sei in Home > Archeologia > News > Dettaglio News
5 Gennaio 2007 ARCHEOLOGIA
La mia Sardegna
Cercando l'origine della Sardegna sulle tracce della perduta Atlantide
FOTOGALLERY
tempo di lettura previsto 20 min. circa

In questo capitolo riprendiamo gli spunti offerti da un libro inchiesta del giornalista di La Repubblica Sergio Frau uscito solo nel 2002 e già recensito in tutte le principali pubblicazioni di storia e archeologia. Ne riportiamo solo i concetti fondamentali, dato che non possiamo riproporre le quasi 800 pagine dense di citazioni e ricostruzioni, alle quali rimandiamo per qualsiasi approfondimento.

I greci antichi ci raccontano un mondo pieno di misteri al di là delle colonne d'Eracle

Per sapere qualcosa degli avvenimenti del Mediterraneo antecedenti e subito successivi il cataclisma del 1200 a.C. dobbiamo arrivare a Omero che, tra il 750 e il 650 a.C., per primo ricostruisce e trascrive la precedente tradizione orale, ed agli altri autori greci. Solo ad essi si può fare riferimento pur sapendo che i loro resoconti sono esatti solo finché ci si muove all'interno del Mediterraneo orientale, quello che i Greci ben conoscevano dato che lo percorrevano con le loro navi e che vi avrebbero fissato i loro insediamenti. Al di là delle loro rotte, tutto diventa più vago, l'unico riferimento sono le colonne d'Eracle dove terminava il mondo conosciuto ed al di là delle quali iniziava l'Oceano del quale non esistevano conoscenze dirette ma solo riportate. Dopo i racconti di Omero, che descrive il lungo viaggio di Ulisse nel Mediterraneo occidentale sconosciuto, e di Esiodo (VIII sec a.C.), informazioni sul mondo al di là delle colonne le dà Platone (427-347 a.C.) che nei suoi dialoghi fa dire a Timeo al di là dello stretto che voi chiamate colonne di Eracle c'era un'isola... e racconta di un grande cataclisma avvenuto quando il mare sommerse l'Europa. Sempre nei dialoghi, Crizia parla del mare di Atlante, al di là di quella bocca che i Greci chiamavano colonne d'Ercole, dove c'era un'isola, e da questa se ne raggiungono altre, e da queste la terra che tutto circonda, un vero continente. Platone dice inoltre che l'Oceano Atlantico è così melmoso a causa di un'isola chiamata Atlantide che vi è sprofondata, che le navi non riescono a navigarlo. Ed anche Aristotele (384-322 a.C.) dice che l'Oceano Atlantico, a differenza del Mediterraneo che è profondissimo, è invece poco profondo e soggetto a una morta calma tanto che le navi non riescono a navigarlo.

Erodoto (circa 484-425 a.C.), che ha dedicato la vita alle geografie degli antichi ma che ammette di non conoscere l'occidente estremo, aveva raccontato di Corleo di Samo che sarebbe stato portato dai venti al di là delle colonne fino a Tartesso e gli avrebbe raccontato dell'argento e dei metalli, dei commerci al di là delle colonne d'Eracle. Dopo di che racconta del paese dei Celti che vivono al di là delle colonne d'Eracle e dice che l'Istro (che oggi si ritiene fosse il Danubio) nasce dalla città di Pirene. E dice che l'ambra proviene dall'Eridano (il Po) che secondo le notizie in suo possesso sfocia nell'Oceano del Nord. Timeo (circa 350-260 a.C.), che sarà per i suoi contemporanei il maggior conoscitore dell'occidente, dirà addirittura che la Sardegna è prossima all'Oceano e che il Rodano sbocca nell'Atlantico. Ma informazioni più precise le dà Rufo Festo Avieno, che fu proconsole in Acaia nel 372 dC, ed al nipote che gli chiede dov'è la Palude Meotide dice che gli descriverà il Mediterraneo. Descrive una rotta che passa per Tartesso (la stessa di Corleo da Samo) arriva alle isole Estrimnidi con i suoi fondali bassi che solo se li conosci non affondi, e poi passata l'isola Ierne, ossia sacra, arriva ad Albione. E dice che dalle isole Estrimnidi se ci si spinge verso dove il cielo diventa freddo si arriva nella terra dei Liguri, e poi nel suo viaggio dal Golfo Ligustico torna indietro sul mare che si allarga in un grande golfo fino a Ofiussa ed abbandonata questa riva per il mare interno che s'insinua tra le terre e che chiamano Mare Sardo il ritorno dura sette giorni.

