Un mese fa l´Egitto ha interrotto i rapporti con il Louvre, cui chiede la restituzione di cinque affreschi provenienti dalla tomba del faraone Tetiky. Negli stessi giorni Zahi Hawass, presidente del Consiglio per le antichità, è stato a Berlino, dove c´è un altro oggetto del desiderio: il busto di Nefertiti, secondo Hawass sottratto illegalmente. Ora il padrone incontrastato dell´archeologia egiziana - e anche uno dei volti più popolari dell´archeologia, dopo le sue trasmissioni di enorme successo sulle tv di tutto il mondo - ha un´arma in più nella campagna per riportare in patria capolavori unici, compresa la Stele di Rosetta, lo Zodiaco di Dendera, la statue degli architetti della Grande Piramide e della Seconda Piramide (da Boston) e un Ramses II che è a Torino. È diventato ministro della Cultura.
L´altra sera è stato a Torino, ospite dell´associazione Seshat International. Gli abbiamo chiesto come intende usarla, quest´arma. «Non cambia nulla - è la risposta -. La mia posizione non è più forte di prima. Ma non chiedo tutto, chiedo almeno sei reperti unici. È anche una questione di orgoglio nazionale». Pensa di farcela? «L´importante è battersi, ribadire il principio». Hawass parla delle sue più recenti scoperte a un pubblico molto numeroso e adorante. Ci è abituato. I francesi, che non lo amano, gli danno della pop star, per la sua attenzione ai mass media, la politica di annunci clamorosi e la costruzione stessa del personaggio. Lui non se ne cura. Porta un cappellaccio identico a quella di Indiana Jones, si fa fotografare volentieri tra le piramidi con il produttore George Lucas. Ma in Egitto, senza il suo consenso, in campo archeologico non si muove foglia.
«Ho vietato gli scavi nell´Alto Egitto, ho fermato i francesi a Saqqara. Ma è possibile continuare le ricerche nella zona del Delta e nel deserto. Questo sarà spiaciuto a qualcuno, che ci posso fare? Semplicemente ho riportato l´egittologia in mano egiziane». Era proprio necessario giocare a Indiana Jones? «Guardi che ho sempre usato cappelli da contadino. Poi a Los Angeles ne ho trovato uno particolarmente di mio gusto. Ora il modello è in vendita per 35 dollari, a beneficio della Fondazione Suzanne Mubarak per il Museo dell´infanzia. Non ho mai inseguito una telecamera». Però dicono che abbia inventato le scoperte in diretta tv. «Guardi, trent´anni fa la gente sapeva a malapena dell´esistenza delle piramidi. Quando alcuni studiosi hanno cominciato ad accusarmi e io a rispondere pubblicamente, mi sono accorto che il pubblico cominciava a essere più informato, sensibile e educato. Io parlo chiaro».
Ora sta per annunciare i risultati degli esami col Dna cui ha sottoposto le mummie del Museo del Cairo. «Lo scopo era identificare l´intera famiglia di Tutankhamon». Ci è riuscito? «Non posso anticipare granché. Aspettiamo la conferma dei nostri test, che verranno pubblicati sull´American Medical Magazine. Poi ci sarà una grande conferenza stampa». Dice di lui Omar Sharif, in un filmato proiettato anche a Torino: «Sono stato a lungo l´egiziano più famoso del mondo, poi è arrivato Hawass». Professore, Sharif aggiunge che lei è un grande attore. Non le pesa? «Non sono una pop star. Se poi ci sono degli invidiosi in giro, che posso farci?».
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