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22 Marzo 2010 ARCHEOLOGIA
marsal@.it
Ma è proprio vera risurrezione quella di Gesù?
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tempo di lettura previsto 8 min. circa

L´avvicinarsi della Pasqua mi offre l´occasione di parlare della risurrezione di Gesù, sulla quale nutro dubbi e riserve. Secondo i racconti evangelici, Gesù, dopo la morte, è apparso varie volte: a Maddalena, poi ai discepoli (assente Tommaso), poi nuovamente ai discepoli (Tommaso compreso), poi ai due discepoli di Emmaus (che però non lo riconoscono), e infine a Pietro con altri pescatori sul lago di Tiberiade. Si tratta sempre di apparizioni di breve durata, seguite da altrettante scomparse. Ora, studiando i fenomeni medianici, ho appreso che si verificano apparizioni di defunti così reali che, in qualche raro caso, li si poteva persino toccare. I l dato costante, comunque, è la loro breve durata e la loro scomparsa. Da ciò mi viene il dubbio che anche le riapparizioni di Gesù dopo la morte siano di questo tipo, e non una vera risurrezione. Invece la risurrezione di un ragazzo compiuta dal profeta Elia (I Re 17, 17-24), come pure la risurrezione di Lazzaro (Giovanni 11, 1-44) operata da Gesù hanno altre caratteristiche: qui c´è un cadavere che riprende vita e non scompare poco dopo. Perché dunque parlare di risurrezione se manca la durata stabile? E perché la nostra fede dovrebbe essere vana (secondo S. Paolo) in assenza della sua risurrezione? Secondo me, credere in Cristo significa credere nel suo insegnamento, a prescindere dalla sua risurrezione, vera o presunta che sia. Sergio Bilato – Verona

Il nostro lettore afferma che per lui credere in Cristo «significa credere nel suo insegnamento, a prescindere dalla sua risurrezione». Lo posso capire. L´insegnamento di Gesù infatti è talmente limpido, autorevole e qualitativamente superiore, che è davvero più che sufficiente per fondare, ispirare e nutrire una fede, per illuminare le coscienze e per dare forma e significato alla vita umana. In questo senso il nostro lettore ha perfettamente ragione: l´insegnamento di Gesù è così bello, vero e profondo che la fede in lui potrebbe effettivamente consistere nel «credere nel suo insegnamento a prescindere dalla sua risurrezione». Anche i primi cristiani avrebbero potuto fare lo stesso discorso e fondare la loro fede non su Gesù, ma sul suo insegnamento, «a prescindere dalla sua risurrezione». Per loro e per la loro evangelizzazione sarebbe stato tutto molto più facile! È più facile convincere una persona a diventare cristiana adducendo come argomento l´insegnamento di Gesù, piuttosto che la sua risurrezione, che è e resta un argomento debolissimo. Perché? Per tre ragioni fondamentali.

[a] La prima è che la risurrezione non ha avuto testimoni, a differenza della crocifissione, che ne ha avuti molti. Come risorto (o quel che era) è apparso a molti, per quaranta giorni, in luoghi e circostanze diverse (I Corinzi 15, 3-8; Atti 1, 3), ma nessuno lo ha visto risuscitare. La nascita, la predicazione, i miracoli, la trasfigurazione, la passione e la morte, la stessa ascensione di Gesù sono tutti avvenimenti che hanno avuto testimoni; la risurrezione, tra i grandi fatti della storia di Gesù, è l´unico a non averne avuti. I discepoli hanno visto la tomba vuota, ma questo non vuol dire che Gesù sia risorto: il suo corpo potrebbe essere stato trafugato (Matteo 27, 62-66). Proprio perché senza testimoni, la risurrezione è il meno dimostrabile e il più contestabile di tutti i fatti della storia di Gesù, e quindi il più debole degli argomenti a favore della fede in lui.

[b] La seconda ragione per cui la risurrezione è un argomento debolissimo è che è molto facile, quasi inevitabile, sospettare (come è accaduto al nostro lettore) che quello che gli evangeli e tutto il Nuovo Testamento, a cominciare dall´apostolo Paolo (anche a lui il Risorto è apparso, e con un´evidenza tale da sconvolgere tutta la sua vita!), chiamano «risurrezione» sia in realtà qualcos´altro: a esempio potrebbe trattarsi molto semplicemente di una visione, come succede talvolta anche a noi (senza bisogno di pensare a fenomeni medianici o a sedute spiritiche!) di avere l´impressione di «vedere» una persona cara che abbiamo molto amato e che se ne è andata, ma il nostro amore è così intenso e il nostro ricordo così vivo che, per così dire, la «vediamo» come se fosse ancora viva; ma non è lei che risuscita, siamo noi che la «risuscitiamo» nella nostra memoria; non è una risurrezione oggettiva, ma solo soggettiva. Così potrebbe essere successo ai discepoli: il loro ricordo di Gesù era così struggente che, rievocando il tempo trascorso con lui, credevano di «vederlo», e hanno chiamato «risurrezione» quella che in realtà era una semplice visione.

[c] La terza ragione per cui la risurrezione è un argomento debolissimo è che si tratta di un evento che esula completamente dal campo non solo della nostra esperienza, ma anche della nostra immaginazione. E proprio perché è del tutto fuori dal nostro orizzonte e non riusciamo in alcun modo a concepirlo, la sua forza di convinzione è pressoché nulla.