Ma dove si trovavano le colonne d'Ercole?

Ma dove si trovavano le colonne? Se esse delimitavano il mondo allora conosciuto, considerando che l'estremo sud della Sicilia era il punto più ad ovest raggiunto dalla colonizzazione ellenica, si sarebbe tentati di posizionarle proprio lì, nel canale di Sicilia, e di identificare quindi l'Oceano con quello che oggi è il mar Tirreno. E' solo un'ipotesi, dato che di esse non esiste una esatta localizzazione al tempo dei greci antichi. Ne esistono però indicazioni mitologiche, Diodoro (I a.C.) ad esempio, nel IV libro de la Biblioteca dice che secondo la tradizione più accettata Eracle avrebbe arginato i promontori di Lybia e Europa, prima molto distanti tra loro, riducendo il passaggio a uno spazio stretto e poco profondo per evitare che i mostri marini arrivassero dall'Oceano; mentre secondo un'altra interpretazione i due continenti erano uniti ed egli li avrebbe aperti mescolando l'Oceano (Tirreno) al nostro mare (Jonio). E' solo un'ipotesi, peraltro assai poco plausibile data la distanza che separa le coste della Sicilia da quelle africane. Ma se così fosse, perché invece ci hanno insegnato che le colonne d'Ercole si trovano a Gibilterra?

Due grandi falsi geografici dei greci moderni che cambiano completamente la storia

Quello che descrivono Omero, Platone e gli altri autori è il mondo dei Greci antichi. Poi avvengono due fatti che cambiano completamente la visuale del mondo, come se a una certa data tutte le conoscenze precedenti fossero state rimesse in gioco ed adattate a chissà quali diversi interessi politici: forse a quello di far vedere la Grecia al centro del mondo allora conosciuto, e successivamente il mondo conosciuto al centro dell'universo.

In base alle attuali conoscenze, il primo geografo a piazzare chiaramente le colonne d´Ercole a Gibilterra risulta essere stato Eratostene (circa 284-192 a.C.), che riordinando la biblioteca di Alessandria d'Egitto vi ritrovò le carte dei cosiddetti bematisti, i soldati che seguivano Alessandro Magno nei suoi viaggi di conquista addetti a misurare la distanza percorsa contando il numero di passi fatti, passo per passo, bêma per bêma, tenerli a mente e riferire ai cartografi. Le enormi distanze percorse verso oriente dalle truppe di Alessandro smentivano la tradizione secondo cui la Grecia sarebbe stata il centro del mondo conosciuto, a meno di spostare le colonne d´Ercole collocandole alla stessa distanza dalla Grecia ma verso occidente, nella parte del Mediterraneo che al suo tempo era ormai conosciuta, e quindi a Gibilterra.

Si sarebbe tentati di ritenere assurdo che esigenze di simmetria propagandistica potessero portare a un tale falso storico, se non fosse che di falsi storici in quell'epoca e subito dopo ne vennero creati altri anche più rilevanti. L'esempio più clamoroso di queste falsificazioni storiche è quello legato alla forma della terra, che Eratostene descrive sferica al punto da misurarne esattamente la circonferenza, come è sferica quella sulle spalle dell'Atlante Farnese conservato al Museo Archeologico di Napoli, di età imperiale romana ma copia di un celebre originale di epoca ellenistica del III secolo a.C.

