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11 Dicembre 2009 ARCHEOLOGIA
Ignazio Burgio CataniaCultura.com
LE PIETRE DEI GIGANTI: GLI ORIENTAMENTI ASTRONOMICI DEI MEGALITI DI MONTALBANO ELICONA (ME)
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Quando alcuni anni fa vennero scoperti i megaliti dell'Argimusco, una località poco distante da Montalbano Elicona, in provincia di Messina, il mondo degli studiosi si divise tra coloro che assegnavano un'origine assolutamente naturale e casuale alla forma e alla disposizione delle formazioni rocciose, e coloro che invece li riconducevano, in tutto o in parte, all'azione dell'uomo del neolitico. Il luogo venne equiparato alle grandi strutture megalitiche dell'Europa settentrionale, come Stonehenge, Carnac, Skara Brae, ecc. mentre vi fu anche chi ne attribuì l'origine al mitico popolo dei Giganti, uomini di alta statura menzionati in molte fonti antiche. Vedendoli tuttavia sotto il punto di vista semplicemente della struttura e dei fenomeni astronomici, non si può fare a meno di riconoscere che i megaliti dell'Argimusco celino funzioni analoghe a quelle dei grandi calendari di pietra del nord Europa, e dunque una storia antichissima e sconosciuta.

Il luogo innanzitutto è inserito in un vero e proprio "spazio sacro" che va ben al di là del principale raggruppamento di pietre. Sorge su di un altopiano a 1200 m. sul livello del mare, le cui coordinate esatte sono 37° 59' N, 15° 2' E. Esattamente a sud – al centro di due basse colline – si staglia la parte sommitale del cratere dell'Etna. In direzione degli altri tre punti cardinali, altrettante cime montuose o collinari sembrano "inquadrare" a bella posta l'orientamento del sito.

Sotto il punto di vista strettamente geologico, i massi si dimostrano essere dei conglomerati calcarei, facilmente sottoposti quindi, per la poca durezza della pietra, sia all'erosione degli agenti atmosferici (di cui è certamente innegabile l'azione nel corso dei millenni passati), come anche in teoria al lavoro dell'uomo. Alcune hanno forme caratteristiche ed estremamente suggestive. Nel gruppo megalitico principale, dalla pianta circolare, si notano in primo luogo due menhir, uno più slanciato e snello, alto una ventina di metri, ed uno più basso e massiccio, di poco più di dieci metri. Comunemente essi vengono designati come "simboli sessuali maschile e femminile". Poco più avanti spostati sulla destra (in direzione di nord-est) si innalzano tre grandi massicci di pietra, alti una trentina di metri e anche più. Le pareti di due di questi, uno di fronte all'altro, presentano un profilo di tipo antropomorfo, uno maschile, e l'altro, nettamente più distinguibile, femminile, con le mani giunte in atto di preghiera (e perciò comunemente denominata l'Orante). Un altro megalite dalla forma ben distinta e caratteristica è infine costituito da un gruppo di pietre sovrapposte (dalla natura o dall'azione dell'uomo antico?) dalla sagoma di aquila o comunque di un rapace, con le ali semi-spiegate e il capo rivolto verso sud.

In tutte le parti del mondo si ritrovano volti antropomorfi di grandi dimensioni che hanno tutta l'aria di non essere stati creati dalla natura, bensì dall'opera di popoli sconosciuti in tempi molto antichi, con metodi e scopi ancora a noi oscuri. In Sicilia stessa nei pressi di Petralìa, in provincia di Palermo, si possono vedere altre figure, antropomorfe e zoomorfe, presenti sulle pareti di un canalone e studiate dalla ricercatrice di origine russa Emilia Sakharova. Lo stato di forte erosione ad opera degli agenti atmosferici nel corso del tempo se testimoniano da un lato la lontana antichità di queste sculture – risalenti forse a diecimila anni fa – ne rendono problematica l'inequivocabile identificazione come opera dell'uomo e non della natura.

A Montalbano Elicona se non può esservi dubbio che i gruppi di pietre più grandi, a giudicare dalla loro mole, siano certamente opera della natura, molti indizi fanno pensare che i menhir, la disposizione di alcune pietre più piccole, e le curiose sagome dell'Orante e dell'Aquila siano al contrario di origine umana.

