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29 Settembre 2010 STORIA
CARLO ALBERTO BUCCI Repubblica.it
"Apriremo al pubblico i gioielli del Palatino e dagli ologrammi il Colosseo com'era"
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"Sarà possibile a breve aprire stabilmente al pubblico tutti i gioielli del Palatino e del Foro, come il Tempio di Romolo o la casa di Livia, ma anche il terzo anello del Colosseo. Fino al medagliere di palazzo Massimo". L'ultimo giorno di Giuseppe Proietti da soprintendente è dedicato alla bozza di un accordo che, se passa il referendum tra i dipendenti, potrà tra l'altro permettere di trovare in società esterne quei custodi che mancano ai siti e ai musei della più grande soprintendenza d'Italia. Ma l'archeologo che va in pensione lascia anche un progetto avveniristico al suo successore: "Creare ologrammi nel Colosseo che restituiscano la visione di come era davvero il monumento".

Le gradinate, l'arena, le sculture: ma non è un rifacimento?

"Assolutamente no. Con l'istituto di Ottica della facoltà di Fisica della Sapienza abbiamo iniziato a lavorare all'idea di un "arcobaleno" al Colosseo. Su un supporto di acqua nebulizzata do grande altezza si possono proiettare particelle luminose con il laser che ridaranno ai turisti, memori delle scene di Quo vadis o del Gladiatore, l'immagine tridimensionale di una porzione dell'anfiteatro così come era ai tempi dei Flavi".

E sull'uso dei monumenti per manifestazioni e concerti, qual è la sua linea?

"Si tende a considerare l'area archeologica centrale una "piazza" cittadina. È comprensibile. Ma il compito del soprintendente è tutelare i monumenti anche dal punto di vista del decoro. E i turisti che si affacciano dalle Arcate severiane ci chiedono come mai nel Circo Massimo trovano stand, capannoni, perfino campi di calcio. I milioni di stranieri vogliono ammirare questa meraviglia dell'antica Roma. E stiamo attenti a non deluderli perché il nostro patrimonio archeologico rappresenta la fonte di una voce importante del Pil cittadino".

Le Arcate severiane però si possono vedere solo in alcuni giorni. E gran parte del Palatino è chiuso al pubblico.

"Ciò è dovuto a un deficit di organico. Il più grande problema della soprintendenza di Roma non è la mancanza di fondi - grazie all'autonomia siamo abbastanza ricchi e poi stiamo per ricevere 14 milioni che nei bilanci consuntivi degli anni scorsi erano stati bloccati dal ministero dell'Economia - ma l'impossibilità di assumere personale".

Per questo ha aperto un tavolo con i sindacati.

"La speranza è riuscire a trovare all'esterno, come facciamo già per archeologi e amministrativi, gli addetti alla vigilanza che potranno permettere di aprire stabilmente al pubblico zone chiuse come il Tempio di Venere e Roma, la rampa domizianea, la Schola preconum, i magazzini di Agrippa, la casa di Augusto. E poi le forze aggiuntive esterne - la mia idea è di destinare a questo supporto il 10% del bilancio annuale, circa 3 milioni - consentiranno ai dipendenti della soprintendenza di impiegare metà del loro tempo di lavoro valorizzando appieno le singole professionalità: sono molti gli addetti alla vigilanza laureati in archeologia o giurisprudenza".

Nei sei mesi in cui è rimasto al Foro romano, lei si è trovato a coabitare con il commissario del governo. Problemi?

"Abbiamo lavorato benissimo con Roberti Cecchi e il suo staff. Il commissariamento ha riguardato non il mio ruolo, bensì alcune procedure normative. Grazie alle deroghe, si è potuto fare di più e meglio. Ce li avesse un soprintendente quei poteri straordinari, non ci sarebbe bisogno del commissario".