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5 Marzo 2003 ARCHEOLOGIA
Reader’s Digest
COSA E´ RIMASTO OGGI: LA CAPITALE PERDUTA
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UNA SORTA di paradiso terrestre disseminato di giardini fioriti, con le case in pietra chiara che sembravano emergere dalle acque azzurre dei lago, così Tenochtitlàn apparve ai conquistadores spagnoli mentre scendevano dal Paso de Cortès, la strada che passava tra i due grandi vulcani, il Popocatepetl e il lztaccihuatl, chiamato la "donna Addormentata" per la sua caratteristica silhouette. Era l'otto novembre del 1519, e solo due anni dopo la città era ridotta ad un ammasso di rovine su cui incombeva l'odore dolciastro di decine di migliaia di morti insepolti. Le grandi piramidi, vuote come giganteschi scheletri e annerite dal fumo degli incendi, torreggiavano tra ammassi di rovine che avevano riempito i canali.

Dopo che Cortès temendo una spaventosa epidemia aveva ordinato a tutti, indios e spagnoli, di abbandonare quel campo di morte, sull'orgogliosa capitale azteca scese un silenzio spettrale.

Era il 14 agosto 1521, ce coatl vei calli secondo l'antico calendario azteco, e non molto tempo dopo sulle stesse rovine sarebbe sorta un'imponente città coloniale, antenata dell'odierna Città del Messico. E, ironia della storia, proprio tra le pieghe di questa "Castigliana truccata da azteca", si ritrova un fiume sotterraneo di tracce, testimonianze e tradizioni di quel mondo azteco, ufficialmente scomparso ma ancora vivo e vitale.

I GIARDINI GALLEGGIANTI E IL LAGO PROSCIUGATO

l´eredità azteca non vive solo, o non tanto, nelle piramidi del Tempio Mayor, il Grande Tempio cuore pulsante dell´antico impero azteco, o nei musei che conservano inestimabili testimonianze di quel mondo. Vive piuttosto in luoghi come Xochimilco, all´estremo sud della megalopoli dove le trajianeras, sorta di gondole fiorite, portano i loro carico di gitanti domenicali, attorniate da canoe piene di venditori di tacos, fioraie, bande di mariachi, gelatai e fotografi ambulanti. Si addentrano tra i canali che dividono le chinampas, i cosiddetti giardini galleggianti, isolotti artificiali creati con il fango del lago e tenuti i insieme con graticci di canne, poi ancorati al fondo dalle radici degli alberi. Sono l'ultimo ricordo della Tenochtitlàn azteca, che trasformò così in fertili campi collegati da una fitta rete di canali vaste aree improduttive. Oggi il paradosso di Città del Messico, uno dei tanti, è di essere una città arida, senza un fiume, un lago, con un'enorme quantità d'acqua nelle sue viscere.

Oggi su quello che era il grande lago di Texcoco si stende una sterminata periferia, sono i barrios popolari dove vanno a vivere le tante facce da indio scese diffidenti e intimorite da qualche scalcinato bus di paese in cerca di un lavoro, o almeno di qualcosa che possa alleviare i crampi della fame. Sognano di diventare mangiatori di fuoco, venditori di biglietti della lotteria o di chewing-gum, fiorai, lavavetri. Sono loro oggi, soprattutto i Nahuatl che popolano l'altipiano centrale, i veri eredi della cultura azteca, sono loro, mezzo milione di indios inurbati, a tramandare le loro radici e una cosmogonia impermeabile ai grattacieli e all'ideologia strappalacrime delle telenovelas che straripano quotidianamente dagli schermi della TV Mentre il sole illumina in modo quasi drammatico la facciata del Monte di Pietà che sorge sulle rovine del palazzo azteco di Axaycatl, dove vennero ospitati Cortès e i suoi soldati, decine di danzatori vestiti da aztechi ballano senza un attimo di tregua al ritmo delle conchiglie, las conchas, attaccate alle caviglie. E´ uno spettacolo a beneficio dei turisti, ma non solo, perché nell'animo messicano ancora lacerato dal conflitto tra l'identità spagnola e quella indigena il ricordo della grandezza azteca è ossessivamente presente. Qui la realtà appare sempre quella che non è impossibile da afferrare nella sua complessità, nell'incrociarsi di mondi che si sfiorano e si incrociano. Ogni edificio riflette una storia carica di eventi, gli aztechi avevano costruito qui i loro templi più sacri e sopra le rovine, come simbolo del nuovo potere, i conquistadores hanno edificato chiese e palazzi sulle basi delle antiche piramidi rase al suolo.

MADONNA E SCIAMANI

Ma la cultura popolare, impregnata di credenze e tradizioni precolombiane vive anche all'estremità settentrionale della megalopoli dove circa sei milioni di fedeli si accalcano ogni anno per inginocchiarsi davanti all'immagine della Madonna di Guadalupe apparsa molto opportunamente nel 1531, 10 anni dopo la Conquista, all'indio Juan Diego, sulla collina di Tepeyac dove gli aztechi veneravano la dea madre Tonantzin. Indiani, meticci, creoli, tutti si prosternano davanti alla Buona Madre, collante di un'identità nazionale perennemente spaccata dal trauma della Conquista. Più a sud, nel cuore del Centro Historico, l'immensa piazza dello Zocalo, da sempre cuore religioso e politico del paese, riposa deserta nel silenzio della notte. Dai vicini scavi del Templo Mayor, tra teste di serpenti e pareti di piramidi sovrapposte in un gigantesco gioco di scatole cinesi, affiora il grande altare dove avvenivano i sacrifici umani senza i quali il mondo non poteva sopravvivere. Un sottile senso di inquietudine emana da queste pietre cariche di simboli, la stessa inquietudine che avvolge gesti e parole di Celia Flores, in una cadente casa coloniale non molto lontana. Alcune donne ascoltano silenziose, le facce assorte, cercando conforto nelle parole e nei gesti di questa rispettata figura di sciamana, osservata con muto timore dai ragazzini mentre esegue una limpia, una purificazione. Enumera i nemici da neutralizzare ed ecco che l'uovo che serve a scaricare la paziente della sua energia negativa, tra le sue mani si trasforma in una bussola impazzita, segno inequivocabile che i nemici erano proprio tanti.

