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26 Gennaio 2005 ARCHEOLOGIA
Il Gazzettino Online
Su quel vaso c'è un codice segreto
tempo di lettura previsto 3 min. circa

Immagine come messaggio. Di un'idea, di un fatto, di un concetto, di una tradizione. Non sempre uguale nei luoghi o nei tempi. Pensiamo al "leone alato". Due-tremila annifa era simbolo laico di regalità, di forza, di potere in tutto il Vicino Oriente antico. Ma proprio in Mesopotamia, sotto Nabucodonosor (che distrusse Gerusalemme e deportò gli ebrei sei secoli prima della nascita di Cristo), quello stesso leone che decorava i palazzi del potere, divenne simbolo profetico nella visione dei quattro animali del profeta Ezechiele, anche lui tra i deportati a Babilonia. Quando i Padri della Chiesa ravvisarono nei quattro animali la visione dei quattro Evangelisti, e San Girolamo associò il leone a Marco, ecco che il leone alato approdò nella cultura occidentale medievale come simbolo dell'evangelista. Quando poi la Repubblica di Venezia elevò San Marco come patrono della città, ecco che il leone alato diventò simbolo politico della Serenissima. E oggi è il logo indiscusso di Venezia.

«Il metodo di approccio allo studio del mondo figurato», spiega Irene Favaretto, del comitato scientifico del convegno, ordinario di storia dell'archeologia e prorettore dell'Università di Padova, «parte dal presupposto della non neutralità dell'immagine: ormai è convinzione radicata che l'immagine non sia né decorativa né accessoria, ma portatrice di un messaggio che è nostro dovere cercare di interpretare. Il messaggio, però, non è sempre esplicito ma si cela all'interno di una rete di riferimenti culturali o politico/sociali che forse erano già difficilmente comprensibili allo spettatore antico che non fosse provvisto di una solida cultura, e che di conseguenza sono tanto più oscuri per noi che abbiamo perduto tanta parte del contesto entro cui l'immagine era inserita». Gli studiosi, allora, attraverso un'operazione di decodificazione tentano di ricostruire la cultura e la società nell'ambito della quale l'immagine è stata creata. L'archeologo e il linguista diventano così delle "spie" del passato alla scoperta dei codici segreti della comunicazione degli antichi. «Rinunciare a compiere tale operazione», assicura Favaretto, «significherebbe a rinunciare a capire tanta parte delle radici della nostra cultura».

I risultati delle ricerche di questi "007 del passato" saranno l'oggetto del convegno di Venezia dove l'università di Padova gioca un ruolo importante. Proprio a Padova, infatti, già da tempo è attivo, sotto la guida di Francesca Ghedini, Irene Favaretto e Maria Grazia Ciani, un filone di ricerca che si dedica allo studio delle immagini come forma di comunicazione non verbale, sfociata in tesi di laurea, specializzazione e dottorato. E l'università di Padova, con Bari, Bologna, Cagliari e Salerno, ha partecipato al progetto interuniversitario di "Studi sull'immagine nel mondo antico".

I lavori degli studiosi presenti a Venezia si articoleranno in sei sessioni distribuite nelle tre giornate di convegno.

Prima di tutto l'immagine come comunicazione di "un gesto, un rito": dall'analisi dei gesti, soprattutto nell'ambito della ceramica attica e magno-greca, alla ricostruzione di una ritualità per noi in gran parte perduta ma che doveva essere parte integrante della vita privata e pubblica degli antichi. Si passa poi all'immagine come vero e proprio messaggio nel mondo greco e nel mondo romano. «L'idea di fondo che si sono fatti gli esperti è che le immagini non erano tutte allo stesso livello di significato, ma esistevano gradi diversi a seconda della postura dei personaggi, dei gesti che essi compiono, degli attributi che li caratterizzano, delle relazioni che li organizzano». Un vero codice.

Ma l'immagine va poi inserita nel suo "contesto" per cercare di comprendere ciò che poteva o voleva comunicare, come si spiegherà in un'altra sessione del convegno. Infine il convegno con "Tradizione classica e mondo moderno" si concentrerà sul tema della fortuna che l'immenso patrimonio di immagini desunte dal linguaggio figurativo dell'arte classica conobbe durante il Rinascimento e oltre. È proprio in quest'ultima sessione che, grazie a un documento inedito dell'Archivio Segreto Vaticano, si tenterà di dare un'interpretazione iconografica all'allestimento della Collezione Borghese. E di secolo in secolo si arriva ai giorni nostri quando il cinema sembra conoscere una stagione di rinnovato interesse per l'antico: il convegno chiuderà venerdì proprio con l'analisi di alcuni casi di riappropriazione da parte dell'arte cinematografica di motivi iconografici appartenenti alla classicità.