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8 Maggio 2003 ARCHEOLOGIA
Jeffery L. Sheler USNews.com
Un bazaar biblico
tempo di lettura previsto 6 min. circa

Chiamiamola coincidenza, provvidenza, o liquidiamola come il buon gioco di un intelligente falsario. Nell´arco di tre mesi, due antichi artefatti di importanza biblica mozzafiato sono stati ritrovati in Israele: una cassa di calcare del primo secolo che si dice avrebbe ospitato i resti di Giacomo, il fratello di Gesù; ed una tavola recante quelle che potrebbero essere iscrizioni risalenti a 2, 800 anni or sono, tratte direttamente dalle pareti del Primo Tempio. Se provati autentici – un grande "se" – gli oggetti costituirebbero la prima prova evidente a sostegno dell´esistenza di Gesù di Nazareth e di un antico tempio israelita eretto da Re Salomone nel X secolo a.C.

Ma l´autenticità di entrambe è questione quantomeno controversa. Entrambe gli artefatti sono emersi dal lucroso mercato delle antichità israeliane, piuttosto che da uno scavo archeologico. Gli archeologi, gli studiosi del testo biblico, ed altri esperti sono divisi sulla valutazione di questi oggetti come genuini o falsi, e gli esami relativi potrebbero richiedere mesi di attesa. Nel frattempo gli oggetti hanno riscaldato il dibattito sul commercio di antichità bibliche, condotto dai collezionisti privati ed in centinaia di negozi in Israele e sulla Riva Occidentale che vendono ogni cosa, dalle statue delle dee canaanite della fertilità, all´olio per lampade risalente al tempo di Gesù. Alcuni critici si chiedono se gli sforzi israeliani per contenere il possesso e la vendita di antichi artefatti non incoraggi di fatto il proliferare di falsi, come anche il saccheggio di tesori storici senza prezzo – un problema che il saccheggio dei musei iracheni ha portato all´attenzione mondiale.

La notizia, lo scorso autunno, della scoperta dell´ossario di Giacomo, in possesso di un collezionista d´antichità israeliano, ha avuto le prime pagine dei giornali di tutto il mondo, e messo in subbuglio il mondo archeologico poiché l´iscrizione in aramaico recava sul suo lato: "Giacomo, figlio di Giuseppe, fratello di Gesù". Gli scienziati francesi ed israeliani che hanno esaminato inizialmente la cassa hanno detto di non aver trovato alcuna prova di contraffazione e che esso si daterebbe a circa il 63 d.C., un anno dopo che si suppone si avvenuto il martirio di Giacomo.

Alcuni altri, che hanno studiato solo le fotografie delle iscrizioni, accettano l´antichità dell´ossario, ma sostengono che la parte che menziona Gesù sembra essere stata aggiunta e potrebbe essere l´opera di un antico o moderno falsario. Un nuovo libro e documentario televisivo propone una versione favorevole all´autenticità dell´iscrizione. "E´ sicura al 100%?" si chiede Hershel Shanks, editore della Rivista di Archeologia Biblica e coautore del libro The Brother of Jesus (HarperSanFrancisco).

La risposta è: "No. Ma mi piace dire che se si cerca la certezza, allora è meglio occuparsi di matematica."

Il proprietario della cassa, l´ingegnere di Tel Aviv Oded Golan, dice che si tratta di uno dei tre ossari che aveva acquistato da un commerciante di antichità a Gerusalemme verso la metà degli anni ´70, e che è uno dei 3, 000 artefatti della sua collezione. E´ stato solo dopo averlo mostrato ad un esperto in antiche iscrizioni lo scorso anno, riferisce Golan, che è divenuto certo del suo significato biblico. "Come potevo sapere che il figlio di Dio avesse un fratello?" chiede.

E´ stato lo stesso Golan ad aver mostrato la cosiddetta "iscrizione del tempio" alle autorità Israeliane all´inizio dell´anno, dicendo di agire in qualità di mediatore per un altro collezionista che desidera rimanere anonimo. L´iscrizione di 15 righe su una tavoletta di calcare scuro parla delle riparazioni del tempio sotto il regno del Re giudeo Jehoash. Alcuni studiosi suggeriscono che l´iscrizione sia stata incisa sulle pareti del tempio restaurato. Altri la trovano fortemente sospetta.

