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3 Agosto 2004 ARCHEOLOGIA
WILLIAM ECENBARGER Reader’s Digest
Bugie e verità sui miti di Olimpia
tempo di lettura previsto 8 min. circa

I Giochi Olimpici del 2004, che cominceranno il 13 agosto ad Atene, rappresenteranno uno spettacolo multimiliardario: 10.500 atleti da 201 Paesi, impegnati nelle gare di 28 sport.

Il pubblico televisivo conterà più o meno 3 miliardi e 700 milioni di spettatori, in ogni parte del mondo, mentre i giornalisti sul posto saranno almeno 21.500. Durante i 16 giorni di gare si terranno 301 premiazioni, e molti di coloro che vinceranno la medaglia d'oro potranno arricchirsi, grazie a sponsor e contratti, proprio come fece la sprinter americana Marion Jones, che ricevette dalla Nike 800 mila dollari all'anno, dopo le sue prestazioni alle Olimpiadi del Duemila.

Ma ci sono stati anche gli scandali del doping, che hanno portato all'esclusione di atleti, accusati di aver assunto sostanze che avrebbero dovuto incrementare le loro performance... e proprio per vincere una medaglia!

Sembra che ci siamo davvero allontanati dalle nobili origini dei Giochi, che cominciarono trenta secoli fa, nelle selve sacre di Olimpia, non troppo lontane dai luoghi degli eventi odierni.

Quelle gare erano sinonimo di profonda sportività, e i fondatori delle Olimpiadi moderne proprio a quello spirito hanno cercato di fare riferimento.

Ma forse, già allora, le cose non andavano così!

Secondo gli studi degli specialisti dell'antichità classica, infatti, i Giochi di una volta erano, per molti versi, del tutto simili a quelli che stanno per cominciare ad Atene. In effetti la maggior parte delle informazioni che abbiamo, sulle prime Olimpiadi, ci viene da poeti come Pindaro, le cui odi - risalenti al quinto secolo avanti Cristo - celebrano la gloria e le imprese degli atleti. Ma Pindaro era un professionista, pagato e messo sotto contratto per scrivere rime ardenti, un businessman ingaggiato per glorificare gli atleti, insomma un copywriter dell'antichità.

La maggior parte di ciò che comunemente si crede, a proposito degli antichi Giochi olimpici, è semplicemente falso, o comunque è di origine piuttosto recente. Queste frottole sull'antichità dipendono essenzialmente da una persona: il barone Pierre de Coubertin, cioè il nobile francese che fondò le moderne Olimpiadi guardando all'antica Grecia con occhiali rosa. E allora ecco, qui di seguito, cinque dei più diffusi miti olimpici... e la relativa verità...!

Lo spirito olimpico

L´ideale olimpico di una competizione amichevole, fra compagni d'avventura e in spirito di pace, è una solenne panzana. Dipende infatti da una sbagliata interpretazione della cosiddetta Tregua olimpica, che venne introdotta intorno all'ottavo secolo avanti Cristo, e che impediva alle città stato, i cui atleti partecipavano alle gare, di farsi la guerra prima, durante e subito dopo la manifestazione, che durava cinque giorni. Ma le motivazioni erano tutt'altro che sportive: semplicemente si voleva che gli atleti potessero raggiungere Olimpia senza ferirsi in eventi bellici.

Di fatto i primissimi Giochi olimpici erano autentici wargames, che si tenevano in una tregua forzosa. Per molti greci, uno degli scopi delle competizioni era proprio quello di addestrarsi meglio alla guerra. I Giochi, insomma, erano "una parte importante della preparazione di un guerriero, un test per la sua bravura", come dice Wendy Raschke, docente all'Università

di California Riverside. Il salto in lungo, il lancio del giavellotto e la corsa (indossando una armatura), tutto era mirato alla guerra, non alla pace. Senza contare che l'evento pi— gradito al pubblico era il pancrazio, cioè una lotta violenta e sanguinosa, nel corso della quale erano proibiti solo i morsi o i colpi dritti negli occhi. Per diversi secoli furono due città - Elide e Pisa - entrambe nei pressi dell'olimpo, a cercare di controllare l'organizzazione dei giochi: e nel quarto secolo avanti Cristo la disputa dette origine a una vera e propria guerra, e si combatté addirittura durante le gare del pentathlon.

Non conta vincere?

Questo principio ideale fu enunciato dal proclama più celebre del barone de Coubertin: "Nella vita è molto più importante partecipare alla gara, rispetto a ottenere la vittoria. Non conta l'aver vinto, ma l'aver lottato, e bene". E invece la vittoria era tutto per gli antichi greci, ed era solo alla vittoria che essi pensavano. Alle Olimpiadi non c'erano premi per il secondo

e il terzo arrivato: contava solo il primo. E i perdenti, allora? Tornavano disonorati a casa propria. Lo racconta Pindaro: "Si trascinavano nelle strade secondarie, soli e furtivi, distrutti dalla propria sconfitta".

Avrebbero fatto di tutto, compreso ogni illegalità, pur di vincere. La corruzione era la regola. Eupolos, un pugile della Tessaglia, vinse pagando il suo avversario. Callippo di Atene trionfò nel pentathlon corrompendo gli altri concorrenti e Damonico di Elide poté assistere alla lotta vittoriosa del figlio Polictor dopo aver pagato il padre del suo avversario!

