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20 Gennaio 2011 ARCHEOLOGIA
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TOMBA DI CALIGOLA? ULTERIORI NOTIZIE
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tempo di lettura previsto 16 min. circa

Il 18 gennaio abbiamo pubblicato la notizia tratta dal "GUARDIAN" del ritrovamento della tomba di Caligola frutto dell'arresto casuale di un tombarolo preso mentre stata trafugando una statua in marmo di Caligola, appunto.

Una analisi più approfondita della questione rivelerebbe come il rilancio della scoperta della tomba perduta dell'imperatore sia in realtà una "bufala" di stampa, utile per guadagnare lettori. Tralasciando per ora la proposta di identificazione con Caligola della statua (poiché non è stata ancora mostrata al pubblico, c'è chi si chiede: ma solo Caligola indossava le caligae nelle sue raffigurazioni?), i particolari della vicenda non compongono un quadro logico: l'imperatore fu assassinato nel 41 d.C. e considerato presto un uomo "mostruoso", è alquanto difficile immaginare che gli venisse concesso di costruire una grandiosa tomba, ancorché fuori Roma. La presenza di una villa di sua proprietà inoltre non aiuta, nel senso che semmai è la prova che non poteva essere lì sepolto. Dunque, per ora le località più probabili della sua deposizione rimangono quella citata da Svetonio (Vite 59) presso gli Horti Lamiani (sul colle Esquilino, dove fu cremato) e quella ipotizzata da studiosi moderni, insieme ad altri membri della famiglia imperiale nel Mausoleo di Augusto.

Emergerebbe poi un altro particolare: nella comunicazione ai media delle autorità italiane non si parlerebbe di tomba perduta, ma di parti della villa di Caligola che fino ad ora risultavano sconosciute. Il caso sembra destinato a smontarsi, d'altronde la fonte non sarebbe nuova a questo tipo di scoop giornalistici. Secondo Rossella Lorenzi, al The Guardian avrebbero ripreso ed "interpretato" la notizia riportata da Sergio Rizzo sul Corriere della Sera, che trovate nella sezione approfondimenti. Un errore che purtroppo ha sviato anche la nostra attenzione: come dire, comunque sia andata il Guardian ha raggiunto il suo scopo (sono infatti migliaia i relink sui social network).

Mentre la villa appartenuta a Caligola è stata molto ben individuata da tempo e su questo sito si possono recuperare svariate informazioni per chi volesse approfondire la faccenda.

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La zona albana e tuscolana, a partire dall'età medio e tardo repubblicana, è stata meta prediletta dell'aristocrazia romana, che l'ha scelta come luogo per eccellenza delle proprie residenze di otium.

Se sono noti soprattutto i tusculana di Cicerone, Catone, Asinio Pollione, Lucullo, Tiberio, Galba, Matidia Augusta ed altri (1), sul versante albano non erano da meno le proprietà di Clodio, Pompeo Magno, Augusto, poi confluite nella sontuosa residenza di Domiziano sul lago albano (2), quelle di Cesare, Caligola e Vitellio ad Ariccia, degli Antonini a Lanuvium (3) e, nel territorio veliterno, di Augusto, che vi trascorse l'infanzia (4), di Claudio, che vi fece seppellire la fidanzata Medullina (5), di Otone, che secondo Svetonio (6) vi fu sepolto, di Nerva, alla cui proprietà rimanda il toponimo di Colle Nerva (7).

Imperiale era forse anche la villa in località Le Corti-Troncavia, sempre a Velletri, verso Cisterna di Latina, da cui provengono un busto di Tiberio e la Pallade ora esposta al Museo del Louvre (8).

Da Plinio (9) apprendiamo che Caligola possedeva a Velletri una proprietà con un platano dalle fronde talmente ampie che poteva dare ombra a quindici convitati; potrebbe trattarsi forse della stessa proprietà di Augusto, confluita nel demanio imperiale. Un'altra sua proprietà si trovava nel territorio aricino e potrebbe identificarsi con quella già appartenuta a Giulio Cesare, nota dalle fonti (10); secondo lo storico Svetonio il dittatore la fece distruggere "a fundamentis", poiché non rispondeva alle sue aspettative, benché gli fosse costata molto.

Tale notizia ha fatto ritenere agli studiosi che del complesso non rimanesse più alcuna traccia visibile o almeno di una certa rilevanza.