Sarà Claudio Tolomeo (circa 90-168) nell'Almagesto a porre la terra piatta al centro dell'universo con la volta stellata che le gira intorno, e quindi nella mitologia greca successiva Atlante sosterrà non più la terra ma il cielo sulle spalle. E quindi ci siamo arrivati: non solo la Grecia si trova al centro del mondo conosciuto, ma il mondo conosciuto al centro dell'universo! Sembrerebbe assurdo, se non sapessimo per quanto tempo la Chiesa cattolica, allo stesso modo, ha preteso di imporre Roma al centro di una terra piatta, posta a sua volta al centro dell'universo.

Forse i greci antichi conoscevano la Storia, ma quanti errori nella Geografia!

Oggi sappiamo che la terra è sferica e che né Atene né Roma sono al centro dell'universo, ciò nonostante continuiamo a posizionare con Eratostene le colonne a Gibilterra anche se questo riempie di errori tutti i racconti dei Greci antichi. Se realmente queste si trovavano a Gibilterra, sembra quasi che il Mediterraneo occidentale neppure esistesse dato che ogni descrizione è riferita a terre al di là delle colonne, ossia in pieno Oceano Atlantico. Ed oltre tutto, le distanze, dove nascono e sboccano i fiumi, il numero di giorni dei viaggi assolutamente non tornano. Proviamo ad accennare a qualcuna di queste incongruenze.

Partiamo dall'Oceano melmoso e poco profondo, che oggi si tende a localizzare nel mar Sargasso, vicino alle Azzorre: potevano essere arrivati fin lì i Greci antichi, senza aver incontrato nel loro tragitto tutto quello che si trova nel Mediterraneo occidentale?

Tartesso si troverebbe in Andalusia, ma non riusciamo a trovare i Celti al di là delle colonne, visto che nella loro massima espansione nel 200 a.C. le popolazioni celtiche arrivarono ad occupare dalla Francia alla parte meridionale della Germania e più avanti verso oriente compresa la valle del Danubio, ma mai la Spagna. Per posizionare l'Istro in Spagna Aristotele cento anni dopo, nella Metereologia, sarà costretto a correggere Erodoto e lo farà nascere non più dalla città di Pirene ma dal Monte Pirene ossia dai Pirenei!

Non si comprende come l'Eridano (il Po) potrebbe sfociare nell'Oceano del Nord, dato che gli oceani erano al di là delle colonne, mentre al di qua c'erano i mari conosciuti. E come farebbe la Sardegna ad essere prossima all'Oceano o il Rodano a sboccare nell'Atlantico, mentre sappiamo che sbocca presso Marsiglia?

Le cose vanno ancora peggio con il viaggio di Avieno, che si sarebbe svolto lungo le coste della penisola Iberica fino a raggiungere l'Inghilterra. Oggi si ritiene che le isole Estrimnidi fossero nella Manica o addirittura le isole Scilly a sud dell'Inghilterra, l'isola Ierne sarebbe stata l'Irlanda, Albione ovviamente sarebbe stata l'Inghilterra. Difficile ipotizzare per un greco di quell'epoca un viaggio di questo tipo, ma ancora più difficile vedere a nord delle Estrimnidi la terra dei Liguri, che andrebbe localizzata sulle sponde del Mare del Nord o nello Jutland, e soprattutto impensabile il ritorno nel Mare Sardo in sette giorni.

Come si vede, posizionando le colonne d'Ercole a Gibilterra i conti non tornano, non quadrano il nome delle località e dei mari, le distanze. Come ci si può quindi fidare dei greci antichi, così precisi nelle descrizioni dei loro mari, non ne imbroccassero nemmeno una quando si allontanavano da essi? Che affidabilità possono avere le loro peraltro così dettagliate descrizioni?

