ALESSANDRO MANZONI, I PROMESSI SPOSI e DON SERAFINO MORAZZONI

“Carneade, chi era costui?”

E’ la prima frase con cui ci viene presentato il simpatico personaggio di Don Abbondio nei Promessi Sposi.

Parafrasando questa frase potremmo dire: “ Don Serafino Morazzoni, chi era costui?”.

Gli studiosi di Alessandro Manzoni lo sanno molto bene. Io mi son dovuto leggere l’intero pdf di “Fermo e Lucia”, la prima versione dei promessi sposi rimasta manoscritta sino al 1825. (si trova gratuitamente su internet in formato PDF).

Come tutti sappiamo i Promessi Sposi sono ambientati nel 1600 in un periodo in cui è arrivata la famosa peste (chiamata appunto “Manzoniana”).

Ebbene Don Serafino Morazzoni era il parroco del paese di CHIUSO…ed amico intimo di Alessandro Manzoni.

Tra i due vi era qualcosa di più di un rapporto di amicizia perché il Manzoni lo inserisce nella sua prima versione del Fermo e Lucia…commettendo un grave e stranissimo errore cronologico, inserendo un personaggio suo contemporaneo in un romanzo ambientato nel 1600.

Dopo aver scorso quasi tutto il libro di Fermo e Lucia ho trovato questo passo:“Il curato di Chiuso don Serafino Morazzoni era un uomo che avrebbe lasciato di sé una memoria illustre, se la virtù sola bastasse a dare gloria fra gli uomini. Egli era pio in tutti i suoi pensieri, in tutte le sue parole, in tutte le sue opere; l’amore fervente di Dio e degli uomini era il suo sentimento abituale: la sua cura continua a fare il suo dovere e la sua idea del dovere era: tutto il bene possibile; credeva egli sempre adunque di rimanere indietro, ed era profondamente umile, senza sapere di esserlo; come l’illibatezza, la carità operosa, lo zelo, la sofferenza, erano virtù che egli possedeva in grado raro, ma che egli si studiava sempre di acquisire”.

Da notare che nella descrizione del parroco Manzoni usa il verbo ERA. Infatti il manoscritto di Fermo e Lucia è stato redatto subito dopo la morte di Don Serafino Morazzoni e forse anche in omaggio alla sua figura carismatica.

Nei Promessi Sposi la figura di Don Serafino Morazzoni scompare e viene sostituita dall’arcinoto Fra Cristoforo…che era il Parroco di Chiuso (strana coincidenza).

Manzoni descrive bene il paese di Chiuso con queste parole: “l’ultimo borgo collocato al confine tra il territorio di Lecco e quello di Bergamo”.

Lucia Mondella abitava a CHIUSO. Don Cristoforo (parroco di Chiuso) era il suo “padre confessore”. Cioè se un abitante di Chiuso si recava in parrocchia a confessarsi prima di accedere alla santa comunione …trovava don Cristoforo (alias Don Serafino Morazzoni).

Lucia Mondella ripone nel frate cappuccino una grande fiducia, tanto che inizialmente rivela solo a lui di essere stata importunata da don Rodrigo.

Ma Lucia non era l’unica persona che riteneva don Serafino Morazzone un prete così “pio” da aprirsi interamente e da confidare i propri segreti anche più intimi…c’era anche lo stesso Manzoni.

Lo scrittore conobbe il parroco di Chiuso in quanto la sua parrocchia era poco distante dalla villa del Caleotto dove la famiglia Manzoni trascorreva lunghi periodi.

Il parroco Morazzone è stato parroco di Chiuso per oltre 45 anni sino al giorno della sua morte: Aprile del 1822.

Questa data non è “casuale” è esattamente la data in cui Manzoni decide di scrivere la prima versione manoscritta di Fermo e Lucia.

La continua frequentazione col parroco di Chiuso (tanto da riportane una sconfinata ammirazione, come si evince dalla sua descrizione, sopra citata) probabilmente lo portò a parlare con questo sacerdote di fatti che accadevano a Chiuso ed è probabile che Manzoni seppe da lui alcuni episodi “incresciosi” che accadevano nella sua parrocchia. Ad esempio che delle belle ed innocenti ragazze venivano adocchiate da ricchi e possidenti nobili e costrette con la forza a compiacere ai loro desideri. Anche ai tempi di Manzoni l’impunibilità della classe dei nobili (ricca e potente anche politicamente) contro un esponente delle classi contadine, era cosa nota e da Manzoni ben conosciuta.

L’idea di scrivere un romanzo per denunciare questa “ingiustizia sociale” può essergli venuta da questi racconti. Ma come evitare che questi racconti potessero essere riconosciuti come veri dai suoi contemporanei?

