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AI TEMPI DEI ROMANI LE TEMPERATURE ERANO DI DUE GRADI SUPERIORI DELLE ATTUALI.

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AI TEMPI DEI ROMANI LE TEMPERATURE ERANO DI DUE GRADI SUPERIORI DELLE ATTUALI.

Siamo abituati a pensare all’Italia dell’epoca romana come a un territorio prospero, bucolico, con le comunità umane che si integravano perfettamente alle campagne e alla natura florido della nostra cara penisola. Tuttavia la verità era un’altra.

Come dimostrano infatti i versi di Virgilio e di molti altri poeti, anche gli antichi romani erano preoccupati dei danni che venivano procurati all’ambiente dall’inquinamento e dal cattivo comportamento della nostra specie, in particolare facendo riferimento ai “progressi culturali” ottenuti dal loro popolo da quando avevano ottenuto il controllo di buona parte del Mediterraneo.

Non è infatti un caso se in buona parte delle opere di Virgilio sono presenti delle scene bucoliche, in cui i protagonisti sono immersi in una natura che probabilmente faceva da contraltare alla vera condizione dei campi agricoli che circondavano l’Urbe.

Un altro romano che sembrò seriamente interessarsi sul tema fu Plinio il Vecchio, l’autore del “Naturalis Historia” morto a seguito dell’eruzione di Pompei del 79 dc. Egli infatti pensava che l’umanità stava abusando della Terra e che stava provocando gravi danni a tutti gli esseri viventi.

Egli infatti scrisse: “Contaminiamo i fiumi e gli elementi della natura e trasformiamo l’aria stessa, che è il principale supporto della vita. È quindi mio piacevole dovere innanzitutto sostenere la causa della Terra e sostenerla in quanto madre di tutte le cose”.

Studiando la letteratura romana, tra l’altro, è possibile anche osservare come la consapevolezza dell’importanza delle questioni ambientali cominciò a diffondersi a seguito della crisi del III secolo, periodo in cui l’impero subì molteplici passaggi di potere e cadde vittima – oltre che delle lotte intestine – di varie crisi ambientali.

All’inizio del V secolo la consapevolezza era così tanto matura che alcuni filosofi e storici – come Publio Flavio Renato Vegezio – si accorsero che gli accampamenti militari e le comunità urbane erano responsabili dell’inquinamento di molte campagne: “Se un esercito numeroso rimane a lungo nello stesso luogo durante l’estate o l’autunno, le acque diventano corrotte e l’aria infetta, da cui provengono malattie maligne e fatali, che solo un frequente cambio di accampamenti può prevenire”.

D’altro canto, non tutti i governatori di Roma furono insensibili a questo tema. Svetonio per esempio racconta che Nerone, dopo aver scaricato ingenuamente enormi quantità di grano marcio nel Tevere, intuì di aver compiuto un errore e proibì ai cittadini romani di riversare nel fiume i detriti del Grande incendio di Roma, mentre Sesto Giulio Frontino (35–103 d.C.), direttore degli acquedotti di Roma, ci racconta che grazie ai progetti e alle leggi volute dall’imperatore Nerva: “l’aspetto della città è pulito e cambiato; l’aria è più pura; e le cause dell’atmosfera malsana, che in passato davano all’aria della città una fama così cattiva, sono ora state rimosse”.

La soluzione più importante contro l’inquinamento venne però attuata da Vespasiano, che in tutto l’impero fece realizzare dei gabinetti pubblici, in modo tale da avere un maggior introito sulle tasse e rendere le città meno sporche.

Poichè i “tintori” usavano l’acido urico delle urine per fissare i colori nelle stoffe, Vespasiano pensò bene di creare degli orinatori in tutta la città per raccogliere le urine e venderle ai tintori. Suo figlio Tito quando lo venne a sapere osò dire al padre se c’era proprio bisogno di guadagnare soldi con le urine puzzolenti. Vespasiano rispose con la famosa frase: “PECUNIA NON OLET”… I soldi non puzzano !

I paleoclimatologi, cioè gli studiosi del clima e delle variazioni climatiche del passato, hanno riscontrato che il periodo caldo romano è stato il più caldo degli ultimi 2000 anni nell’area europea, mediterranea e dell’Atlantico settentrionale. Gli studi realizzati, messi in relazione tra loro, hanno infatti restituito tutti risultati molto simili tra loro: evidenziano che tra il III secolo a.C. e il V d.C. la temperatura nelle zone indicate era più calda di circa 2 gradi rispetto ai valori medi che abbiamo noi attualmente (nel grafico allegato in colore rosso); inoltre si verificò un’intensificazione delle piogge, soprattutto in estate.

L’aumento delle temperature determinò, in generale, lo spostamento verso nord della linea delle coltivazioni mediterranee, come l’ulivo. Plinio scrive che il faggio, che prima arrivava solo all’altezza di Roma, spinse il suo habitat fino al nord d’Italia. Il periodo caldo favorì poi la diffusione della viticoltura da parte dei Romani in buona parte d’Europa, anche nei territori che non avevano mai visto prima la vite. La portarono fino in Inghilterra, oltre che a notevoli altitudini. Da molte di queste zone estreme sparirà con la successiva Piccola Era Glaciale.

Dal 400 circa iniziò invece un periodo di raffreddamento. Secondo diversi studiosi, l’instabilità ed i peggioramenti climatici, con le conseguenze sull’agricoltura e la salute della popolazione, contribuirono alla caduta dell’Impero Romano d’Occidente.

Un innalzamento verso l’anno mille e poi una mini-glaciazione intorno al 1500.

Nel 1850 il clima ha iniziato ad aumentare (uscendo da una glaciazione) e qualche “esperto” ha dedotto che fosse per l’inizio della “rivoluzione industriale”.

Attualmente c’è chi sostiene che se la temperatura del pianeta aumentasse di 2 gradi vi sarebbero dei danni irreparabili.

Vogliamo tranquillizzare i più che ai tempi dei romani le temperature erano già di DUE GRADI superiori alle nostre attuali e son riusciti a fare tutto quello che sappiamo.

I vichinghi abitavano la Groenlandia (chiamata così dal nome Green Land = Terra verde). I ghiacci oggi hanno uno spessore in media di 2,5 chilometri.

Annibale è riuscito ad attraversare le Alpi grazie proprio ai 2 gradi in più.

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