebbe la
fertilità della donna.
In Lucania si tramandava l'usanza di far saltare sulle campane le
donne che non potevano avere figli, come nel borgo di Savoia ove
ancora verso i primi del secolo scorso fanciulle saltavano sopra
queste mentre venivano fuse. Tale tradizione si ripresenta in un
classico giuoco fanciullesco, detto appunto "della campana".
Bambini, quasi sempre di sesso femminile, disegnavano sulla sabbia
o sull'asfalto, con gesso o carbone, un disegno chiamato appunto
"campana" composto da varie linee orizzontali e ciascuna
con un numero progressivo dal basso verso l'alto, per poi saltarci
sopra cercando di afferrare una pietra prima gettata su di essa.
Ancora moltissime poi sono le Campane magiche o dotate di un qualche
potere rigenerativo, così si narra che coppie sterili si
recassero al Santuario di Monticchio per suonare di propria mano
la campana ed ottenere così fertilità.
Non si può poi dimenticare la campanella sempre presente
negli amuleti popolari come il famoso braccialetto noto come il
"13".
Se la campana ha dunque un potere benefico, non fa eccezione il
suo suono, da tempo immemorabile, era considerato efficace protezione
contro tutte le negatività e difesa da esseri maligni come
streghe e stregoni, fino ad avere il potere di scacciare tempeste
e temporali.
E' proprio qui che risiede la spiegazione all'ancestrale rituale
di San Mauro Forte.
In passato, quando minacciava una pioggia che poteva in qualche
modo rovinare un raccolto, si usava suonare le campane della chiesa,
usanza ancora oggi non infrequente e che ripropone, in qualche borgo
di campagna, a temporale all'orizzonte, un breve scampanio.
L'antica tradizione è dunque rimasta e il suono della campana
diviene strumento per allontanare l'oramai già stanco inverno.
Ancora però un altro "indizio" che riporta la festa
di San Mauro al culto della Grande Madre è la tradizione
che vuole i campanari iniziare il loro cammino effettuando tre giri
intorno alla chiesetta di San Rocco, dov'è custodita l'effigie
di Sant'Antonio Abate. Si tratta in realtà di un rituale
in realtà comune in numerose feste popolari della regione
e non solo e che ripropone il tema del culto delle sacre pietre.
L'altare, e dunque la chiesa stessa prendono il posto, con una vera
e propria di sovrapposizione di culti, dell'antico betile, l'elemento
litico espressione della fecondità del dio maschile e che
nascondono nell'etimologia, Beth El, letteralmente "casa di
Dio", lo stesso significato cristiano della Chiesa attorno
alla quale si espleta lo strano rituale.
Ancora una volta ci troviamo così di fronte ad un rito di
fertilità, uomini e donne ruotano attorno ad un lingam primordiale
per assicurare, macrocosmicamente, la fertilità della Grande
madre dei campi il cui ricordo è la presenza della spiga
sui cappelli dei suonatori.
Con l'avvento del Cristianesimo dunque, non potendo cancellare un
rituale così fortemente radicato nella tradizione popolare
da far assicurare a memoria d'uomo che non c'è mai stato
un anno senza lo svolgimento della festa delle campane, viene ad
essa sovrapposto il culto di Sant'Antonio Abate, spesso raffigurato,
come già detto in precedenza, con la campanella.
Da non trascurare poi è la tradizione nel borgo dell'uccisione
del "maiale rituale" che avviene il giorno 17, sicuramente
simbolo legato, come già descritto al santo anacoreta, ma
che nasconde gli antichi ricordi di rituali di smembramento pagani
precedentemente descritti.
Il vino e la carne del porcello così non sono una semplice
gozzoviglia, ma un rito solenne, un modo di rendersi partecipe di
quella scintilla di divino che è insita nella immanenza stessa
della divinità e che permea magicamente l'intera festa.
Note:
(1) Di Nola A., Gli aspetti magico-religiosi di una cultura
subalterna italiana; Bollati Boringhieri, 2001 Torino
(2) Di Nola A., Op. Cit.
(3) Di Nola A., Op. Cit.
(4) Di Nola A., Op. Cit
(5) Pitré G., Medicina Popolare Siciliana, Barbera
Editore, Firenze, 1949
di Andrea Romanazzi
andrji00@libero.it
di Michael A. Cremo, Richard L. Thompson2. Archeologia Misterica
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