ROMA - Fidel Castro cerca tesori sommersi con un socio romano-cuneese: Albano Trombetta, armatore del Garaventa, un ex rompighiaccio ancorato all'Avana alla marina Hemingway e arrivato a Cuba oltre 4 anni fa da Napoli. La nave, 40 metri da prua a poppa è stata trasformata, con un investimento di un milione e mezzo di dollari, in una moderna unità-laboratorio per indagini sottomarine: è al suo equipaggio che sono affidati i compiti di esplorazioni e supporto alle ricerche di scavo e recupero. Il progetto è ora nella fase cruciale.
Nel mar dei Caraibi e sulle coste cubane, sono centinaia i galeoni spagnoli dell'epoca della conquista affondati con tesori e forzieri diretti dalle Indie in Spagna. Lo dicono gli archivi delle Indie di Siviglia, dove Trombetta ha dato incarico ad alcuni studiosi di condurre una fitta ricerca, individuando almeno 15 naufragi "interessanti".
Tra essi anche una nave di italiani, probabilmente di armatori mantovani dediti alla pirateria o al traffico di schiavi. La nave negreria si spezzò sui coralli e i naufraghi raggiunsero la costa, salvandosi per miracolo. Di certo, di loro si sa che fondarono la città di Mantua. Mantova, a 150 chilometri a Nord Est dell'Avana dove quasi tutti i cognomi sono italiani: Pitalunga, Ferrari, Fiorenzano, Fontanella. E, ancora oggi, in questa sperduta cittadina la chiesa è dedicata alla Madonna delle Nevi, madonna mantovana e poco cubana.
"Non chiamatemi cercatore di tesori - dice Trombetta, 67 anni, tre milioni di euro investiti con altri soci e sponsor, ex collaboratore di Cousteau - Sono solo un ingegnere minerario che a Cuba è giunto per caso e si è appassionato ai galeoni spagnoli. Chi non lo farebbe?". L'archivio spagnolo di Siviglia ha raccontato a Trombetta come nelle acque calde dei Caraibi, Ferdinando Cortés, el Conquistador, salpato dall'Honduras su un vascello (nel 1526) con un carico di doni in argento e oro per Carlo V, fosse colto da una tempesta che lo trascinò sulla barriera corallina facendolo naufragare.
" Partimos en nombre de Dios y en vista del puerto de La Habana, fue Dios a darnos un temporal de viento que nos desbaratò toda la armada ", registra la cronaca dell'epoca.
"I tesori ci sono - racconta Alejandro Lopéz, archeologo marino cubano in forza nell'equipaggio del Garaventa con altri sedici marinai - Manufatti aztechi portati dal Messico, manufatti maya razziati nello Yucatan. O semplicemente argento e testimonianze di un passato che ci appartiene e che il mare conserva". Il suo lavoro consiste in ore e ore di ricerca sott'acqua sperando che il mare restituisca quello che 400 anni di corallo, madrepore e sabbia custodiscono gelosamente. Se per caso nei sondaggi emerge una fibbia di ferro e un pezzo metallico di moschetto, un cannone, bisogna subito metterli in acqua salata. Altrimenti l'ossigeno dell'aria li polverizzerebbe. Attualmente il Garaventa ha concentrato le ricerche nelle acqua di Maria la Gorda, nella provincia Pinar del Rio, tra Cabo Corrientes e Cabo San Antonio.
Lì sarebbe naufragata il galeone di Juan de Avalos, luogotenente e cugino del Conquistador, che gliene aveva affidato il comando. Partita nell'ottobre 1525 dalla città di Truxilio (Honduras) - dove si trovava Cortés, con la sua spedizione, questa nao (nave, di cui non si conosce il nome) non arrivò mai a destinazione. Secondo il cronista dell'epoca Bernal Diaz de Castillo, le onde di una tempesta la sbatterono nei pressi di Cabo Sant'Antonio, all'estremità occidentale dell'isola di Cuba. Pochi scamparono al mare. Ottanta i morti, scrivono i registri, ivi compreso il comandante e due frati francescani. Andarono perdute le lettere con le quali Cortés dava notizie di sé all'imperatore Carlo V. E anche ricchi doni destinati a lui. Che Trombetta potrebbe portare alla luce.
Fonte: ilmessaggero.caltanet.it
del 9 agosto 2003
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