Le indagini archeologiche condotte tra il 1998 e il 2002 dagli Istituti di cultura Nordici lungo la riva sud-occidentale del lago di Nemi, in località S.Maria, permettono di affermare invece che il complesso residenziale rinvenuto appartiene con ogni probabilità a questa proprietà (11) (fig. 1). Gli scavi, diretti da Pia Guldager Bilde e Birte Poulsen, hanno riportato alla luce una villa che si sviluppa su una terrazza artificiale della superficie di m. 450 x 100, con orientamento nord-est/sud-ovest, prospettante sul lago (fig. 2).

L'andamento, che segue la curva del lago, era determinato da motivi non solo climatici, per godere di una maggiore frescura in estate, ma anche cultuali, essendo la fronte rivolta verso il Santuario di Diana, situato sulla riva nord-orientale del lago. La villa era accessibile da terra e dall'acqua: da terra attraverso un diverticolo della Via Virbia, a nord-ovest, dal lago grazie a un sistema di banchine e di attracchi ritrovati in più punti (figg. 3 / 4).

L'area settentrionale della terrazza non aveva costruzioni ed era costituita da un giardino, accessibile da ovest; ad est di questo, verso il lago, vi era un edificio a due piani, che in un momento successivo venne trasformato in impianto termale.

Sulla terrazza erano gli alloggi disposti attorno a un portico a "pi greco", situato a nord, mentre a sud vi era un atrio, successivamente trasformato in peristilio, sul quale si affacciavano vari ambienti di soggiorno e, all'angolo nord-orientale, un triclinio.

A sud del peristilio-giardino, un altro blocco, situato sull'asse della villa, terminava con un'ampia esedra a ferro di cavallo.

La villa era rifornita da una cisterna a due navate, situata in alto, a sud-ovest della terrazza.

Le autrici hanno ipotizzato che a nord fossero i quartieri servili e la parte utilitaria, al centro l'area di rappresentanza, a sud quella privata con ambienti di soggiorno e ricreativi.

Sono state individuate 4 fasi edilizie:

1° - metà I sec.a.C. (Cesare?)

2° - 20-40 d.C. (Caligola)

3° - età tardo neroniano-flavia (60-80)

4° - età adrianea

1° FASE: cesariana

Di questa fase, in cui la villa ha dimensioni più ridotte (m. 260 x 60) restano scarsi resti, poiché venne quasi totalmente rasa al suolo e ristrutturata (12).

Sono attribuibili a questo periodo alcune strutture in opera cementizia e quasi reticolata con scapula di leucitite.

Non si conoscono le funzioni dei vari ambienti, ma doveva avere un atrio dove poi venne realizzato il peristilio, un portico con un semicolonnato dorico in corrispondenza del successivo portico a "pi greco" e forse si affacciava con un secondo portico monumentale sul lago, come proverebbe il rinvenimento di un capitello dorico, molto simile a quelli rinvenuti nel Santuario di Diana.

2° FASE: tardo-tiberiana

In questo periodo la villa venne ricostruita, con una pianta più ampia e con un assetto che fondamentalmente rimase anche nelle fasi successive, riutilizzando materiali e decorazioni architettoniche.

Venne realizzata una strada di accesso basolata, in parte sostenuta da un muro in opera reticolata, che metteva in comunicazione il complesso con la Via Virbia (13).

Venne costruito un corridoio voltato alto m. 3, 50 e largo m.2, con muri in opera reticolata, attualmente interrato dopo 8 m., che forse serviva per l'accesso alla terrazza dal lago (fig.5).

Si realizzò il portico a "pi greco" e vennero rinnovati i cubicula che vi si affacciavano a nord (in opera reticolata), larghi in media m. 3x3, con pavimenti a mosaico bianco e nero.

In questa fase al precedente atrio si sostituisce il peristilio, che viene completato nella 3° fase (fig. 6).

3° FASE: tardo neroniano-flavia

In questa fase si aggiunsero nuove costruzioni a quelle della seconda, che comunque rimase sostanzialmente invariata nella pianta. Probabilmente per problemi statici e strutturali venne realizzato un muro sostruttivo di 59 fornici, in opera mista di reticolato e laterizio, a sud del passaggio-corridoio, che sosteneva un canale di drenaggio pavimentato in opera spicata, il quale convogliava l'acqua del tetto della soprastante facciata colonnata, prospettante verso il lago.

