Oggetti sepolti non identificati affondano nel sottosuolo della laguna. A pochi metri di profondità, "ufo" sotterrati lanciano segnali, si lasciano intravedere, compaiono in forme enigmatiche sugli schermi di scienziati che li inseguono e li osservano a bordo di speciali imbarcazioni. Il particolare strumento per captare la presenza e la forma di ciò che la laguna attuale ha cancellato e sprofondato entro il proprio grembo secoli e millenni fa, non è nient'altro che un'ecosonda, una macchina che calata in acqua invia onde acustiche, ultrasuoni che si propagano per qualche metro nel sottosuolo, ritornando poi riflessi come un'eco allo stesso strumento quando incontrano qualcosa di diverso, di più duro della sostanza melmosa nella quale i frammenti del passato riposano.
Le anomalie tracciate dal pennino sui rotoli che registrano le onde acustiche riflesse e i diversi colori sullo schermo del computer hanno forme banali e misteriose, paiono segni incompiuti, graffi lasciati dal caso. Sono profili emanati dalla superficie della struttura o dell'oggetto sepolto colpito dagli ultrasuoni. Al Cnr di Venezia, in collaborazione con l'Istituto di acustica del Cnr di Roma, si decifrano e si interpretano le immagini acustiche che ritornano dallo strato più superficiale del fondale, dai primi cinque-sette metri di melma e sedimento, il più interessante, quello che conserva ancora l'antica morfologia lagunare, e che nasconde verosimilmente ancora chissà quanti tesori archeologici. «Ecco - mostra la ricercatrice Silvia Cavazzoni, pioniera di questa nuova frontiera acustica applicata al sondaggio dei fondali della laguna - questa linea convessa, per esempio, potrebbe essere la chiglia capovolta di un'imbarcazione. Queste linee a "u", invece, sono certamente residuo di paleoalvei, gli antichi canali che numerosi istoriavano una laguna che non conosceva i fondali appiattiti d'oggi».
«Solo da pochi anni - dice Silvia Cavazzoni - ci siamo resi conto che molte strutture archeologiche sommerse al di sotto dei bassi fondali, e in parte già localizzate dallo studioso di archeologia lagunare Ernesto Canal, potevano essere rilevate con uno strumento del Cnr mai utilizzato per questo scopo». La laguna di Venezia da allora comincia a parlare un linguaggio nuovo, quello dei profili acustici e delle prospezioni sonore. E trovare la grammatica sonora adatta, l'onda acustica in grado di farsi rispondere e di interrogare ciò che solo difficoltosi scavi subacquei potrebbero rivelare, è stato semplice quanto l'uovo di Colombo: «Si riteneva che l'ecosonda - continua la studiosa del Cnr - si potesse utilizzare con profitto solo per le grandi profondità o, al contrario, per la lettura superficiale dei fondali. Lo strato di sottosuolo più ricco di testimonianze archeologiche e di antichi alvei dei canali presso cui giacevano gli scomparsi insediamenti sembrava insondabile. Ma è bastato semplicemente trovare la lunghezza e la frequenza d'onda adatta (30 Khz) perché anche quel primo strato, muto fino a ieri, rispondesse puntualmente ai segnali».
Con questo nuovo metodo d'indagine si potranno mappare estese superfici di laguna, riservando l'intervento del geologo e dell'archeologo a una fase successiva. Il carotaggio, con prelievo del terreno in profondità, o lo scavo subacqueo vero e proprio a quel punto forniranno la reale entità della scoperta. Fino a oggi strumentazione e metodo sono stati testati e messi a punto in zone della laguna che già si conoscono particolarmente ricche di strutture sepolte. Alle operazioni preliminari hanno diversamente partecipato anche il Magistrato alle acque, il Consorzio Venezia nuova, l'Università di Venezia e la Soprintendenza archeologica.
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