Se ci si dota di bussola si scopre che tanto il megalite a forma di rapace quanto il menhir più alto sono allineati esattamente lungo l'asse est-ovest. Ciò significa che ponendosi con le spalle rivolte al megalite cosiddetto "fallico" e guardando l'Aquila si può vedere sorgere il sole esattamente dietro quest'ultima nei giorni degli equinozi (di Primavera e di Autunno). Analogamente ponendosi con le spalle di fronte al rapace e guardando il menhir si può vedere tramontare il sole esattamente ad ovest sempre nei medesimi giorni. Tra i due elementi si trova inoltre una curiosa pietra bassa a forma di sella, più vicina al menhir che all'Aquila, anch'essa perfettamente in linea, che "dovrebbe" (si usa il condizionale poiché per il momento è solo frutto di calcoli, e non di osservazioni dirette) rappresentare il punto di arrivo dell'ombra del menhir al tramonto sempre nelle medesime date equinoziali.

Questa sorta di "pietra-testimone", al centro del gruppo circolare di menhir e megaliti con "i volti", potrebbe rappresentare un punto di osservazione privilegiato dal quale rilevare altri fenomeni astronomici significativi. In direzione sud-ovest ad esempio un masso nei pressi della coppia di menhir potrebbe trovarsi lì in maniera non casuale per segnalare il tramonto nel solstizio invernale, mentre dalla parte opposta il sole sorge nel solstizio d'estate tra i due profili della dea in preghiera e quello maschile, forse un'antichissima testimonianza di un culto celeste legato alla fertilità. E' necessario comunque effettuare altri rilevamenti ed osservazioni, anche allo scopo di capire se vi siano altre pietre orientate ad altri fenomeni astronomici significativi, come le fasi lunari, o le posizioni di alcune stelle particolari nella volta celeste.

A questo proposito si può riportare una curiosa osservazione che potrebbe aprire la via ad altre ricerche. Nella carta celeste delle nostre costellazioni tradizionali la raffigurazione femminile della Vergine ha immediatamente alla sua sinistra il gruppo maschile di Boote (il mitologico custode dei buoi Arcade, figlio di Zeus e della ninfa Callisto) mentre alla sua destra c'è un volatile. Quest'ultimo tuttavia non è l'Aquila bensì il Corvo. Alla sinistra di Boote vi è inoltre la costellazione filiforme del Serpente.

Riportando tutto ciò ai megaliti di Montalbano, potremmo trovarci insomma di fronte ad una classica situazione presente nelle tradizioni archeo astronomiche dei popoli antichi, ovvero la rappresentazione sulla terra di costellazioni o gruppi di stelle di significativa importanza per quelle genti. L'esempio più noto è ovviamente rappresentato dal sito egizio di Giza, ove secondo le ricerche di Robert Bauval le tre piramidi principali rappresentano le tre stelle della cintura di Orione e la statua felina della Sfinge la corrispondente costellazione del Leone. Ma meno nota è anche l'interpretazione che lo studioso tedesco Michael Rappenglueck ha dato una decina di anni fa di una delle più enigmatiche raffigurazioni dell'uomo preistorico nella Grotta di Lascaux in Francia. "Un essere maschile con testa di uccello e fallo eretto è visto di profilo. La sua mano destra sembra appoggiarsi su un bastone, che però non è connesso con la mano. Il pomo del bastone è intagliato a sua volta in forma di un uccello, forse una colomba. Sulla sinistra dell'uomo-uccello un grosso bisonte moribondo è trafitto da frecce, mentre un rinoceronte lanoso (oggi estinto) e un cavallo completano la scena..." (G. Magli, 2006). Riportando indietro il cielo tramite il computer all'epoca di origine delle raffigurazioni (15.000 a. C.), Rappenglueck si rese conto che le singole immagini erano delle vere e proprie costellazioni di una remota età nella quale la stella polare non era la nostra Polaris dell'Orsa Minore, ma – per effetto della precessione degli equinozi - la stella Delta della costellazione del Cigno. Attorno ad essa, la figura umana, il bisonte, il rinoceronte ed il cavallo si sovrapponevano a gruppi di stelle che identificavano le diverse stagioni dell'anno.

