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1 Maggio 2003 ARCHEOLOGIA
John Oliphant Reader’s Digest
I SEGRETI DELLA CITTÀ DI PIETRA
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tempo di lettura previsto 8 min. circa

Il Sole del pomeriggio batte sulla lucida fusoliera del volo 956 della Continental Micronesia mentre comincia a scendere verso Pohnpei, un´isola vulcanica nelle acque turchesi del Pacifico, 640 chilometri a nord dell´equatore e a mezza strada tra Hawaii e Filippine. Incuriosito, torco il collo nella speranza di dare la prima occhiata a una delle maggiori meraviglie archeologiche del mondo: l'enigmatica città di pietra di Nan Madol.

Pochi istanti dopo l'aereo atterra sobbalzando sulla pista. I turisti che vengono qui sono pochi, sbarco in fretta; esco nell'umida aria tropicale, stordito dal rigoglioso paesaggio illuminato dal sole. Sopra di me incombe uno degli spettacoli naturali più caratteristici di Pohnpei, la rupe di Sokehs, una delle possibili fonti del basalto col quale sono stati costruiti i 92 isolotti artificiali di Nan Madol. La sua parete frastagliata, vagamente simile a una sfinge, mi spinge a chiedermi se conosca i segreti di Nan Madol. Sempre più incuriosito, arrivo a Kolonia, un insediamento di frontiera che somiglia al set di un film di John Wayne, con furgoncini al posto dei cavalli. L´unica città dell'isola, dato che quasi tutti i 33.700 abitanti di Pohnpei vivono in villaggi lungo la costa. I taxi qui costano solo un dollaro, ovunque si vada. Il mio autista, Celestin Isaac, un allegro indigeno con un sorriso che andrebbe brevettato, mi chiede cosa mi porti all'isola. Mentre superiamo file disordinate di bambini nudi e bellezze dalla carnagione dorata che sembrano uscite dai dipinti di Gauguin, gli parlo del mio interesse per Nan Madol. Lui alza gli occhi al cielo e racconta che ogni volta che ha visitato Nan Madol ha sentito la presenza "degli antichi spiriti che abitano le rovine. E ne era spaventato.

Da ciò che ho letto so che i costruttori di Nan Madol sono riusciti in qualche modo a spostare massicci macigni di basalto dall'interno dell'isola, e poi a trasferirli via acqua fino alla scogliera costiera. Celestin ha una sua teoria su come abbiano fatto: "Magia, " dice, abbassando la voce. "Hanno detto parole speciali e le pietre si sono alzate in volo nell'aria e si sono impilate a Nan Madol."

Mi aspetta un viaggio in mare sino all'altro capo dell'isola, a circa cinquanta chilometri da qui. Presto vedrò coi miei occhi quelle antiche rovine.

LO sputacchiare ritmico di un motore fuoribordo spezza il silenzio afoso dei canali che circondano gli isolotti di Nan Madol, acque basse intasate di sedimenti. Mi trovo su una barca in fibra di vetro con Emensio Eperiam, il funzionario addetto alla conservazione dei reperti storici di Pohnpei. Sono stati questi canali a dare il nome alla città mi dice. Nella lingua del luogo, significa "i luoghi che stanno in mezzo". La barca scivola sul canale di acqua tiepida e io fisso nervoso le zone buie sotto la volta di mangrovie che si protende dalla riva. Comincio a capire perché questa città dagli interrogativi irrisolti possa spaventare gli indigeni come Celestin. Un isolotto ci appare davanti. E´ Nan Douwas, dice Eperiam, imponente fortezza e luogo di sepoltura regale, con una cripta che ospitava i resti dei capotribù di Nan Madol. Sbarchiamo in un silenzio inquietante. Una grande cinta muraria, doppia, incombe su noi; le mura perimetrali di 8 metri sfolgorano nella luce del sole riflessa dal cristalli del basalto antico di cinque milioni d'anni. Sulle pietre scure si arrampicano licheni, e un mostruoso albero dei pane minaccia di squarciare un muro. Guardo gli angoli della fortezza, che sporgono aggraziati, quasi come il tetto di una pagoda: per questo qualcuno pensa che gli architetti venissero dall'Asia, non da Pohnpei.

La cripta si rivela una camera di un metro quadrato circa rivestita di lastre di basalto. Zanzare ronzano tra i raggi di luce e il pavimento corallino, un tempo liscio, è un caos di pietre. I gioielli e gli altri manufatti seppelliti qui coi capitribù sono stati rubati da tempo dai saccheggiatosi, dice Eperiam. Gli archeologi hanno sempre trovato miseri bottini a Nan Madol, e anche quando sono stati fortunati hanno dovuto affrontare i rischi di una maledizione simile a quella di Tutankhamen che si dice gravi su chiunque osi violare questo sepolcro: nel 1874, un naufragio nei pressi delle isole Marshall seppellì sul fondo dell'oceano un centinaio di casse di reperti raccolti dall'antropologo polacco Jan Kubary, e con essi una porzione significativa della storia della città.

Sorte anche peggiore toccò nel 1907 al governatore tedesco Victor Berg, che stava eseguendo scavi in una tomba reale sull'isolotto di Peinkitel. Quella notte, dicono gli indigeni, Nan Madol vibrava dell'attività degli spiriti: gli osservatori hanno visto luci in movimento e udito il suono di remi di canoe che affondavano nell'acqua mentre il governatore, in preda al delirio, sentì l'arcana tromba di una conchiglia che annunciava la sua fine. Berg spirò il giorno dopo. La causa ufficiale della morte fu un'insolazione; gli indigeni sono di diversa opinione.