Mentre gli scienziati israeliani continuano ad analizzare i due artefatti contestati, alcuni preminenti archeologi hanno già suggerito che entrambe dovrebbero essere liquidate per via della loro sospetta provenienza. "Se avessimo questioni circa l´autenticità di reperti rinvenuti nel corso di uno scavo" dice l´archeologa Eilat Mazar dell´Università Ebraica, "allora avremo molti più dubbi circa oggetti simili." Poiché il lucroso mercato offre forti incentivi alla produzione di falsi ed ai saccheggi, dice, gli studiosi dovrebbero semplicemente ignorare le antichità non dissotterrate da scavi regolari.

Shanks, la cui rivista per prima ha pubblicato la storia dell´ossario di Giacomo, ha dichiarato di aborrire i saccheggiatori e concede che il mercato dell´arte sia pieno di imbrogli. Ma, aggiunge: "Ciò non significa che dovremmo ignorare ogni cosa che provenga dal mercato delle antichità". Egli nota che la maggior parte dei Rotoli del Mar Morto, ampiamente considerati la più grande scoperta archeologica del XX secolo, "furono saccheggiati e venduti da intermediari. Eppure nessuno oggi sostiene più che i rotoli siano moderne contraffazioni".

Passato remoto. Ma gli astuti falsari hanno più volte ingannato gli esperti in passato. Forse il più famoso incidente occorse più di un secolo fa dopo la scoperta di una tavoletta moabita del IX secolo a.C. che riportava eventi associati a quelli del Secondo Libro dei Re della Bibbia. Entro pochi anni, il mercato delle antichità fu invaso di false iscrizioni moabite. Il più prolifico falsario era un collezionista e mercante di nome Moshe Shapira, un ebreo di nascita polacca che arrivò in Palestina nel 1855 e si convertì al cristianesimo. Shapira vendette qualcosa come 1, 700 "iscrizioni moabite" al Museo di Berlino, tutte fabbricate dal suo gruppo di operai. Quando i suoi raggiri divennero pubblici, Shapira si suicidò nel 1884.

Gli archeologi ed i curatori sono ormai molto più scaltri nel riconoscere un falso. Ma occasionalmente può ancora capitare di credere all´autenticità di qualche pezzo contraffatto. Negli anni ´80 un acclamato esperto di epigrafi, Nahamn Avigad dell´Università Ebraica, pubblicò una serie di articoli che analizzavano un gruppo di sigilli che egli riteneva risalissero al periodo del primo Tempio. Gli artefatti si provarono in seguito falsi.

I contraffattori di professione, dice Mazar, fanno "accurate ricerche accademiche ed usano le più recenti tecniche di laboratorio" per confondere gli esperti. "Stiamo parlando di persone che si impegnano a creare un pezzo per un periodo di anche 15 anni prima di porlo sul mercato. Potrà poi ben fruttare loro milioni di dollari nel futuro, è per questo che possono investirvi tempo e risorse."

Più preoccupante delle falsificazioni, dicono gli esperti, è il commercio illecito di antichità genuine saccheggiate dalle migliaia di siti archeologici non adeguatamente sorvegliati, lungo tutto il territorio Israeliano e la Riva Occidentale. Casi di scavi illegali e ruberie, normalmente centinaia ogni anno, si sono moltiplicati dall´inizio dell´intifada nel 2000. La disoccupazione ha avuto un aumento vertiginoso, e le difficoltà nel far rispettare la legge nel territorio Palestinese hanno imbaldanzito i saccheggiatori, che incontrano sempre pochi problemi nel trovare acquirenti per i loro tesori.

I tentativi del governo israeliano per spezzare il traffico illegale si sono provati incerti, e, alcuni sostengono, di discutibile efficacia. Secondo una legge del 1978, tutti i ritrovamenti archeologici posteriori a tale data sono considerati proprietà del governo. Ciò nonostante, i mercanti di antichità possono ancora vendere artefatti scoperti prima del 1978. (Golan infatti dice che entrambe l´ossario di Giacomo e le tavolette del tempio furono comprate prima di quella data, anche se al riguardo le autorità israeliane hanno seri dubbi). Critici della politica sostengono che è stato fatto poco per bloccare i saccheggi dei siti archeologici e ancora oggi chiedono nuovi provvedimenti per porre un freno al fenomeno.

Ma ridurre la vendita di antichità è complicato anche dal fascino che questi oggetti esercitano. Se la cassa di Giacomo e la tavoletta del primo Tempio siano autentiche o meno, dice lo storico Neil Asher Silberman, direttore del Ename Center for Public Archaeology in Belgio, i due oggetti "sono ormai irreversibilmente diventati reliquie" imbevute di significato religioso che risiede "non in quello che sono ma in ciò che rappresentano".