Ambientarli in un lontano passato è sicuramente la soluzione migliore. Per far questo il Manzoni si è studiato due testi che descrivevano bene l’ambiente del 1600 e da cui ha attinto sopratutto la descrizione dei Bravi e l’ambientazione per la famosa peste del 1600.

Si è spesso discusso sulla reale localizzazione del famoso Castello dell’innominato. A Vercurago ci sono i ruderi di un castello posto su un cocuzzolo e in posizione dominante su tutta la valle chiamato appunto “il Castello dell’Innominato”. Casualmente quel castello si trova a strapiombo sul paese di CHIUSO.

La residenza di Don Rodrigo è descritta come posta su un poggio in modo che potesse vedere tutto il territorio circostante ma nessuno potesse essere in posizione più alta da osservare lui.

Questa è esattamente la descrizione di quella costruzione di Vercurago chiamata “il Castello dell’Innominato”. E’ quindi molto probabile che il signorotto di Vercurago con la sua residenza sul cucuzzolo da cui tutto domina, avesse familiarità con la popolazione che abitava nel paese sottostante CHIUSO (dove abitava Lucia), l’avesse vista e se n’era invaghito.

Ma allora…se tutti i personaggi importanti dei Promessi Sposi sono personaggi CONTEMPORANEI ad Alessandro Manzoni, chi potrebbe essere l’Innominato?

Un personaggio che NON poteva essere neanche nominato, ed è una delle figure più importanti.

La scena fondamentale in cui si evidenzia tutta la forza di questo personaggio è la scena della sua conversione.

Il Manzoni ha voluto ambientare nella canonica di Chiuso il celebre incontro tra il cardinale Federigo e l’Innominato (nella prima stesura chiamato il Conte del Sagrato).

Alessandro Manzoni non era sempre stato un fervente cristiano. Quando era giovane avrà vissuto come gli avevano insegnato la sua famiglia in maniera “disinvolta”.

La famiglia Manzoni era originaria dalla Valtellina. Divennero ben presto molto ricchi grazie ai commerci ed all’estrazione del ferro di cui la Valtellina è molto ricca.

Stabilirono una sede a Milano ed una vicino a Lecco.

La loro “potenza” era tale che i contadini della zona ne descrivevano la loro “tracotanza ed alterigia”. Si narra, infatti, che chiunque passasse davanti al loro palazzo, dovesse togliersi il cappello e salutare. Se non c’erano i membri della famiglia in casa, perlomeno salutavano il loro cane.

Quindi un giovane ricco, nobile, e “tracotante” potrebbe avere avuto una vita disinvolta se non anche dissoluta.

Quando da grande si è convertito al cristianesimo più ortodosso ha cercato un prete confessore che potesse aiutarlo a “cambiare vita”.

Celeberrima la scena dell’innominato che entra con le mani sporche di peccato: “ Voi non sapete cosa han fatto QUESTE che volete stringere”…ed esce piangendo e redento dalla volontà divina.

Questo è esattamente il percorso che ha fatto Manzoni utilizzando per inciso la stessa LOCATION: La parrocchia di Chiuso dove ufficiava il suo amico/confessore Don Serafino Morazzoni.

Alla morte del Morazzoni la sua personalità pia e caritatevole è stata segnalata a Roma e dopo un lungo processo di beatificazione è stato dichiarato Beato nel…2011.

Per quell’occasione è stata aperta la sua bara ed al suo interno è stata trovata una lettera ancora chiusa scritta, di suo pugno, da Alessandro Manzoni per il suo amico.

Questa lettera è stata portata in Vaticano insieme alle ossa del Beato Morazzoni (la sua memoria liturgica cade il 9 maggio, anniversario dell’ordinazione sacerdotale)…e quindi non se ne conosce il contenuto (anche se ci è pervenuto da indiscrezioni di chi ha avuto modo di leggerla). La lettera era una dichiarazione scritta di Manzoni che lo liberava dal vincolo di segretezza che lo aveva legato a Don Morazzoni per le confidenze che gli aveva fatto in vita.

Dopo che Alessandro Manzoni assiste al funerale del suo amico (aprile 1822), ancora scosso e commosso per questa perdita, decide di mettere in prosa una sintesi del rapporto intimo e profondo che aveva legato i due uomini, scrivendo “Fermo e Lucia”, che finirà come manoscritto l’anno dopo 1823. Pubblicato la prima volta fra il 1825 e il 1827 e poi, dopo la revisione linguistica, fu edito in forma definitiva nel 1840-42.

…il resto è storia !