Eppure, ecco il grande paradosso evangelico: proprio questo fatto che è il meno dimostrabile, il più discutibile e contestabile, il meno convincente e il meno proponibile di tutti, è stato posto dai primi cristiani a fondamento della loro fede. Qualunque altro fatto della storia di Gesù (a esempio la sua vita esemplare tutta e solo per gli altri, oppure il suo martirio, oppure, appunto, il suo insegnamento) avrebbe potuto essere scelto come «pietra angolare» dell´edificio cristiano. Invece è stata scelta la risurrezione, così dubbia e così facile da impugnare. Invece di scegliere un argomento forte, i primi cristiani hanno scelto il più debole.

E perché hanno scelto proprio quello? Perché non lo hanno scelto loro. Lo ha scelto Dio per loro, o meglio loro malgrado, cioè sfidando la loro incredulità. Se fossero stati loro a scegliere, ne avrebbero scelto un altro, sicuramente non la risurrezione. Dopo il Venerdì Santo, i discepoli erano pronti a tornare alla loro vita di prima: l´avventura era finita, il sogno era svanito. Nessuno immaginava che Gesù sarebbe risorto, nessuno pensava a «risuscitarlo» almeno nei ricordi. Gesù per loro apparteneva ormai al passato, tanto che all´inizio nessuno ha creduto che fosse realmente risorto: «essi, udito che egli viveva ed era stato veduto da lei [Maria Maddalena], non lo credettero» (Marco 16, 11). Probabilmente hanno pensato che Maria Maddalena aveva sognato o che aveva avuto una «visione» e l´aveva scambiata per una risurrezione.

I sospetti del nostro lettore e di innumerevoli altre persone in ogni secolo a proposito della risurrezione di Gesù, li hanno avuti, per primi, proprio i Dodici, non solo Tommaso, tutti hanno dubitato. Chi non dubita davanti a un messaggio così incredibile? La risurrezione di Gesù, che Barth chiama «la tangente di Dio che sfiora il nostro mondo», deve sfiorare anche la nostra anima affinché impariamo, come Abramo e con lui, a conoscere Dio «che fa rivivere i morti, e chiama le cose che non sono come se fossero» (Romani 4, 17). È questo il Dio della fede cristiana, che si è manifestato a Pasqua risuscitando Gesù dai morti e risuscitando, con lui, anche la fede dei suoi discepoli, e anche la nostra che, come la loro, era morta il Venerdì Santo. Ed è proprio perché Gesù è risorto, che i suoi discepoli hanno raccolto e trasmesso il suo insegnamento, che è giunto fino a noi non «a prescindere dalla sua risurrezione», ma, al contrario, unicamente a motivo della sua risurrezione. Se Gesù non fosse risorto, sarebbe stato presto dimenticato, lui, la sua storia e il suo insegnamento. Sarebbe stato storia passata, nessuno ne avrebbe più parlato.

Naturalmente noi possiamo accettare il suo insegnamento e accantonare la sua risurrezione. Ma dobbiamo sapere che – per quanto strano possa sembrare a prima vista – abbiamo il suo insegnamento solo perché Gesù è risorto. Quindi l´apostolo Paolo ha ragione quando scrive: «Se Cristo non è risuscitato, vana è la vostra fede» (I Corinzi 15, 17). Perché «vana»? Perché se Cristo non è risuscitato, voi cristiani credereste in un morto, grande finché si vuole, ma morto: dunque un uomo, non il Figlio di Dio, un Maestro, non il Signore. Sì, si può credere nell´insegnamento di Gesù, e non in Gesù Signore. Ma in tal caso, si tratta di un cristianesimo diverso da quello che i primi cristiani hanno confessato, spesso anche con il sacrificio della vita. Anche i primi cristiani credevano nell´insegnamento di Gesù, ma nell´insegnamento vivo di Gesù vivo, non nell´insegnamento vivo di Gesù morto.

Concludo con due brevi considerazioni su due altri punti della lettera. La prima riguarda l´ipotesi del nostro lettore sul possibile carattere medianico delle apparizioni di Gesù: lo spirito di Gesù – se capisco bene – sarebbe stato evocato da un medium, e sarebbe apparso ai discepoli che lo avrebbero considerato risorto. Un´ipotesi del genere è da escludere per il semplice motivo che in ambiente ebraico, qual era quello dei primi cristiani, queste pratiche erano aborrite: «Non si trovi in mezzo a te chi eserciti la divinazione, né pronosticatore, né àugure, né mago, né incantatore, né chi consulti gli spiriti (...) perché chiunque fa queste cose è in abominio all´Eterno» (Deuteronomio 18, 10-12). A nessuno, fra i discepoli di Gesù, sarebbe mai neppure venuto in mente di evocare il suo spirito.

La seconda considerazione riguarda la giusta constatazione che le apparizioni del Risorto sono (relativamente) fugaci, da cui però il nostro lettore deduce che lo sia anche la risurrezione. Mi sembra che qui egli confonda i due piani, quello delle apparizioni del Risorto e quello della risurrezione di Gesù: le prime sono effettivamente fugaci, la seconda invece è permanente. Provvisoria è la risurrezione di Lazzaro, che morirà di nuovo, non quella di Gesù, che non muore più, ma è vivente nei secoli dei secoli.

Tratto dalla rubrica Dialoghi con Paolo Ricca del settimanale Riforma del 12 marzo 2010