Proviamo allora a rimettere le colonne d'Ercole al loro posto...

A questo punto, l'unico riferimento che può permetterci di interpretare queste descrizioni è la localizzazione esatte delle colonne d'Ercole. Dicearco (circa 347-285 a.C.), discepolo di Aristotele e tra i padri della geografia greca, dà indicazioni precise. Scrive che dal Peloponneso è più lontana la fine dell'Adriatico di quanto non lo siano le colonne d'Ercole. Da Capo Malea alle colonne sarebbero solo 10.000 stadi, ossia, dato che uno stadio erano 600 piedi ossia 180 metri, la distanza sarebbe di circa 1800 km. Si dovrà arrivare a Polibio (circa 203-120 a.C.) per portare la distanza a 22.500 stadi, ossia 4.000 km, per renderla coerente con le affermazioni di Eratostene, ma Polibio non è più un greco antico, è già un moderno che dice queste cose solo molto tempo dopo...

Altri ci avevano già pensato, ma Sergio Frau nel suo libro riesce a documentare in modo difficilmente confutabile l'esatta posizione presumendo che il mito delle colonne d'Ercole, come tutte le altre le leggende, avesse un'origine riscontrabile nella storia del nostro pianeta. Quindi, riprendendo uno studio di Vittorio Castellani, prova a ricostruire l'assetto geologico al tempo dell'ultima glaceazione. Già ipotizzando un abbassamento del livello dei mari di 100 metri il bacino del Mediterraneo avrebbe avuto una forma molto diversa dall'attuale, ed addirittura l'abbassamento di 200 metri avrebbe visto la Sicilia e Malta collegate da un doppio stretto alla Tunisia. C'era quindi un altro stretto oltre a Gibilterra, un altro stretto che si trovava proprio ai limiti delle conoscenze dei greci antichi, proprio dove finiva il mondo a loro conosciuto, subito oltre Agrigento che ha rappresentato il punto più ad occidente dove si sono spinti con i loro insediamenti. Perché, non dimentichiamolo, nel mar Tirreno i greci non sarebbero mai riusciti ad arrivare, dato che lì si muoveva e predominavano gli altri grandi navigatori dell'epoca, i Fenici prima ed i Cartaginesi poi.

Anche per questo Sergio Frau ritiene quindi di aver rimesso al loro posto le colonne d'Ercole. E scrive: Le ho rimesse dove iniziavano le terre di Eracle-Melquart, dio dei Fenici e dei loro mari, dove Sabatino Moscati diceva che iniziava la Cortina di Ferro dell'antichità, dove Esiodo mette la Soglia di Bronzo che divide il Giorno dalla Notte. Le ho rimesse al Canale di Sicilia: la zona blindata, la Frontiera, il Confine. Al di là di Malta c'era il Far West degli antichi Greci; i fondali infidi controllati dai Cartaginesi e dalle loro navi, vietati a chiunque Fenicio non fosse.

... per scoprire che i greci antichi conoscevano anche la Geografia

Ma ciò che più colpisce è che, come vedremo, posizionando in questo punto le colonne d'Ercole tutti i testi dei greci antichi possono venire riletti e ci si accorge che spariscono tutti gli errori che ci avevano fatto tanto dubitare della loro affidabilità. Anche perché, a ben vedere, non siamo i primi ad avanzare questa ipotesi. Questa interpretazione è già presente nel cosiddetto Atlante di Tolomeo, nel quale viene illustrato in un modo assolutamente diverso da quello che avevamo descritto prima il famoso viaggio di Avieno, facendolo passare per la costa della Sardegna e della Corsica, fino alla terra dei Liguri e poi alle Baleari.

