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4 Marzo 2001 ARCHEOLOGIA
Corriere della Sera
Ecco le rocce che ispirarono Sfinge e Piramidi
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I monumenti più enigmatici della storia della civiltà, la Sfinge e le grandi Piramidi egizie, non furono solo frutto dell'inventiva degli architetti e degli artisti dei faraoni. Per realizzare queste stupefacenti opere gli Egizi copiarono esattamente le forme delle rocce che l'erosione aveva modellato nel deserto Occidentale.

Questo è quanto ipotizza uno studioso americano di origine araba che a sostegno della sua ipotesi, mostra sorprendenti foto di rocce a forma di Sfinge e gruppi di Piramidi naturali del tutto uguali ai celebri monumenti della piana di Giza, vicino al Cairo. Forme naturali che a migliaia disegnano il panorama del deserto e che i nomadi videro portandone il ricordo nella Valle del Nilo dove le riprodussero sfruttando -soprattutto per la Sfinge - strutture naturali di calcare che emergevano nella piana di Giza. La Sfinge venne infatti realizzata adattando e scolpendo il grande affioramento roccioso di banchi calcarei (che probabilmente ricordava già nella forma un leone accovacciato) e le stesse Piramidi vennero innalzate su grandi sporgenze rocciose che emergevano dalla sabbia.

Le sculture naturali che servirono come modelli sono da sempre visibili nel deserto Occidentale e già nei primi decenni del secolo scorso vennero osservate e descritte da viaggiatori europei, ma nessuno finora le aveva messe in relazione ai monumenti costruiti dai faraoni. A farlo è stato ora Farouk el-Baz del Center for Remote Sensing dell'Università di Boston (Usa) che con le sue ricerche presenta una brillante soluzione a due dei più complessi interrogativi dell'archeologia egizia: quello dell'origine della forma architettonica delle piramidi e quello della Sfinge, un'icona che pareva senza padre¯ poiché non si è mai trovato alcun reperto che ne annunciasse la nascita.

Com'è arrivato lo studioso americano a formulare la sua ipotesi? Quali elementi ha - oltre la straordinaria identità formale - per affermare una diretta filiazione dei monumenti di Giza da quelli modellati nel deserto dalle forze naturali? Da parecchi anni gli archeologi che si occupano delle fasi arcaiche della civiltà egizia e quelli che studiano l'arte sahariana, sostengono che lo sbocciare della civiltà dei faraoni è da attribuire all'arrivo nella Valle del Nilo - oltre 3000 anni fa – di popolazioni nomadi provenienti da ovest che si fusero con le tribù di agricoltori stanziate, da millenni sulle fertili rive del Nilo.

Una migrazione verso est imposta dai drammatici cambiamenti climatici che trasformarono progressivamente in un deserto senza vita l'antico "Sahara verde", cioè il territorio che per centinaia di migliaia di anni era stato coperto di foreste dove si

muovevano elefanti, da fiumi e laghi dove vivevano ippopotami e coccodrilli e da praterie dove pascolavano le mandrie degli allevatori. Questo mondo "verde" scomparve progressivamente, ucciso dalla desertificazione mentre gli uomini migravano verso la valle del Nilo, in cerca di acqua per vivere.

Questo quadro delineato dagli archeologi ha trovato recentemente importanti conferme grazie alla tecnologia spaziale. I radar "remote sensing" - e qui entra in gioco Farouk el-Baz – che dai satelliti sono in grado di vedere anche sotto alcuni metri di sabbia, hanno infatti scoperto nel deserto occidentale egiziano un immenso reticolo di fiumi fossili, di canali di irrigazione e i letti di una quantità di laghi (resti di ricchissime oasi)- che scomparvero del tutto alla fine del IV millennio a.C.

Proprio questa collana di laghi - secondo Farouk el-Baz - indica il percorso a tappe seguito dai nomadi che lasciavano il

Sahara morente. E durante questa migrazione, che raggiunse il suo obbiettivo poco prima dei 3000 avanti Cristo, le tribù nomadi si trovarono ad attraversare territori dove l'erosione aveva attaccato i grandi banchi di calcare modellando migliaia di piramidi e di leoni pietrificati (noti come yardang, leoni di fango) che tutt'oggi caratterizzano soprattutto l'area dell'oasi di Kharga.

Queste forme tanto innaturali - sostiene Farouk el-Baz - dovettero indurre i nomadi a ritenere che non fossero casuali, ma piuttosto rappresentassero manifestazioni di forze soprannaturali. Arrivati nella valle del Nilo, i nomadi si mescolarono con gli agricoltori del Favum, e con le tribù nilotiche stanziate da millenni lungo il fiume, portando le loro ideologie, i loro miti e le loro immagini sacre, tra cui l'idea della collina-piramide e del leone accovacciato.

Un incontro tra questi popoli diversi fece da catalizzatore per la nascita dell'Egitto faraonico: nel 3100 avanti Cristo il faraone Nan-ner unificò l'Alto e Basso Egitto e fondò la prima dinastia; attorno al 2680 il faraone Joser fece costruire dal suo architetto Imhhotep la grande piramide a gradoni di Saqqara; verso il 2550 Cheope realizzò la Sfinge e la grande piramide sulla piana di Giza, dove successivamente sorsero quella di Chefren e di Micerino. Le forme del deserto s'erano così installate nel mondo egizio e la stessa forma a triangolo appuntito - fa notare Farouk el-Baz - entrò nel sistema di scrittura geroglifica per indicare la parola "deserto", il luogo dove per la prima volta aveva affascinato i nomadi.

Tra le migliaia di piramidi naturali che si trovano nel deserto occidentale - ha spiegato el-Baz in un suo lungo articolo pubblicato sull'ultimo numero della rivista americana Archaeology - ve ne sono molte che mostrano chiaramente gli strati della roccia su cui ha lavorato l'erosione creando sia grandi sfaccettature che suggeriscono una base quadrangolare, sia difformità di erosione che, le fanno assomigliare in modo sorprendente alla grande piramide di Giza. La forma di queste piramidi naturali - prosegue el-Baz - è il risultato di un'antichissima erosione dovuta allo scorrimento delle acque durante la fase umida (tra 10, 000 e 5000 anni fa) e l'erosione prodotta dai venti durante la successiva fase arida. Venti che hanno creato forme a piramide per un preciso effetto fisico: l'aria si incanala lungo le superfici rocciose scorrendo dal basso verso l'alto e la forza si scarica oltre la sommità: questo scorrimento continuo finisce per creare perfette forme piramidali senza abbattere la massa rocciosa.

In alcune zone del deserto esistono migliaia di piramidi, grandi e piccole, tutte perfettamente orientate secondo la direzione del vento prevalente, che soffia da nord - spiega ancora el Baz . Questo è un fenomeno già osservato in diversi altri deserti del mondo, soprattutto in Asia. Stessa diffusione hanno i "leoni di fango" che nel deserto egiziano sono migliaia, in particolare nell'area dell'oasi di Kharga dove ne esiste uno lungo decine di metri. Il padre di tutte le Sfingi.

Insomma, la natura scolpì piramidi e sfingi un po' in tutto il mondo, ma solo i nomadi egiziani seppero guardare questi

monumenti naturali con l'occhio della poesia creando un mistero che ha attraversato i millenni, anche se la soluzione - semplice e raffinata - era a portata di mano e non richiedeva interventi di misteriose civiltà superiori.