Nella 3° fase vennero operate varie trasformazioni; le stanze ad ovest del portico a "pi greco" vennero divise e ne fu cambiata la decorazione musiva e pittorica; sul lato sud-ovest del peristilio venne realizzata una scala per accedere ad un piano superiore.

Il peristilio, misurante m. 15 x 22 con 6 x 10 colonne di stile tuscanico, venne abbellito con un canale che portava acqua ad un bacino centrale, che nella fase successiva fu riempito con cementizio, per farne la base di una statua (fig.6).

Il precedente ingresso fu interrotto e vennero realizzate nuove stanze, con pavimenti a mosaico geometrico bianco e nero, che si addossarono al muro di fondo della fase precedente (14) (fig.7). Venne costruita una nuova strada, a rampa, che occupa parte dell'angolo orientale del portico, conservata per circa m. 40. In questa fase si realizzò una cisterna nel punto più alto della collina, sull'asse centrale della villa (fig.8).

E' in parte tagliata nella roccia, in parte costruita in opera cementizia; divisa in 2 navate da 9 pilastri, rivestita con uno spesso strato di signino; misura m. 37 x 8 x 6 di h. misurabile. Ha due pozzi sulla volta e un' uscita tra il 4° e il 5° pilastro (15).

All'estremità meridionale della villa venne realizzata un'ampia esedra, a ferro di cavallo, in opera mista, addossata alla rupe naturale, appositamente tagliata.

Ha una larghezza totale di m. 48, compresi i muri laterali, e un diametro interno di m. 21; l'altezza conservata è di m. 10, 50, ma doveva arrivare almeno a 15; ha due piani e due corridoi anulari. Le pareti erano decorate con pitture di terzo stile con motivi vegetali (forse di giardino) e inserti di calcare (fig.9).

Ciò farebbe pensare ad un uso come coenatio o ninfeo, con un parallelo con il ninfeo Bergantino della Villa di Domiziano sul lago albano, che peraltro ha dimensioni maggiori. L'esedra è stata confrontata con il cosiddetto "Sepolcro di Agrippina" a Bacoli (16), simile per le misure, che era un odeion di età augustea o giulio-claudia, poi trasformato in ninfeo verso la fine del I sec.d.C.

4° FASE : età adrianea

Si fecero rinnovamenti soprattutto decorativi. La maggiore delle quattro stanze che prospettano sul portico a "pi greco", identificata con il larario, venne decorata con un mosaico con girali e uccellini entro un quadrato e la scritta m.pavimentum fecit (fig. 10).

Venne rinnovata la decorazione pavimentale in opus sectile del peristilio, con un motivo noto anche alla Domus Aurea e a Villa Adriana. Gli ambienti costruiti ad est, verso il lago, furono trasformati in una piccola terma in opera mista (17) (fig. 11).

ABBANDONO

Verso la metà o il 3° quarto del II secolo la villa venne abbandonata e privata dei suoi ornamenti, soprattutto le lastrine di opus sectile, di cui in molti casi si sono trovate solo le impronte. Ne ignoriamo i motivi, ma poiché anche al Santuario si registra un abbandono nello stesso periodo, si potrebbe pensare ad una catastrofe naturale, come un terremoto (18).

5° FASE VI secolo

In questo periodo la villa è utilizzata come necropoli; si sono rinvenute 13 tombe a fossa, di cui una per un nucleo familiare di 4 individui.

6° FASE Medioevo

In questa fase nell'area delle terme si impiantano calcare, come del resto anche al Santuario (19).

La ricca decorazione marmorea, che venne in gran parte asportata già in antico, quella parietale, molto frammentaria, fanno pensare ad una sontuosa dimora, che può con sicurezza attribuirsi a Caligola, nella sua fase più importante.

Tra l'altro alla decorazione delle due navi dell'imperatore rinvenute nel lago rimandano alcune antefisse a palmetta praticamente identiche e alcune lastrine colorate in pasta vitrea per decorazione parietale (20).

Inoltre alcuni pavimenti a mosaico e in opus sectile, così come lo schema della villa sono stati posti a confronto dalle autrici con quelli della villa dei Volusii Saturnini a Lucus Feroniae (21).