Nell'atlante non è descritta Tartesso, ma non è impensabile localizzarla non già in Andalusia bensì in Sardegna a Nora, dove è stata trovata la stele della quale abbiamo parlato nel capitolo precedente, che riporta in caratteri Fenici oltre alla parola SHRDN (Shardana) anche la frase B TRSHSH (in Tartesso). Le isole Estrimnidi corrispondono a Sant'Antioco con i suoi fondali bassi che solo se li conosci non affondi, indicata come Molybodes nesos o Melibode Plombea o isola del piombo, ed alle isole che la circondano. L'isola Ierne, ossia sacra, è l'Asinara chiamata anche Herculis Insula, vicina all'imbocco del Fretum Gallicum oggi Bocche di Bonifacio. Albione non è l'Inghilterra bensì Albiana, al centro della Corsica. E si comprende come dalle isole Estrimnidi se ci si spinge verso dove il cielo diventa freddo si arriva nella terra dei Liguri, che quindi sarebbe giustamente la Liguria. Il viaggio prosegue dal Golfo Ligustico, ossia dal golfo Ligure, da dove torna indietro sul mare che si allarga in un grande golfo fino a Ofiussa, posizionata nell'atlante a Formentera, ed i conti tornano anche quando, abbandonata questa riva per il mare interno che s'insinua tra le terre e che chiamano Mare Sardo, il ritorno dura sette giorni. E quindi l'Oceano Atlantico viene a coincidere con il nostro mar Tirreno e tutti i conti finalmente tornano: i Celti al di là delle colonne d'Ercole, la Sardegna prossima all'Oceano ed il Rodano che sbocca nell'Atlantico, l'affermazione di Dicearco che dal Peloponneso è più lontana la fine dell'Adriatico di quanto non lo siano le colonne d'Ercole, i 1800 km di navigazione da Capo Malea alle colonne, ecc.

Non è più fantasia credere che al di là delle colonne d'Ercole c'era un'isola, e da questa se ne raggiungono altre, e da queste la terra che tutto circonda, un vero continente. A questo punto ritornano anche il fondo così melmoso che le navi non riescono a navigarlo ed il mare poco profondo e soggetto a una morta calma tanto che le navi non riescono a navigarlo, basti pensare alle secche intorno a Sant'Antioco.

E se fosse quindi la Sardegna il perduto continente di Atlantide?

Nei dialoghi di Platone, Crizia racconta una storia che gli aveva raccontato quando lui aveva l'età di dieci anni suo nonno novantenne che l'aveva sentita dal grande legislatore ateniese Solone (638-558 a.C.), che a sua volta l'aveva appresa in Egitto da un sapiente sacerdote di Sais. Il sacerdote aveva descritto a Solone la bellezza di Atlantide, una terra costituita di fertili praterie e di alte montagne che la difendevano dai venti freddi del Nord e popolata da animali domestici e selvatici; il sottosuolo era ricco dei più pregiati metalli tra cui l'oricalco (che in realtà si ritiene fosse una lega composta da rame e zinco). Vi abbondavano le sorgenti d'acqua calda e fredda, le cui acque affluivano poi in un grandioso bosco sacro per poi finire nei bacini del porto, dove si trovavano moltissime navi protette da una cinta di mura dalla parte del mare e provenienti dai luoghi più lontani. Vi erano palazzi, torri e un tempio al dio Poseidone.

