"Dramatic" e "impressive", spettacolare e sensazionale. Sono gli aggettivi più usati dalla stampa anglofona in questi giorni per definire il nuovo allestimento, appena inaugurato, della più vasta e completa collezione di arte classica degli Stati Uniti, e una delle più belle del mondo, quella del Metropolitan Museum di New York. Gli stessi aggettivi possiamo utilizzarli per definire le cifre: circa 6.000 pezzi d'arte greca, magnogreca, romana ed etrusca esposti– molti dei quali finora stipati nei magazzini del museo e negati agli occhi di generazioni di visitatori –, 15 lunghi anni di studi e restauri, 220 milioni di dollari impiegati. L'effetto è quello di "un museo nel museo", soprattutto quando si entra nella monumentale corte porticata, dalle imponenti colonne doriche, coperta con un tetto di vetri che fa sì che le opere siano immerse in un bagno di luce naturale. Si capisce perché questo ambiente, uno dei più belli di tutto il museo, non possa che essere considerato il fulcro intorno al quale ruota la nuova sistemazione della galleria d'antichità classiche. Ben venti le sculture romane, databili tra il I secolo avanti Cristo e il III secolo dopo Cristo, ad essere esposte nella "corte", ognuna con un'ampiezza intorno inimmaginabile nei musei italiani sempre a corto spazio. Vi sono il Dioniso della collezione Hope, i due Ercoli di età flavia, i ritratti degli imperatori Augusto, Caligola e Antonino il Pio, una rara statua bronzea d'età augustea rappresentante un fanciullo e il magnifico sarcofago con Dioniso sulla pantera che guida il suo "thiasos" (corteo) con satiri, menadi, il dio Pan e quattro giovinetti rappresentanti le stagioni, ognuno con il proprio attributo. Quest'ultimo è in assoluto il primo pezzo acquistato dal museo, nel lontano 1870, dal duca di Beaufort.
La vicenda del grande peristilio è singolare. Costruito tra il 1912 e il 1926 per portare sulla Fifth Avenue l'atmosfera dell'atrium di una villa romana imperiale, mantenne solo per poco più di un ventennio la destinazione prevista originariamente, cioè accogliere il grosso della collezione greca e romana messa insieme nei primi anni di vita del Museo. Dopodichè, in maniera inspiegabile, il nuovo direttore Francis Henry Taylor decise di trasformarlo in un ristorante di gran lusso, amputando il Museo dei due terzi della collezione che finì nei magazzini, lì dove è rimasta per quasi 50 anni. Cosa inaccettabile per l'ultimo direttore, Philippe de Montebello, che insieme con il curatore del dipartimento di antichità Carlos Picòn, "suo delfino", ha operato una vera rivoluzione nell'assetto del museo, oltre che una completa riorganizzazione delle collezioni d'arte antica. Merito anche dell'apparato tecnologico e multimediale che accompagna le opere, con touch screen che consentono agli utenti di interagire con i computer alla scoperta di informazioni sugli oggetti.
Ma ad adombrare la festa è arrivata l'ennesima richiesta, da tre anni a questa parte, del paesino umbro Monteleone di Spoleto, affinché il Metropolitan restituisca il cocchio etrusco trovato nel 1902 da un contadino del posto e subito venduto per comprare le tegole del tetto di casa. Si tratta di una biga da parata rivestita di lamine di bronzo e un tempo anche di avorio, decorata con scene tratte dalla vita di Achille, che culminano nell'apoteosi dell'eroe omerico, rappresentato su un carro tirato da cavalli alati. Adriana Emiliozzi del Cnr, l'unica ricercatrice italiana che ha partecipato al restauro, afferma che "l'artista che l'ha realizzata al contrario di quanto si pensava, aveva un notevole bagaglio culturale, conosceva la saga omerica e le opere greche sulla vita di Achille e potrebbe essere giunto in Etruria dalla Grecia orientale". Il Metropolitan Museum, che ha accettato l'anno scorso di restituire all'Italia ventuno oggetti d'arte antica, tra cui il celebre vaso di Eufronio e gli argenti di Morgantina, questa volta non intende cedere: "Il cocchio è stato acquistato in buona fede e conservato amorevolmente, largamente pubblicato e mostrato a milioni di visitatori di tutto il mondo'', ha detto il portavoce del museo Howard Holzer.
Non ci sarà partita su questo pezzo. Picòn ha dichiarato senza mezze misure al New Yorker che "la politica delle restituzioni è una follia" e si chiede dove siano finite le opere che il museo di Boston ha restituito all'Italia dopo essere state esposte solo per una settimana.
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