sei in Home > Archeologia > News > Dettaglio News
8 Aprile 2004 ARCHEOLOGIA
Avvenire
Gli italiani vanno alla scoperta del Sinai
tempo di lettura previsto 3 min. circa

Sono ormai venticinque anni che Emmanuel Anati, direttore del Centro Camuno di studi Preistorici, guida la spedizione ad Har Karkom una montagna sacra dall'epoca dell'homo sapiens che nell'altopiano vi eresse un santuario di pietre antropomorfe. E sono quindici anni che il sottoscritto lo segue perché quella montagna lo attrae più di quanto un fiore attragga un'ape. La stampa, non solo quella specializzata che riguarda l'archeologia, ha dedicato in tutto il mondo pagine intere all'identificazione di questa montagna con il biblico Monte Sinai, come Anati afferma da un ventennio. Sono note le evidenze archeologiche di migliaia di incisioni rupestri fra cui un bastone che diventa un serpente, le tavole della legge, centinaia di accampamenti ai piedi della montagna, dodici pietre fitte ai piedi del monte che sembra una sfinge, una fortezza a ridosso del pozzo di Beer Karkom, la pianura circostante luogo di una grande battaglia e centinaia di tombe del quarto millennio avanti Cristo. E altro, molto altro ancora come presenze di permanenza e di culto già dal paleolitico.

Della spedizione, oltre al direttore che ha la concessione di scavi dall'autorità israeliana Anati, fanno parte quest'anno i fratelli Claudio e Flavio Barbiero, gli speleologici bergamaschi guidati da Sergio Castelletti, Giorgio Fornoni, il reporter che collabora con Milena Gabbanelli. Alla spedizione hanno dato un prezioso contributo nelle edizioni precedenti, Rosetta Bastoni, esperta di incisioni rupestri, Ida e Federico Mailland, Candida Zani e il noto scrittore Valerio Manfredi che ha diretto alcuni scavi sull'altopiano. La spedizione a parte gli evidenti scopi di ricerca è da sempre anche una straordinaria avventura umana per le difficoltà di permanenza, per gli enigmi che pone, per le scoperte e i risultati degli scavi, come il ritrovamento nel 98 di una mezzaluna di pietra bianca rinvenuta al centro di un tumulo di selci nere: nella Genesi è scritta la storia dolorosa di Abramo che è costretto a scacciare il suo figlio primogenito Ismaele che arriverà nel deserto Paran, sposò un'egiziana e divenne un celebre tiratore di arco. Quel tumulo domina proprio il deserto Paran, ad Har Karkom ci sono centinaia e centinaia di incisioni rupestri con scene di caccia con l'arco e Ismaele è considerato il capostipite della gente del Corano che ha per simbolo proprio una mezzaluna.

Ma io sono sconcertato dal disinteresse che suscita questo luogo sia per i cristiani che hanno Gebel Musa, gli ebrei che hanno il monte Sion e i musulmani che hanno la Mecca. Eppure è proprio da quelle parti che il Signore fa ad Abramo due promesse inaudite e che mantiene: promette sia ad Ismaele che ad Isacco che la loro discendenza sarebbe diventata numerosa come la sabbia del mare. Il miliardo di cristiani e il miliardo di musulmani sono appunto il mantenimento di quella lontana e solenne promessa. Il programma di questa spedizione sarà quello di perlustrare altri siti dell'immensa area di oltre cento chilometri quadrati e di verificare le piste che attraversano Har Karkom, che seguono i quattro punti cardinali e che si incrociano proprio sull'altopiano sacro: da Est ad Ovest passando per Madian dalla Transgiordania verso l'Egitto, e la via dell'incenso dall'Arabia verso il Mediterraneo di Gaza. Poi in autunno ci ritroveremo con gli studiosi per verificare su cosa racconta la Bibbia del monte Sinai, la sua geografia e topografia, ricordando che nel racconto biblico risulta evidente che esso si trova fuori dalla Terra promessa, ma ne è molto vicino. Nella settimana santa mi mancano le funzioni religiose, ma quel luogo riesce ancor più a farmi partecipare alla storia ancora incompleta della nostra salvezza.