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20 Giugno 2004 ARCHEOLOGIA
Il Messaggero
Roma, l´impero fa kaputt
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Le conseguenze della sconfitta delle legioni romane nel 9 d.C. sono state enormi per la storia europea e mondiale. In questo capitolo finale cercherò di delinearne alcune, concludendo con una riflessione sulla differenza tra storia e archeologia, i due metodi di studio del passato di cui mi sono servito per la presente opera. Le fonti scritte e i resti materiali ci danno la possibilità di analizzare le vicende storiche in modo diametralmente opposto. Le fonti disponibili, e quelle che decidiamo di seguire, determinano infatti il criterio in base al quale analizziamo e valutiamo il passato.

Nel 17 d.C., quando Tiberio richiamò Germanico dalla Germania, ponendo fine alle mire sulle terre transrenane, il Reno divenne il confine accuratamente fortificato dell´impero. L´ingente numero di effettivi stanziati nelle basi sulla riva occidentale del fiume ebbe un impatto profondo e durevole sulle economie locali. Le migliaia di soldati di stanza a Nijmegen, Xanten, Colonia, Bonn, Magonza e in altri siti avevano bisogno di una gran quantità di cereali, verdure, carne, vino e altri alimenti. La maggioranza di tali derrate veniva prodotta nei dintorni delle basi dagli agricoltori locali. Molti attrezzi, armi, vasi e oggetti personali erano forgiati nelle officine degli artigiani insediati nei villaggi limitrofi. Le necessità romane crearono un´eccedenza produttiva che incentivò tutta l´economia locale. Nel I e II secolo dell´era cristiana, attorno alle basi si fondarono nuovi centri: fra questi, Colonia e Magonza assunsero un particolare rilievo. In quel periodo, la regione renana era una delle più ricche di tutto l´impero.

Il fiume rimase il confine tra mondo latino e terre orientali non conquistate finché durò l´impero, cioè fino al V secolo. Quando il cristianesimo dilagò nelle varie province, alcuni dei centri di maggiore diffusione erano quelli di confine, come Bonn, Colonia e Treviri. La regione renana continuò quindi ad agire da luogo di incontro di culture diverse per buona parte del Medioevo, come precisa R.W. Southern in The Making of the Middle Ages (1959). Nel mondo moderno sopravvivono le vestigia di questa frontiera culturale: il confine tra i paesi che parlano lingue romanze (derivate dal latino) e lingue germaniche è il Reno; i popoli a ovest del fiume bevono vino, mentre la tradizione di quelli a est predilige la birra.

Non è mia intenzione esagerare questa prospettiva, ma si può ragionevolmente sostenere che, nel 9 d.C., sventando i disegni romani di conquista, i guerrieri germanici abbiano fissato un confine culturale e talvolta politico di lunga durata.

Roma perse la battaglia di Teutoburgo, e gli uomini delle tre legioni, perché Augusto e i suoi consiglieri non avevano compreso i popoli del Nord Europa né i mutamenti in corso in quelle società.

Fino al 9 d.C., l´impero romano aveva riportato una serie di stupefacenti vittorie militari, in Europa e altrove. Certo, aveva subìto anche battute d´arresto, ma la propaganda ufficiale si limitava a enfatizzare i successi. In effetti, Augusto si dava da fare per regalare al popolo romano magnifici monumenti, elaborare iscrizioni e splendide monete per glorificare i successi delle legioni. Al contempo, egli minimizzava e sviliva le sconfitte. Nell´epoca precedente alla creazione di una stampa libera e all´esistenza di mezzi di comunicazione non controllati dal governo centrale, era molto difficile per il popolo sapere cosa stesse davvero accadendo. Le sculture e le iscrizioni con cui Augusto abbellì Roma eternavano le grandi realizzazioni dell´esercito. Inoltre, gli scrittori latini dell´età augustea, come Livio e Virgilio, contribuivano ad alimentare l´ideologia di una capitale destinata a dominare il mondo.

L´atteggiamento rispetto alle tribù germaniche rifletteva questo concetto di superiorità, infatti non venivano mai rappresentare come nemici in grado di opporsi alla potenza imperiale. Dalle prime menzioni di Cesare, che sviliva i germani a paragone dei celti (i quali vivevano in comunità molto più complesse), non ci sono testi latini in cui vengano considerati come forza militare. In retrospettiva, però, possiamo rilevare numerosi segni del loro valore bellico. Intanto, Cesare li aveva ingaggiati come mercenari proprio per la loro efficacia in guerra. Nelle cronache di Dione Cassio sulle campagne di Druso in Germania settentrionale leggiamo talora di nemici che quasi riescono a intrappolare e sconfiggere il potente esercito imperiale. Non è tuttavia chiaro fino a che punto questa notizia fosse divulgata a Roma o presa sul serio da Augusto. Nell´architettura monumentale, nelle iscrizioni e nella letteratura dell´età augustea non ci sono prove di funzionari romani preoccupati dalla minaccia militare esistente nei territori a nord delle Alpi, nonostante il ricordo delle invasioni galliche del 387 a.C. e delle violente migrazioni di cimbri e teutoni.

Perfino i testi che si occupano direttamente della catastrofe subita da Varo descrivono l´evento come se non fosse stato una vittoria militare dei germani. Gli autori incolpano Varo per la sua negligenza, Arminio per la perfidia, l´ambiente selvaggio e le pessime condizioni atmosferiche. Mai una parola sui guerrieri locali che sopraffecero le legioni di un impero. Augusto attribuì la sconfitta a una inadeguata cerimonia rituale, che impedì ai romani di guadagnarsi il favore degli dèi. L´imperatore non riusciva a credere che il suo esercito fosse stato schiacciato dai barbari del nord.

I reperti archeologici non dimostrano soltanto che le tribù germaniche erano molto più abili, in senso tecnico-organizzativo, di quanto pensassero i romani, ma anche che furono in grado di apportare, nei decenni antecedenti alla battaglia del 9 d.C., dei cambiamenti nella loro economia, nel loro armamentario e negli atteggiamenti di fronte all´invasore. Era errata anche l´idea che si era fatta Cesare delle popolazioni transrenane. L´archeologia attesta infatti, dal tempo di quest´ultimo in poi, un incremento notevole nella produzione di armi e strumenti bellici, e nelle comunicazioni interne fra i gruppi stanziati in quelle regioni che Roma cercava di conquistare.

Questi mutamenti avrebbero dovuto essere facilmente compresi dai romani. Le importazioni imperiali di numerosissimi beni indicano l´esistenza di frequenti rapporti tra mondo romano e regioni settentrionali. I mercanti e gli altri viaggiatori avrebbero potuto riferire ai funzionari le loro osservazioni sui mutamenti in atto nelle società indigene dell´Età del ferro. Senonché, le prove esistenti a Roma suggeriscono che Augusto e i suoi consiglieri non sarebbero stati ricettivi nei confronti di tali informazioni. Dieter Timpe e altri hanno dimostrato che i romani consideravano i barbari come gente immutabile. Il fatto è che la tradizione storica romana metteva l´accento sulla continuità, non sul cambiamento. E i popoli indigeni erano particolarmente ritenuti incapaci di cambiare. Questo è stato l´errore fatale dei romani. Il mondo del Nord Europa si stava trasformando, in gran parte a causa dei processi messi in moto dalle stesse invasioni latine in Gallia, ma nella capitale dell´impero non se ne accorsero.