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27 Marzo 2006 ARCHEOLOGIA
AGI News On
Trapanazione del cranio su una mummia andina
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Roma - La triplice trapanazione chirurgica del cranio di una fanciulla malata, di alto lignaggio, seppellita in epoca pre-incaica ad Ancon, sulla costa settentrionale del Peru', e' stata rilevata con una ricerca multidisciplinare di altissima tecnologia su una delle mummie andine, riscoperte nel Museo Civico di Reggio Emilia durante l'inventario del suo deposito. La sensazionale scoperta e' stata illustrata dall'archeologa americanista Maria Longhena, che ha diretto lo "scavo" nel deposito del museo ed il successivo studio scientifico dei reperti, in una conferenza alla rassegna del cinema archeologico "Imago", organizzata a Roma dall'associazione culturale Flumen. Dopo le prime interpretazioni del reperto (una calcificazione ossea era stata in un primo tempo attribuita allo sfondamento della parete cranica per un sacrificio rituale con seppellimento della vittima non ancora viva), l'intervento chirurgico e' stato identificato nitidamente grazie a nuove analisi effettuate con metodologie scientifiche che per la prima volta sono state applicate alla ricerca archeologica: un raffinato studio multidisciplinare ha accertato un processo avanzato di calcificazione dei tre fori praticati sul cranio della ragazza, che deve essere quindi sopravvissuta per parecchi mesi alla trapanazione. L'operazione, nelle intenzioni degli antichi chirurghi, doveva consentire la fuoriuscita degli spiriti maligni responsabili della malattia, una emiatrofia cranica, cioe' lo sviluppo asimmetrico del cranio, causa di paralisi del braccio destro e di crisi epilettiche; in realta', la trapanazione alleggeri' la pressione endocranica, e molto probabilmente i chirurghi dell'epoca avevano gia' constatato il beneficio che questa operazione arrecava a soggetti epilettici. I reperti provengono da necropoli di culture Huari e Chancay, di eta' in fase di accertamento compresa fra il 500 ed il 1300 d.C.. Lo studio di questa operazione, illustrata alla conferenza di "Imago" anche dalle altre archeologhe che hanno partecipato alla ricerca diretta dalla Longhena, Maria Lenares ed Elena Tazzari, dell'Universita' di Bologna, e' stato reso possibile dalla ricostruzione virtuale non solo del cranio, ma di tutto il corpo della fanciulla, mummificato naturalmente dal clima desertico della zona. Il lavoro, realizzato al computer con una raffinata tecnica di visualizzazione tridimensionale virtuale da Massimiliano Fantini con l'antropologo Stefano Benozzi, dell'Universita' di Bologna nelle sedi di Ravenna e Forli', ha ricostruito una mummia virtuale completa, che non esiste fisicamente, con ricostruzione di un modello d'insieme della giacitura funeraria (in posizione fetale seduta), e con misurazioni antropometriche particolari. Sono state, per esempio, aperte ed allontanate virtualmente le mani ed i tessuti che coprono la testa della ragazza, mettendola a nudo sul supporto magnetico senza rischiare di sbriciolare il fragilissimo reperto se l'operazione fosse stata compiuta fisicamente sulla mummia. L'alto lignaggio della ragazza (probabilmente una Huari, fra i 13 ed i 14 anni di eta') e' confermato da parecchi elementi, come il sacrificio di un bimbo di 2 o 3 anni di eta', seppellito e avvolto con lei nello stesso fardo (una sorta di complesso sudario a strati): ne sono rimaste, nel deposito del Museo di Reggio Emilia, le gambe ed i piedini con i sandaletti. Inoltre, il corredo funebre comprendeva oggetti d'oro (il "sudore del sole", nella simbologia delle antiche culture andine) e d'argento (le "lacrime della luna"). Inoltre, uno studio assolutamente innovativo di paleonutrizione sul metabolismo delle ossa e dei capelli ha rivelato che quella ragazza e' l'unico soggetto, fra le diverse mummie trovate nel deposito, che si alimentasse con carni rosse e cibi ricchi di metalli: carni rosse potevano essere solo quelle della cacciagione, poiche' quelle culture non praticavano l'allevamento.