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3 Febbraio 2003 ARCHEOLOGIA
Il Messaggero
Cina, la muraglia non è più Grande
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Tutta la storia della Grande muraglia è una storia complicata e misteriosa. La vulgata tradizionale voleva che l'avesse fatta costruire nel terzo secolo a.C., unendo fra loro tratti preesistenti, l'imperatore Qin Shi Huang Di, il grande unificatore dell'impero cinese. Un sovrano, peraltro, oltre che crudele, assai amante delle grandi opere, dal momento che a lui risale (doveva essere la sua tomba) l'idea di quelle migliaia di guerrieri e funzionari scolpiti al naturale sotto il suolo di Xian, una delle capitali della Cina antica. Opere, entrambe, che dovevano aver richiesto il lavoro ben progettato e organizzato di centinaia di migliaia di persone.

Con i suoi 6.700 chilometri, la Grande muraglia doveva separare e tenere al riparo i contadini sedentari cinesi dalle tante popolazioni nomadi (dagli antenati degli Unni ai Mongoli) che facevano periodiche irruzioni nelle loro terre ben arate. In realtà non riuscì mai a svolgere il suo compito; non impedì razzie e conquiste, spostamenti degli uni e degli altri (anche seguendo mutamenti climatici ed ecologici), scambi e comunicazioni. In alcuni casi quello dei Mongoli è il più noto popoli delle steppe riuscirono non solo ad attraversare quella frontiera in apparenza così ben disegnata, ma persino a spingersi fin nel cuore della Cina e a fondare durature dinastie. Come dimostrò un grande storico dell'Asia centrale e della Cina, Owen Lattimore, quella attraversata dalla Grande muraglia era stata sempre una regione di incontri e di andirivieni. Più vicino a noi, un altro storico americano, Arthur Waldron, si è spinto ancora più in là. Partendo dall'analisi dell'insieme quasi incredibile di imprecisioni e contraddizioni (soprattutto nei dati quantitativi) che hanno sempre caratterizzato le descrizioni della Grande muraglia, nonché dalla ripresa recente di attività archeologiche, Waldron ha potuto stabilire che fortificazioni isolate vennero costruite già nel primo millennio a.C., e che in alcuni periodi (soprattutto nel III secolo a.C.) se ne collegarono tratti più o meno lunghi. Tuttavia, non esiste una continuità della Grande muraglia da Qin Shih Huang Di ai nostri giorni, né ci sono testimonianze di una sua presenza apprezzabile nei secoli che corrispondono al nostro Medioevo. Così, la Grande muraglia di cui oggi vediamo i resti sarebbe opera in buona parte della dinastia Ming (1368-1644): la penultima dinastia imperiale e l'ultima propriamente cinese (prima dei mancesi Qing). Riprendendo e sviluppando le tesi di Lattimore, Waldron dimostra anche come la Grande muraglia sia stata una specie di Maginot (destinata alla fine, come quest'ultima, a fallire); e anche il risultato, di volta in volta variamente compromissorio, dell'incapacità di scegliere fra due tesi opposte: frenare i nomadi con la diplomazia e il commercio o portare decisamente la guerra nei loro territori (ognuno può giudicare dell'attualità di questo dibattito...).

Ma la Grande muraglia è stata anche una metafora, un mito, un simbolo: utilizzati, fino a tempi recenti, a scopi immediatamente politici. Deng Xiaoping esortava i cinesi, nell'84, a restaurarla, vedendo in essa un simbolo potente dell'unità nazionale e, insieme, di una grande prudenza nell'aprirsi al mondo esterno. Per essere più precisi, Deng sosteneva con forza, in quegli anni, l'apertura agli stranieri sul terreno dell'economia, ma non su quello della cultura e della politica: la finestra andava sì aperta, ma con grande attenzione, perché quando si apre una finestra non si è mai certi di cosa possa entrare. Per converso, alla fine dell'88, un autore "dissidente", Su Xiaokang, riuscì a far passare in televisione un programma, Elegia del Fiume Giallo, che costituì uno dei prodromi più importanti della Primavera di Pechino. Su Xiaokang vi sosteneva appassionatamente che la Grande muraglia era sempre stata, nella storia della Cina, il simbolo della chiusura al mondo esterno e della conservazione: due nemici dei quali i cinesi dovevano liberarsi.

Nel frattempo, la Grande muraglia scompariva nei fatti, vittima dell'erosione non solo ad opera della Natura, ma anche degli stessi uomini: vuoi per incuria, vuoi per voglia di sottrarle materiali e terreni e destinarli ad altri usi. Un'erosione accentuata negli ultimi decenni, da quando la Cina è entrata trionfalmente nell'era del capitalismo e dello sviluppo economico. Qui le sue pietre sono servite a costruire nuove case e muretti, là le sue torri e i suoi fortini sono divenuti granai e porcilaie; altrove, ancora, interi tratti sono stati abbattuti per fare posto ad ampie strade per i camion. Il turismo di massa ha poi fatto la sua parte. Dei supposti 6.700 chilometri, secondo i desolati esperti cinesi, un terzo non esiste più, un terzo è danneggiato quasi irreparabilmente, un terzo infine resiste ancora agli oltraggi, ma richiederebbe restauri dispendiosi. Così, nei fatti, la Grande muraglia è poco più che un ricordo, se si eccettuano quei 30 chilometri di Badaling, nei pressi di Pechino, dove tutti i visitatori vanno a passeggiare, ad emozionarsi, a fotografarsi. Che ora lo si confermi anche dallo spazio è solo una sanzione notarile.