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22 Settembre 2007 PALEONTOLOGIA
Tiziana Moriconi galileonet.it
Altri due pezzi del puzzle
tempo di lettura previsto 4 min. circa

Un momento felice per la paleoantropologia: due articoli apparsi simultaneamente su Nature e su Science presentano nuovi fossili che fanno luce su passaggi cruciali dell'evoluzione del genere Homo. E se le due scoperte sembrano non avere niente a che a fare l'una con l'altra, un antropologo potrebbe in realtà raccontarle come un'unica storia. Ma andiamo con ordine.

Matthew Tocheri della Smithsonian Institution (Usa) riporta su Science il rinvenimento di tre ossa del polso del discusso Homo floresiensis, l'ominide di circa 18 mila anni fa, scoperto nel 2003 sull'isola indonesiana di Flores. Galileo ha seguito la tormentata storia del piccolo uomo di Flores, o Hobbit come è stato ribattezzato, fin dal primo ritrovamento del fossile (Un piccolo grande mistero evolutivo). Il nomignolo si deve al fatto che, nonostante i reperti siano relativamente recenti (18 mila anni, appunto), mostrano caratteri propri di specie molto più antiche, alcuni dei quali condivisi anche con gli australopitechi e con le grandi scimmie antropomorfe. Per questo, piuttosto che considerarlo una specie diversa da Homo sapiens con caratteristiche primitive a causa dell'insularizzazione, molti propendono per una forma di pigmeo patologico della nostra specie. Dalla pubblicazione del rinvenimento del primo fossile (Lb1) su Nature nel 2004, fino a oggi, la questione è rimasta sempre aperta.

Ora, le tre ossa del polso rinvenute da Tocheri, provenienti dallo stesso scavo di Lb1, non mostrano patologie né sviluppi anormali. Così come, d'altra parte, non presentano i caratteri moderni tipici dell'H. sapiens e del Neanderthal: posseggono, piuttosto, caratteristiche condivise da tutte le scimmie africane e dagli ominidi che vissero prima di 1, 7 milioni di anni fa. Si ritiene, infatti, che la struttura moderna del polso sia comparsa tra 1, 8 milioni e 800 mila anni fa: la separazione dell'uomo di Flores dovrebbe quindi essere antecedente almeno alla più recente delle due date.

Su Nature invece, David Lordkipanidze del Georgian National Museum di Tbilisi e Christop Zollikofer dell'Anthropologisches Institut dell'Università di Zurigo, pubblicano il ritrovamento di quattro scheletri parziali appartenenti al cosiddetto uomo di Dmanisi, in Georgia, un ominide primitivo vissuto 1, 77 milioni di anni fa, la più antica testimonianza del genere Homo al di fuori dell'Africa. I resti appartengono a tre adulti e a un adolescente di cui era già stato rinvenuto il cranio durante scavi precedenti. I fossili, importanti perché si conoscono pochi reperti dello scheletro post-craniale dell'uomo di Dmanisi, confermano che questi ominidi presentavano insieme caratteristiche primitive e moderne .

Tra i resti, un femore integro, una tibia e una rotula costituiscono il più completo arto inferiore di un "early homo" tanto antico. I resti hanno permesso finalmente di ricavare la statura (tra 145 e 166 centimetri) e la massa corporea (40-50 chilogrammi) degli uomini di Dmanisi. Le proporzioni tra le varie ossa sono moderne, come lo sono il femore e alcune caratteristiche del tallone. Anche la morfologia della spina dorsale è più simile a quella di H. erectus che a quella degli australopitechi e, insieme alla conformazione dell'alluce e alla presenza dell'arco plantare, indica un adattamento alla corsa e ai lunghi viaggi. Primitivi sono invece la piccola taglia, il basso quoziente di encefalizzazione e l'assenza della torsione dell'omero. Secondo gli autori, l'uomo di Dmanisi è assimilabile all'Homo habilis, e rappresenta la prima specie attualmente conosciuta al di fuori dall'Africa, che non possiede ancora tutte le caratteristiche dell'H. erectus e degli ominidi che seguirono.

In che modo i fossili protagonisti di queste scoperte possono essere messi in relazione? "Ammettiamo che l'uomo di Flores sia una specie distinta da H. sapiens, cosa di cui sono convinto" commenta Giorgio Manzi, docente di Paleoantropologia presso l'Università Sapienza di Roma, "Possiamo osservare che Flores non solo è uno 'strano miscuglio' di caratteri, ma che ricorda proprio i fossili di Dmanisi". Eppure tra i due passano circa due milioni di anni. Manzi ritiene però che l'origine dell'H. floresiensis sia in realtà molto più antica di 18 mila anni e che la sua insularizzazione sia avvenuta tra i 1, 5 e i 2 milioni di anni. "Lo credo possibile perché la sua morfologia ricorda molto un hearly homo generico, in cui includo Dmanisi H. habilis e il primo H. ergaster", spiega il ricercatore. "Se si riuscisse ad analizzarne il Dna non mi stupirei se la divergenza genetica tra Flores e noi risultasse di due milioni di anni e non di 18 mila". Dovremo quindi aspettare nuove analisi e altri fortunati ritrovamenti per confermare o meno che Flores e Dmanisi siano specie discendenti di uno stesso predecessore, dal quale in seguito derivarono anche gli uomini moderni e i Neanderthal.