A questo punto occorre almeno accennare ad un motivo di riflessione: nel Santuario di Diana, situato esattamente di fronte alla villa (fig. 12), nel secolo scorso si rinvennero una fistula plumbea con il nome di Volusia (22) e un'iscrizione menzionante un suo restauro al teatro (23); secondo Coarelli (24) si tratterebbe di Volusia Cornelia, nipote del Volusio Saturnino console nel 3.d.C., uno dei proprietari della villa di Lucus Feroniae.

I Volusii, come noto, erano imparentati con l'imperatore Caligola, che aveva sposato in prime nozze Lollia Paulina, nipote del Volusio Saturnino sopracitato. Coarelli ritiene che la villa di Caligola alla sua morte sia stata donata dal successore Claudio a Volusia, per ringraziarne la famiglia, in quanto Volusio Saturnino nel 42 d.C., rivestendo la carica di prefetto urbano, aveva sventato la congiura di Furio Camillo Scriboniano. Quindi l'autore ritiene che lo stesso Santuario di Diana in questo periodo sia stato praticamente inglobato nella proprietà dei Volusii.

Se tale passaggio di proprietà non è attualmente dimostrabile e i successivi interventi di restauro sul Santuario da parte di Vespasiano e Adriano (25) provano che almeno per un altro secolo il complesso mantenne le sue caratteristiche cultuali pubbliche, è sicuro l'interesse di Cesare e poi degli imperatori giulio-claudii per il Santuario.

Ne sono prova la ristrutturazione del lato nord-orientale con la realizzazione verso la metà del I sec.a.C. delle cosiddette celle donarie, abbellite in età giulio-claudia con statue di donatori privati (Fundilius Doctus, Fundilia, Hostius Capito, ecc.) e di membri della famiglia imperiale (Tiberio, Druso, Germanico) (26). Ancora Svetonio del resto ci fornisce un'ulteriore informazione sull'interesse di Caligola per il rituale della successione del Rex Nemorensis, che lui stesso restituì alla sua forma cruenta, non certo come ulteriore testimonianza della sua follia, ma per ripristinare un'antica usanza, evidentemente caduta in disuso (27).

Che il Santuario mantenesse un'indubbia importanza religiosa in questo periodo è ulteriormente provato dalla notizia di Tacito (28), secondo il quale l'imperatore Claudio quando sposò la nipote Agrippina volle che proprio nel lucus Dianae si svolgessero piacula espiatori (29).

Che esistesse uno stretto rapporto, non solo fisico-topografico ma anche "religioso" e funzionale tra il Santuario e la villa à dimostrato del resto dalla loro reciproca posizione: dalla riva sud-occidentale del lago, dove si trova la villa, si ha una vista diretta sul Santuario, situato sulla riva nord-orientale (fig.1).

La situazione è simile a quella della villa di Domiziano sul lago albano, da cui si godeva della vista del Santuario di Iuppiter Latiaris sul Mons Albanus (30).

Il Santuario poteva inoltre essere facilmente raggiunto dalla villa residenziale di Caligola grazie a due enormi scafi, la cui presenza nelle acque del lago permetteva un insieme unitario di natura residenziale e cerimoniale.

Non mi dilungherò oltre sulla storia delle due navi, ampiamente trattata in altre sedi (31). Come è noto, dopo secoli di inutili tentativi di recupero, i due scafi vennero riportati alla luce negli anni 1929-31 e successivamente esposti nel Museo delle Navi Romane, appositamente costruito per ospitarle negli anni immediatamente successivi (fig. 13).

Purtroppo nel 1944, poco prima della conclusione della seconda guerra mondiale, un incendio devastante le distrusse completamente, lasciando ai posteri solo parte delle decorazioni (tra cui le splendide protomi ferine e la testa di Medusa, ora al Palazzo Massimo a Roma) e delle attrezzature di bordo (32) (fig. 13). L'aspetto che qui ci interessa esaminare, anche se brevemente, è la loro funzione, residenziale per la prima, cerimoniale per la seconda (33).

E' infatti assodato che le due navi nemorensi fatte costruire da Caligola (34) erano palazzi galleggianti, ispirati a quelli di età ellenistica, noti dalle fonti (35). La descrizione più completa che ci è pervenuta è quella di Ateneo nell'opera Deipnosophistes (36), in cui cita la Syrakosia di Gerone II di Siracusa e la thalamegòs di Tolomeo IV Filopatore, che tradotta letteralmente significa appunto "nave con talamo" o, in termini moderni, "cabinato" .

