BRESCIA - La lucentezza dell'oro si mescola a pietre preziose dai mille colori, mentre i riverberi cangianti dell'argento filtrano tra piume di tonalità accese e serpeggiano su tessuti solcati da simboli aborigeni. Uno spettacolo di manufatti pregiati che sanno rievocare la lunga storia d'arte, religione ed estro artigianale delle culture precolombiane del Perù, dal 1500 a. C. fino allo sbarco degli Spagnoli conquistadores nel 1532. Lo offre la mostra "Inca. Origine e misteri delle civiltà dell'oro", fino al 27 giugno ospitata al monastero-museo di Santa Giulia, che con i suoi oltre duecentosettanta pezzi originali provenienti dai più autorevoli musei peruviani, appare come il primo grande evento italiano interamente dedicato alle civiltà dell'oro, mettendo in scena repertorio di tesori finora mai esposti al di fuori dei confini nazionali.
Promossa dal Comune di Brescia e dalla Fondazione Cab, prodotta e organizzata da Fondazione Brescia Musei e da Artematica, la mostra rientra nel progetto espositivo "Omaggio alla civiltà dell'America Latina e dei Caraibi" (cui è abbinata anche la rassegna "Plus Ultra. Oltre il Barocco", dedicata invece all'arte dell'epoca post-colombiana). A curarla è Paloma Carcedo de Mufarech, studiosa esperta d'arte precolombiana della Pontificia Universidad Católica del Perú di Lima. Al suo fianco, come co-curatori, Antonio Aimi dell'Università degli Studi di Milano, e Giuseppe Orefici direttore del Centro Italiano Studi e Ricerche Archeologiche Precolombiane. E il colpo d'occhio è tra i più suggestivi, a suon di oggetti lavorati con oro, argento, bronzo e rame, insieme a terrecotte e a sculture in pietra e legno, a rappresentare il più numeroso complesso di reperti in metalli preziosi mai esposto al mondo.
Materiali che visti tutti insieme oggi restituiscono bene il senso di fascinazione che devono aver prodotto sulle menti degli spagnoli appena sbarcati nelle terre del Perù. Materiali che fecero del Perù il simbolo stesso della ricchezza. Oggetti che, però, oltre al loro straordinario aspetto estetico, oltre alla raffinatezza tecnica ed esecutiva, oltre alla concezione plastica, devono essere letti e interpretati nel loro significato più profondo e unico.
E il consiglio più arguto lo dà la stessa curatrice quando scrive nel catalogo della mostra che il modo migliore per comprendere il senso di questi oggetti è quello di "chiudere gli occhi e trasportare la nostra mente e i nostri sensi in un mondo aborigeno in cui a dettare i modelli di credenze religiose, mistiche e terrene saranno suoni, colori, odori, sensazioni, proprietà, difetti o qualità del mondo animale, vegetale o minerale. Tali princìpi si manifesteranno in modi diversi, e soprattutto nel metallo, filo conduttore della mostra. Le caratteristiche cromatiche, la forma del manufatto, il suono che esso emette, il lampo o il fulgore che emana con il movimento, oltre che le scene sbalzate o incise, ci consegnano a mondi cosmici popolati da antenati e divinità soprannaturali che mediante il rito intrattengono relazioni con il mondo terreno".
Gli oggetti in mostra si fanno portavoce di un codice simbolico di una civiltà culturale presso cui, avverte Paloma Carcedo de Mufarech, il colore, il suono, il movimento, il fulgore e la brillantezza rimandavano ai quattro elementi che muovevano l'Universo: l'aria e il suo opposto, vale a dire l'acqua, il fuoco e il suo opposto, cioè la terra. La natura nella sua complessità era osservata, venerata e rispettata. L'oggetto di metallo, spiega la curatrice, doveva strategicamente evocare il variegato e complesso universo. In tal modo vennero creati manufatti "multisensoriali" che con il movimento riprodurre il canto degli uccelli, il rumore del mare, il gocciolio della pioggia o il ruggito del giaguaro.
"Lo scintillio e la lucentezza - scrive Paloma Carcedo de Mufarech - che emanavano da un manufatto d'oro dovevano ricordare all'uomo che lo guardava l'esistenza di un dio Sole che dava la vita, faceva crescere e germogliare i semi e, in unione con una Luna sua sposa e sorella, reggeva e regolava i cicli del calendario agricolo. Il colore argenteo evocava sia la dea Luna che il mare o la divinità del mare, la Mama Cocha, madre di tutte le acque, che fossero laghi, lagune, fiumi o sorgenti, questo mare che offriva nutrimento e vita e che, come il Sole, qualora i suoi ordini non fossero stati rispettati avrebbe anche potuto distruggere o devastare".
Il percorso espositivo restituisce questa concezione culturale attraverso dieci sezioni tematiche, dalla Cronologia, alle Tecniche di trasformazione del metallo, alla Cosmovisione, alle Linee di Nasca, ai Costumi, alle Libagioni, alla Musica, alla Guerra, alla Morte, fino ai Preziosi. Sfilano i suggestivi abiti da cerimonia dei sovrani dell'antico Perù interamente ricoperti d'oro. I cosiddetti "paraphernalia", la varietà di coltelli sacrificali, diademi, strumenti musicali utilizzati nei rituali che garantivano l'equilibrio del cosmo e la crescita dei raccolti. Gli ornamenti, come corone, orecchini, "narigueras", collane, pettorali, raffigurazioni di uomini e animali e divinità, sempre in oro, che alludevano ad una condizione semidivina dei re. Fino a reperti del corredo funerario come maschere in oro, sculture in terracotta e legno, che accompagnavano i morti nel loro viaggio nell'Inframondo. Spicca anche una mummia, concessa in prestito eccezionalmente per la mostra.
Notizie utili - "Inca. Origine e misteri delle civiltà dell'oro", fino al 27 giugno 2010, Brescia, Museo di Santa Giulia.
Orari: da lunedì a giovedì dalle 9 alle 19, venerdì, sabato e domenica 9-20.
Ingresso: Intero € 12, ridotto € 9
Catalogo: Marsilio editori.
Informazioni: Numero verde 800775083
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