I lottatori si ungevano – illegalmente - le membra per sfuggire alla stretta degli altri contendenti. Nelle gare di fondo gli atleti percorrevano una pista che aveva curve piuttosto strette, dove bisognava rallentare: era qui che si mercanteggiava la propria vittoria con gli avversari. Ed era proprio grazie alla corruzione che ci si poteva permettere di finanziare le bronzee statue di Zeus, erette lungo la strada che conduceva gli atleti allo stadio: un cronista del secondo secolo avanti Cristo ne conta ben sedici! Racconta Mark Golden, storico dello sport all'Università... di Winnipeg, in Canada: "Vince Lombardi, il celebre allenatore di football americano, era di origine italiana. Ma il suo modo di guardare alle gare ("La vittoria non è il nostro scopo principale: è il nostro unico scopo") era greco puro".

Falsa maratona?

La storia viene ripetuta spesso: nel 490 avanti Cristo gli ateniesi sconfiggono i persiani nella piana di Maratona, e i capi dell'armata greca mandano Filippide fino ad Atene, ad annunciare la vittoria: il messaggero percorre l'intera strada, grida 'Abbiamo vinto", e muore. Quest'anno il mito trarrà nuovo vigore dal fatto che la corsa si svolgerà proprio dal sito storico di Maratona, fino allo stadio Olimpico ad Atene: 42.195 metri.

In realtà la corsa di fondo più lunga, nei giochi antichi, non superava i cinque chilometri, mentre la gara che noi chiamiamo "maratona" non è stata inventata che 2500 anni più tardi: faceva parte del programma originario dei primi Giochi olimpici moderni, ad Atene nel 1896, e rappresentava solo una commemorazione di quella antica impresa (della quale non esistono per altro prove storiche). "Quando nel '96 si è deciso di far rivivere i Giochi, è sembrato opportuno inventarsi quella corsa, tanto per dare una forma d'attualità alla leggenda", spiega David Martin, autore di una storia delle maratone.

In effetti le prime maratone olimpiche - da Atene 1896 ad Anversa 1920 - avevano una lunghezza diversa: da 39.996 a 42.750 metri. Solo ai Giochi del '24, a Parigi, si stabili che la lunghezza giusta della corsa era quella coperta nel 1908, a Londra, quando gli atleti andarono di corsa dal castello di Windsor al White City Stadium!

Dˇlettantˇ ˇntegrali

E´ il mito dei miti: per gli atleti di una volta, arrivare ultimi era quasi importante come arrivare primi. "In realtà una vittoria olimpica era il passaporto per la fama, la ricchezza e la possibilità di guadagnare altro denaro, per esempio alle fiere", spiega Judith Swaddling, del dipartimento di Antichità greca e romana al British Museum, a Londra. Chi vinceva ad Atene guadagnava una somma pari a cinque anni di lavoro di un salariato, più altri fringe benefits (per esempio il diritto di mangiar gratis per tutta la vita alle mense pubbliche).

Ma allora, da dove arriva tutta questa enfasi sul dilettantismo? E´ una domanda da Lascia o raddoppia?. La risposta sta nel fatto che il barone de Coubertin era uno snob, e la storia del dilettantismo fu inventata per tenere fuori dai Giochi gli atleti che appartenevano alle classi sociali inferiori. Secondo il professar Golden gli organizzatori delle Olimpiadi moderne applicarono il precedente (per altro mai esistito) dell'antico dilettantismo perché "avevano deciso a priori di limitare la partecipazione alle gare a una elite". Solo i ricchi avrebbero potuto permetterselo.

Mezzo secolo più tardi, Avery Brundage, per molto tempo presidente del Comitato olimpico internazionale, attribuì invece quel principio agli antichi greci: "Il codice del dilettantismo, che viene a noi dal passato, impone i valori morali più alti. Nessuna filosofia e nessuna religione predicano sentimenti più elevati".

Dice il dottor David Gilman Romano, studioso dell'epoca classica all'università di Pennsylvania: "Il concetto di atleta dilettante, come si è sviluppato nell'Ottocento, sarebbe stato del tutto incomprensibile per i greci antichi, dal momento che un elemento essenziale della professione di atleta era proprio quello di vincere premi di prestigio e di valore". E tutto questo, in seguito, ha provocato un sacco di problemi, per esempio a persone come Jim Thorpe, il grande atleta di origine pellerossa, cui furono tolte le medaglie d'oro del pentathlon e del decathlon, ai Giochi di Stoccolma, nel 1912, perché si era saputo che, in precedenza, aveva giocato in una squadra semiprofessionista di baseball guadagnando 15 dollari alla settimana.

Riprendendosi le medaglie di Thorpe, de Coubertin avrebbe citato proprio "la cura con cui gli antichi consentivano la partecipazione alle Olimpiadi solo ad atleti irreprensibili". Jim Thorpe, ci sembra oggi, è stato sacrificato sull'altare di un falso dio.

L´Antica Torcia

Quest'anno la torcia ha iniziato la sua odissea globale - 78 giorni – a marzo, quando è stata simbolicamente accesa ai raggi del sole di Olimpia. E´ stata portata dai tedofori in tutte le parti del mondo, facendo tappa in tutte le città che in passato hanno ospitato i Giochi, e tornerà ad Atene fra qualche giorno, per inaugurare le Olimpiadi del 2004.

Ma questa "antica" tradizione non ha più di 68 anni di età, e risale alla Germania nazista. In occasione dei Giochi del 1936, a Berlino, gli assistenti di Hitler decisero infatti che il passaggio di mano in mano di una fiaccola avrebbe rappresentato una buona idea, soprattutto per collegare il Reich millenario, di cui Hitler fantasticava, con l'antichità, dando ai Giochi una patina di classicità. In effetti il fuoco è sempre stato un elemento importante nelle antiche cerimonie religiose, ma ciò che oggi si considera simbolo di un'armonia globale era piuttosto un oggetto fabbricato in serie dalla più grande fabbrica tedesca di armamenti, di proprietà di Alfried Krupp.