Si tratta in quei casi di navi marine (la prima) e di imbarcazioni fluviali (la seconda), riccamente adornate con pavimenti a mosaici, sacelli, giardini pensili, vere e proprie "navi da crociera", di tradizione egizia, il cui uso giunse fino ai principi ellenistici, attraverso la mediazione macedone di Alessandro Magno (37). Simili imbarcazioni sono spesso rappresentate in mosaici di ambientazione nilotica, tra cui esempi significativi sono quello del mosaico dell'Antro delle Sorti o Iseo a Palestrina (38) e altri da Pompei (39) e da Villa Adriana (40).

Svetonio cita le navi thalamegoi di Cesare e Cleopatra sul Nilo (41) e Plutarco quella usata da Cleopatra per raggiungere Antonio in Cilicia (42). Caligola, particolarmente sensibile agli usi orientali e all'emulazione dell'antenato Antonio (43), non fu certo insensibile a questa forma di autocelebrazione.

Del resto è noto il suo amore per le imbarcazioni, sulle quali, secondo Cassio Dione (44) e Svetonio (45) amava banchettare: le liburniche ancorate lungo la costa campana. L'imperatore, sempre secondo Svetonio, avrebbe realizzato un ponte di barche tra Baia e Pozzuoli, per emulare Serse e, aggiungerei, anche Alessandro Magno, che attraversò l'Indo su un ponte di barche (46).

Strano invece il silenzio delle fonti sulle imbarcazioni nemorensi, le cui enormi dimensioni non dovettero certo passare inosservate all'epoca (47): quasi una damnatio memoriae premonitrice della loro futura distruzione, dopo venti secoli.

Secondo una recente ricostruzione (48) la prima nave aveva la funzione di residenza da diporto, una vera e propria dependance della villa imperiale situata sulla terraferma, secondo un uso invalso a Roma anche con altri imperatori, come Nerone, che usava lo Stagnum Agrippae nel Campo Marzio per dare festini notturni (49) eDomiziano sul lago albano (50). A poppa aveva ambienti chiusi riccamente adornati, alcuni dei quali riscaldati, mentre a prua erano sacelli e padiglioni (figg. 14 - 15).

La seconda nave aveva invece una funzione cerimoniale, come prova il rinvenimento a bordo di oggetti sacri al culto di Iside, tra cui un sistro (51), che era venerata nel Santuario di Diana (52).

Il rapporto lago-navi-culto di Iside ci riporta ancora una volta in Egitto (si pensi all'isola di Philae e al tempio che vi sorgeva dedicato ad Iside) e non può non farci andare con la mente all'Isidis navigium che si celebrava ogni anno il 5 marzo, "offrendo" una nave piena di offerte alla dea, per ingraziarsene il favore durante la stagione della navigazione (53).

In conclusione, appare evidente lo stretto legame villa-santuario-navi, che, lungi dall'essere il riflesso di una folle megalomania di Caligola, va considerato nell'ambito di un preciso programma politico-religioso e architettonico dell'imperatore, il cui modello culturale dall'Egitto faraonico giunge, attraverso la mediazione ellenistica e l'indubbio riferimento ad Alessandro Magno, fino all'imperatore giulio-claudio.

Non pare azzardato il confronto con la residenza albana di Domiziano, che, come quella di Caligola, inglobava l'intero specchio lacustre, dotato di apposite banchine e di un porto per l'attracco (54) e dalla quale era possibile traguardare il Santuario di Iuppiter Latiaris sul Mons Albanus, come da quella di Caligola si vedeva il Santuario di Diana.

Come si è già detto anche Domiziano amava solcare le acque del lago albano su una nave-palazzo e meriterebbe una verifica la suggestiva ipotesi che anche qui, sul versante orientale, si trovasse un santuario (55).

Osservando il lago di Nemi nelle notti estive, quando la luna sacra a Diana splende in cielo, viene alla mente la descrizione che Cassio Dione riferisce ai banchetti notturni di Caligola sulle navi ancorate nel golfo campano: "Un'abbondante illuminazione risplendeva su di loro, in parte dal luogo medesimo, in parte dalle montagne. Infatti, poiché la località aveva una conformazione semicircolare, le fiaccole erano visibili da ogni parte, come in un teatro, così da impedire che ci fossero zone d'ombra: difatti Gaio aveva preteso che la notte diventasse giorno" (56).

Giuseppina Ghini