L´isola di Atlante è descritta come terra dal clima mite, che dà più raccolti all´anno ed è ricca di metalli preziosi, che regna sui Tirrenici ossia sul popolo delle torri. Dove le torri sarebbero i forse diecimila nuraghi che avrebbero affollato l´isola a quel tempo, che non potevano non rimanere impresse al viaggiatore, torri che erano allora del tutto sconosciute nel resto del mondo. E qui si trova la Tartesso, terra ricca di messi e frutti ma soprattutto terra dell´argento, di miniere ricchissime e famose, per cui il Gennargentu era davvero nell´antichità la porta dell´argento. Questo non è che un accenno alle moltissime analogie che nel libro vengono evidenziate tra le descrizioni che ci sono pervenute del continente di Atlantide, di Skerìa l'isola dei Feaci, e della Sardegna come doveva essere allora e come è oggi. Vi si parla del clima, della posizione, dell'architettura, degli idoli e dei. Si parla del re dei re, dei commerci, dell'esercito e delle armi, della fedeltà a Poseidone. Delle loro capacità di navigatori, del sistema portuale, dei bagni di acqua calda, del gioco, gli stadi, la ginnastica e la danza, la presenza dei vecchi più vecchi, l'argento ed i metalli, l'abbondanza, il verde. Si elencano le date e le coincidenze, si racconta del fango che le sommerge e della malaria che le affligge...

Ora, in quest'isola di Atlante, vi era una grande e mirabile potenza regale che possedeva l'intera isola e molte altre isole e parti del continente. Inoltre dominavano, al di qua dello Stretto, le regioni della Libya fino all'Egitto, e dell'Europa fino alla Tirrenia (inizialmente il Paese delle Torri o l'Isola delle Torri, solo in seguito l'Etruria). Ricordiamo che ci dice Dionigi di Alicarnasso che in quel tempo il nome Tirrenia risuonava per la Grecia, e tutta l'Italia occidentale tolte via le denominazioni delle singole popolazioni assunse quell'appellativo. Come fare a non pensare allora a quando nel Mediterraneo oltre ai Greci e agli Egizi c'erano i Popoli del Mare, quella coalizione guidata dagli Shardana che comprendeva Libu e Tursha, di cui abbiamo parlato nel capitolo precedente?

E come non riconoscere in uno dei tanti attacchi dei Popoli del Mare la descrizione fatta dal sacerdote e riportata da Crizia quando dice che ci fu un tempo più antico in cui gli eserciti di una grande civiltà venuta dal Grande Mare Occidentale invasero il nostro mondo tutto distruggendo e solo Atene si salvò (probabilmente l'invasione del 1200 a.C.). Ed aggiunge che tutta questa potenza, unitasi insieme, tentò una volta, con una sola mossa, di sottomettere la vostra regione (la Grecia) e tutte quelle che stanno al di qua dello Stretto. Allora, dunque, la potenza della vostra città (Atene) apparve eroica per virtù e vigore a tutte le genti. Infatti, superando ogni altro per forza d'animo e in tutte quelle arti che servono in guerra, in parte guidando i Greci, in parte procedendo da sola per necessità quando gli altri defezionarono, dopo aver affrontato estremi pericoli, vinse gli invasori e innalzò il trofeo della vittoria. E così impedì che venissero sottomessi coloro che non erano stati ancora sottomessi, e liberò con generosità tutti gli altri che abitano al di qua delle Colonne di Eracle.

Nel libro viene riportato il risultato di uno studio dell'architetto Paolo Marcoratti sulla posizione geografica della città di Atlantide secondo le indicazioni del testo platonico, che al termine delle analisi condotte sul terreno gli consentono di affermare che la posizione della città di Atlantide e della pianura con essa confinante sia probabilmente quella corrispondente all'area geografica situata in Italia, nella regione Sardegna, nel territorio compreso tra il Golfo di Cagliari e la Pianura del Campidano.

Alla fine della lettura si rimane sconcertati: vengono fatti quadrare tutti i conti. O quasi. Perché qualche difficoltà di spiegazione viene dalla datazione della storia di Atlantide, quando Platone parla di 9000 anni prima dei suoi tempi. E si arriverebbe ancora prima della civiltà megalitica, quando ancora non poteva esistere un popolo che già conoscesse i metalli e la scrittura. Ma Crizia parla di scrittura, e bronzo, e armi, e carri, e triremi, e cocchi per gli arcieri. Qui ci viene di nuovo incontro Sergio Frau, quando, constatato come fosse strana la misurazione del tempo in anni cosa che i greci non facevano mai, ipotizza che invece si trattasse di mesi. Cosa che a nostro avviso non è del tutto improponibile, se si pensa alle analoghe interpretazioni degli anni e delle generazioni fatte per l'Antico Testamento. In questo modo, 9000 mesi e quindi 750 anni da sommare al 399 a.C. data della presunta morte di Socrate, portano il momento del massimo splendore di Atlantide a coincidere con il momento di massimo sviluppo della civiltà Shardana, e quindi quello che sempre Platone chiama il popolo venuto dal mare non sarebbero altro che gli Shardana.