Nel caso dei megaliti dell'Argimusco, l'Aquila, la donna in preghiera, il profilo maschile di fronte ad essa ed il menhir più alto potrebbero raffigurare analoghe costellazioni del cielo di quella remota antichità, presumibilmente all'alba di un solstizio d'estate, l'unico evento astronomico significativo in occasione del quale si presentano sopra l'orizzonte tutte e quattro le costellazioni del Corvo-Aquila, della Vergine-Orante, dell'uomo-Boote e del Serpente-menhir (il tramonto infatti coinvolgerebbe altri gruppi di stelle dalla parte opposta del cielo, mentre l'alba all'equinozio ne nasconderebbe qualcuna come il Corvo). Sulla base del programma astronomico "Stellarium" questa configurazione si presenterebbe solo intorno al 10.000 a. C., epoca nella quale appunto il sole sorgeva al solstizio d'estate, in direzione nord-est in corrispondenza della costellazione della Vergine. In tale occasione la costellazione del Corvo era esattamente ad Est, per metà al disopra dell'orizzonte, proprio dietro al megalite dell'Aquila, mentre a sinistra-ovest della Vergine-Orante apparivano le costellazioni di Boote e del Serpente.

E' una interpretazione questa che tuttavia – ad essere sinceri – pone più di un problema. Se può essere anche vero che in età molto antica gli uomini raggruppavano già le stelle in costellazioni, come parrebbe dimostrare l'interpretazione della Grotta di Lascaux, è tuttavia poco probabile che le genti del neolitico vedessero in cielo le medesime nostre costellazioni, che risalgono per quel che ne sappiamo al periodo delle grandi civiltà mediorientali (III millennio a. C.). In secondo luogo la data proposta è molto più antica rispetto all'inizio delle prime costruzioni megalitiche che allo stato attuale dell'archeologia risalgono a non prima del VII millennio a. C. (megaliti sommersi di Atlit-Yam e cerchi di pietre di Nabta-Playa nel deserto egiziano). Ciò anche se recentemente l'archeologia ufficiale ha ancor più retrodatato l'inizio delle costruzioni di siti e monumenti religiosi, dopo la scoperta a Gobekli Tepe, in Turchia, di resti di edifici in pietra risalenti proprio al 10.000-9.500 a. C.

La datazione dei megaliti di Montalbano Elicona si presenta d'altra parte non poco difficoltosa: nessuna fonte antica ne fa cenno, ed allo stato attuale non è stato riportato alla luce dal sottosuolo del sito alcun reperto (anche perchè, ad essere sinceri, non è stato fatto ancora alcuno scavo ufficiale, né alcun serio studio). Nelle vicinanze esistono i resti di "dolmen" di pietra appartenenti ad una necropoli (che di per sé potrebbe essere anche molto successiva ai megaliti) purtroppo quasi completamente smantellata dai pastori nei secoli scorsi allo scopo di trarne materiale da costruzione. I "cubburi", infine, caratteristiche costruzioni in pietra del luogo, affini per stile all'architettura nuragica ed ai "Sesi" di Pantelleria, appartengono ad un'epoca sicuramente molto più recente, anche se ancora non ben definita per la solita mancanza di seri studi archeologici.

Ammesso tuttavia che i megaliti di Montalbano Elicona abbiano un'età tanto antica, sembra ancora più probabile che la funzione di questa "Stonehenge di Sicilia" com'è stata definita da qualcuno, fosse esclusivamente religiosa, legata ai culti astronomici solari e stagionali di morte e rinascita della natura e della vita stessa, come poi perduranti anche in età storica e nella successiva religione cristiana, fino ai nostri giorni.

Bibliografia.

Giulio Magli, Misteri e scoperte dell'archeoastronomia, Newton Compton editori, Roma 2006 (a p. 19 e sgg. viene riportato lo studio della Grotta di Lascaux).

Maria Longhena, Widmer Berni, La Genesi nella pietra, in: Fenix n. 9, luglio 2009, X Publishing ed. Roma (articolo su Gobekli Tepe e le altre antichissime città scoperte recentemente in Turchia).

Nota. Le immagini fra il testo sono state scattate dall'autore, ma sono liberamente fruibili da chiunque.