Pollo, maiale, buoi, ma soprattutto pesce, ostriche e molluschi. Non si trattavano certo male a tavola le monache che nel Trecento vivevano nel monastero di San Giacomo in Paludo, dove dal 2002 è in corso una campagna di scavi archelogici da parte dell'Università di Ca' Foscari, che ha permesso ad esempio di capire quale fosse la dieta quotidiana del monastero femminile cistercense che per tre secoli almeno fiorì nell'isola.
Le fonti storiografiche raccontano che prima dell'insediamento monastico l'isola fu Ospizio per i pellegrini che si recavano in Terrasanta, e in epoca più tarda, dopo il decadere della comunità cistercense, convento di Frati Minori legati alla Chiesa dei Frari. La soppressione napoleonica degli ordini religiosi consegnò l'isola a un breve abbandono, interrotto da insediamenti militari prima austriaci e poi italiani che hanno connotato gli ultimi e conclusivi due secoli di vita di San Giacomo.
«Il nostro intento è mettere a confronto i dati della storiografia tradizionale con quelli della ricerca archeologica, in modo da capire e confermare la sequenza relativa della fasi costruttive», ha spiegato il responsabile scientifico degli scavi, il professor Sauro Gelichi, ordinario del corso di Archeologia Medioevale, che ieri ha illustrato i provvisori risultati della ricerca.
Gli scavi, condotti materialmente dagli studenti cafoscarini, hanno confermato l'ipotesi, desunta anche dalle accurate cartografie rinascimentali, che il nucleo centrale degli insediamenti religiosi si ergesse sul versante dell'isola prospicente la Scomenzera San Giacomo, ma il ritrovamento sul versante opposto di ampie pavimentazioni di epoche successive (un primo pavimento trecentesco in cocciopesto coperto da un più tardo pavimento in mattoni a spina di pesce) ha messo in dubbio l'idea che il resto dell'isola fosse quasi tutto destinato ad orto.
«San Giacomo - ha spiegato Gelichi - è risultata più costruita di quanto in un primo tempo non si pensasse». Quali funzioni avessero le costruzioni scoperte ultimamente non è ancora chiaro, come si ragiona ancora in via di ipotesi su come fosse, se c'era, la chiesa usata dalle monache, dato che i resti finora rintracciati sono di una chiesa rinascimentale, più volte rimaneggiata dai frati. Neppure il cimitero delle monache è stato ancora trovato, benché nella chiesa e nelle sue vicinanze siano stati scoperti degli inumati e una tomba.
Molteplici e vari i reperti emersi - vasellame di vario uso, ceramiche da mensa e da fuoco, vetri e crogioli, monete, una eccezionale fiaschetta in piombo da pellegrino - che testimoniano della vivacità di occupazione del sito e che opportunamente studiati possono dare anche fresche indicazioni di tipo sociale. Proprio per questa ragione gli scavi, che sono cofinanziati dal Consorzio Venezia Nuova, dalla Regione, Dall'Università, dal Fondo sociale europeo, sono occasione di interrelazioni polispecialistiche, con esperti di antropologia, di archeozologia, di paleobotanica, di archeometria. «Un'umile interazione - ha spiegato Giannantonio Mazzocchin, ordinario del Dipartimento di Chimica di Ca' Foscari - può portare avanti le conoscenze».
Mistero fitto, invece, sugli insediamenti a San Giacomo prima del XII secolo: sono stati trovati, infatti, reperti di epoca classica, ma sono giunti in isola coi terreni di riporto usati per innalzare i terrapieni militari.
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