La fine di Atlantide e i riscontri nella reggia di Barumini, il gigante abbattuto.

Ma c'è un'altra cosa che Platone racconta di Atlantide ed è la disastrosa inondazione che la avrebbe colpita fino a distruggerla. Dice ancora Crizia che in tempi successivi, essendosi verificati terribili terremoti e inondazioni, nel corso di un giorno e di una terribile notte tutti i vostri guerrieri (di Atene) sprofondarono insieme dentro la terra e allo stesso modo fu sommersa e scomparve l'Isola di Atlantide. Per questo ancora oggi quel mare è diventato impercorribile e inesplorabile, essendo d'impedimento i bassifondi fangosi che produsse l'Isola sprofondando. Ed anche qui i conti tornano con quelli del grande sisma avvenuto verso il 1200 a.C., che avrebbe provocato il grande maremoto con l'inondazione che sicuramente in quell'epoca ha colpito tutta la Sardegna meridionale allagando completamente il Campidano e distruggendo la maggior parte dei nuraghi presenti in questa zona, che ancora oggi, se li andiamo a visitare, troviamo tutti abbattuti in direzione sud e rimasti parzialmente in piedi solo nel lato nord.

Giovanni Lilliu racconta che ragazzo con gli amici saliva sul colle accanto a al paese di Barumini e con gli amici si calava con delle corde all'interno di un foro alla sommità del colle sotto la quale si apriva quasi un enorme pozzo. Poi Lilliu, divenuto grande archeologo, dedica 50anni della vita allo scavo e alla riscoperta sotto quell'alta collina della grande reggia di Barumini. Per scoprire che tra la fine del II e l'inizio del I millennio a.C. Il nuraghe subì un grave danno che obbligò per la ricostruzione a rifasciarlo per l'intero perimetro con un anello murario alto 3 metri, con la chiusura delle feritoie nella parte bassa e la realizzazione di un nuovo ingresso a ben 7 metri di altezza e questa volta rivolto verso nord-est invece che a sud-est come l'ingresso originario. Osserva che nella zona circostante a fronte di 27 nuraghi non è rimasta neppure una tomba, e che invece nel terreno circostante sono state trovate 150 teste di mazza usate come zappe da scavo ad indicare che era in corso una grande opera di costruzione. Questo è il Campidano fino alle Giare, che si alzano come una diga per l'acqua che arriva con il maremoto ribaltando indietro l'onda anomala da questo generata fino a farle ricoprire con 7/8 metri di residui alluvionali tutto quanto vi era contenuto. Una parte dei nuraghi emerge da questo strato alluvionale, il grande nuraghe di Barumini ne usciva di solo 120 centimetri, mentre le tombe sono rimaste sommerse come tutto quanto riguardava la civiltà che vi abitava. Si deve arrivare sull'alto delle Giare per ritrovare i nuraghi intatti, le tombe dei giganti e tutto ciò che nel Campidano è probabilmente ancora nascosto sotto il terreno. Come abbiamo visto nelle pagine precedenti, abbiamo le prove di questa grande inondazione che ha lasciato solo acquitrini al posto dei terreni fertili ed ha trasformato la Sardegna nuragica in una palude abbandonata da gran parte del suo popolo che si sarebbe portato fino alle estreme coste orientali del Mediterraneo.