Continuiamo a esplorare, minuscoli insetti che sfidano la complessa struttura delle mura esterne lunghe quasi 70 metri. Eperiam si ferma davanti a un gigantesco masso da 50 tonnellate che costituisce una delle pietre angolari e sorride. "La hanno messa qui sapendo che saremmo arrivati noi ottocento anni più tardi a chiederci come diavolo ci siano riusciti." Le teorie su zattere di bambù, corde in fibra di ibisco e piani inclinati, oltre ai fantastici sforzi di una mano d'opera fanatica, appaiono ridicole di fronte a questo colosso.

Nonostante considerevoli ricerche archeologiche, l'identità dei costruttori di Nan Madol resta oggetto di congetture. In base alle prove più accreditate si ritiene che la costruzione sia stata iniziata da due fratelli e poi ampliata dai Sandaleur, una dinastia feudale fiorita all'incirca all'epoca del Medio Evo europeo. Felicia Beardsley, archeologa dell'Università della California di Riverside che ha studiato un sito megalitico simile sull'isola di Kosrae, 540 chilometri a est, ritiene che i centri fossero le capitali amministrative di due stati insulari alleati. Per cinque secoli, dice, hanno ospitato un'attivissima civiltà paragonabile a quella degli Incas nell´America dei Sud.

Tenendo a mente il tragico destino del governatore Berg, opto per un comodo letto nel vicino Hotel Village. Lì incontro Bob e Patti Arthur, una coppia americana che è arrivata a Pohnpei trent'anni fa e ha dormito su una piattaforma nella giungla mentre i quattro figli costruivano l'hotel.

"Nan Madol è un posto che mette paura, su questo non c'è dubbio, " dice Patti mentre guardiamo una laguna, fermi sotto la più grande struttura col tetto di paglia dell'intera Micronesia. Mi mostra un gonfio album di ritagli su Nan Madol che ha raccolto nel corso degli anni. Scopro che la città di pietra è stata immortalata nella narrativa dallo scrittore di libri e racconti "horror" H.P. Lovecraft come sede della città sommersa di R'Iyeh, e che il suo contemporaneo Abraham Merritt ha usato Nan Madol come località centrale del suo romanzo fantastico The Moon Pool (Il pozzo della luna), dove ha scritto che le sue rovine sono talmente antiche da "fare avvizzire gli occhi di chi le scruta."

Il mattino dopo, rischiando l'avvizzimento degli occhi, mi avventuro tra le rovine con la bassa marea, mi arrampico su isolotti dai quali lo strato superficiale dei suolo è scomparso da molto tempo. Ho saputo che ognuno di questi isolotti aveva un suo specifico scopo: dai luoghi di sepoltura come Nan Madol alla costruzione di canoe alla lavorazione delle noci di cocco.

Sull'isolotto di Pahn Kadira, un'area delle dimensioni di tre campi da football, c'era la residenza reale alla quale i ponhpeiani portavano regolarmente i tributi imposti dai signori Sandaleur.

E in una piscina sacra del vicino Idehd i sacerdoti sacrificavano tartarughe alla murena che chiamavano Nan Samwohl. Li mi fermo un po'; immagino la murena che adoravano mentre balza fuori dall'acqua a prendere le offerte dalle mani tese. Si dice che i sacerdoti divinassero il futuro in base all'entusiasmo col quale la divinità afferrava le offerte. La piscina c'è ancora, ma non c'è traccia di Nan Samwohl nei pochi centimetri di acqua fangosa sul fondo.

Ho trascorso le mie ultime ore a Nan Madol con l'archeologo Rufino Mauricio. Ha guidato gli scavi del gruppo archeologico dell'Università dell'Oregon che ha condotto la maggior parte delle ricerche sul sito. Ci aggiriamo tra le rovine, e Mauricio, un nativo di Pohnpei che ha studiato negli Stati Uniti, riporta vividamente in luce quella civiltà. "Probabilmente avevano grandi alberi che fornivano ombra e acquedotti di bambù che portavano acqua fresca dalla terraferma" dice. Evoca un ampio panorama di tetti di paglia e imponenti palme, canali affollati di canoe e indigeni tatuati.

"La maggioranza dei ponhpeiani ritiene che con la magia si possa fare quasi tutto, " dice. La tradizione, tramandata per via orale, descrive una figura simile a quella di Merlino, un uomo che cavalcava le lastre di basalto e le portava lì. Molti pohnpeiani credono ancora nell'ahmara, il potere magico di rendere leggeri gli oggetti pesanti, e parlano delle lastre di basalto che si trovano nella valle di Awak: secondo loro, sono cadute dal cielo mentre qualcuno le faceva volare verso Nan Madol.

Mauricio ha punti di vista più pratici, ma prova comunque un forte senso di meraviglia per quelle imprese d'ingegneria. "Sull'isolotto di Pahnwi ci sono tre massi accumulati l'uno sull'altro fino a un'altezza di diciotto metri circa, " dice. "Tutte le volte che li guardo, mi chiedo: Ma quella era davvero una popolazione di giganti? Che tipo di tecnologia possedeva per arrivare a quei risultati?"

Al momento non sono in corso ricerche a Nan Madol, e il tempo continua a produrre i suoi lenti danni sul sito. Comunque oggi è legalmente protetto, e si trova sul Registro Nazionale Americano dei Luoghi Storici. Sta anche per entrare nella lista dell'UNESCO dei luoghi mondiali di importanza storica, e Mauricio spera in nuovi scavi archeologico. "Sulla città ignoriamo ancora un numero incredibile di cose, " dice. Nel salutarlo e ringraziarlo, mi trovo a sperare che la città conservi per sempre i propri misteri.

Che la magia circondi per l'eternità le pietre di Nan Madol.