Una inedita, completa panoramica sulle scoperte della Missione Archeologica Italiana nella patria dei faraoni. E´ quel che offre la mostra "Egitto mai visto" inaugurata a Trento, dove sono esposti in anteprima mondiale reperti provenienti dal Museo Egizio di Torino - il più prestigioso al mondo dopo quello del Cairo - e dalla ottocentesca collezione di Taddeo Tonelli, un ufficiale trentino, eclettico egittomane.
800 reperti riuniti insieme con cura filologica saranno visibili fino all´8 novembre prossimo. I sarcofagi completi di corredi funebri vengono da Torino: poggiatesta, specchi, sandali, vasellame, archi, frecce, modellini di attività agricole e di navigazione. Dalla collezione Tonelli provengono invece amuleti: pezzi curiosi e stravaganti, pregni di valenze magiche e religiose: scarabei del cuore, modellini di servitori ushabty, e una splendida maschera funeraria in foglia d'oro. Colpisce, per esempio, un gatto imbalsamato e avvolto in una raffinatissima veste funebre.
Il felino, addomesticato già nel 4000 a. C., nell'antico Egitto aveva una sorte assai singolare. Amato e divinizzato come dea Bastet e dio Ra, era apprezzato anche per la sua più prosaica caccia a serpenti e topi. I padroni affezionati ne conservavano le spoglie per non separarsene da vivi o perché, dopo morti, li accompagnassero nel periglioso viaggio nell'Aldilà. Durante il Nuovo Regno (1500 a. C.) la mummificazione del gatto divenne una vera e propria moda, complice la diffusione del culto di Bastet tra le classi popolari. L'animale sacro prediletto dai ceti medi si trasformò allora in una delle più ambite vittime sacrificali. I gatti vengono catturati, allevati e sacrificati ancor giovani alla dea, che avrebbe dovuto ripagare l'offerta proteggendo bambini e donne in gravidanza. Ben presto attorno ai gatti mummificati sorge anche un commercio lucroso. Abili speculatori s'incaricano di catturare e immolare le vittime designate per conto di pellegrini ferventi. Qualcosa di simile si ripeterà nell'Ottocento con la polvere di mummia umana, cui si attribuivano proprietà farmacologiche ed afrodisiache. Una credenza alla base di un secolare commercio documentato da alcuni reperti in mostra.
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