LA CITTA' DEGLI DEI E LA CAPITALE DI QUETZACOATL

Ma gli Aztechi vivono anche nelle grandi costruzioni di pietra dei siti archeologici dell'altipiano, dove si ritrova lo spirito di quella religiosità che permeava ogni manifestazione sociale e artistica delle civiltà mesoamericane. All'alba del tempo, quando il grande lago era ancora una laguna deserta, Teotihuacan costruiva già le sue piramidi, gigantesche gradinate -che si alzavano verso il cielo simili alle ziggurat babilonesi, lungo il grande Miccaòtli, il "Viale dei Morti". Di questa città, che per un certo periodo fu la più grande metropoli dell'emisfero occidentale dopo la caduta di Roma, ignoriamo persino il nome. Gli aztechi la chiamavano Teotihuacan, la "Città degli Dei", ma ignoravano tutto di quei colossali santuari che veneravano, e delle sconosciute divinità... a cui erano dedicati. Solo oggi un'imponente campagna di scavi sta riportando alla luce i segreti di questa immensa metropoli religiosa, definita la New York della

Mesoamerica, dove nel VI secolo d. C. vivevano pi— di 200.000 persone. Era una città potente, per la presenza di miniere di ossidiana e la posizione centrale rispetto a importanti vie di comunicazione, con un'influenza che raggiungeva l´America Centrale. Con le ricchezze raccolte vennero erette opere architettoniche che ancora oggi lasciano increduli, come la Piramide della Luna e soprattutto la Piramide del Sole, la terza del mondo per dimensioni dopo quelle di Cheope e Cholula. Sotto la sua gigantesca mole si apre una grotta dove alcuni archeologi ritengono sia nato il culto del Sole, fondamentale per le successive popolazioni precolombiane. Un universo scivolato nel silenzio dopo il 650 d. C., quando un uragano barbarico venuto dal nord, annienta la Città degli Dei. Più tardi i Toltechi stabiliscono a Tula la capitale di uno stato militare che controlla il Messico centrale. 1 sacerdoti sono sostituiti da generali e guerrieri e solo il pacifico culto di Quetzacoatl sembra addolcire il carattere funereo di una civiltà dominata da Tezcalipoca, il terribile dio della guerra. Di Tula sopravvivono solo scarne rovine nella solitudine dell'altipiano, dominate dagli ieratici atlanti che avrebbero dovuto sostenere per l'eternità il santuario di Tlahuizcalpantecuhdi, il nome con cui era adorato Tezcalipoca, ma la città infiammò talmente il ricordo che tutte le civiltà posteriori si autoattribuirono l'eredità tolteca. Compresi gli aztechi che si consideravano loro discendenti diretti, e che verso la fine del quindicesimo secolo eressero i loro centri religiosi lungo le valli coperte di pini dell'altipiano centrale, da sempre direttrici di civiltà.

I SANTUARI DELL'ALTIPIANO

A Cholula la candida chiesa di Los Remedios, appollaiata su una collina coperta di vegetazione, è l'immagine palpabile della sovrapposizione di due culture, spagnola e azteca. La collina è in realtà la Grande Piramide di Tepanapa, la prima del mondo per volume, e nel cuore del suo immenso basamento gli archeologi hanno scoperto l'affascinante sovrapporsi di numerose piramidi successive. Più a ovest, c'è un luogo da sempre venerato dalla religiosità popolare come profondamente sacro e carico del profondo misticismo che impregnava il mondo azteco. E´ la piccola piramide del Cerro dei Tepozteco, quasi mimetizzata tra le grandi rocce di granito che incombono su Tepoztlàn, non lontano da Cuernavaca, eretta in onore di Tepoztécatl, dio della fertilità, del raccolto e del pulque, la bevanda alcolica degli aztechi. Qui, dove secondo la leggenda è nato Quetzacoatl, ancora oggi la notte del 7 settembre una grande processione illuminata da torce sale fino alla piramide, dove il dio viene festeggiato con grandi libagioni a base di pulque. Non tutti però possono partecipare, perché‚ se una persona risulta carica di negatività, la divinità manifesta la sua ostilità con una violenta pioggia, annuncio di un anno nefasto. A dispetto del suo poetico nome nahuad, "Casa dei Fiori", Xochicalco suggerisce invece subito l'idea di una fortezza arroccata in cima a un'arida collina, dove anche l'urbanistica rispetta un rigoroso ordine gerarchico. In alto, sull'acropoli, viveva la classe dirigente e più in basso, presso la Piramide del Serpente Piumato, i sacerdoti-astronomi si riunivano all'inizio e al termine di ogni ciclo di 52 anni del calendario preispanico, circondati da bassorilievi che raffigurano otto giganteschi serpenti adorni di diademi di piume. Non molto lontano, nascosto tra i boschi di pini, c'è il più suggestivo sito azteco, Malinalco, un tempio scavato nella montagna dove i figli dei nobili venivano iniziati alle caste dei guerrieri Aquila e Giaguaro.

Sulle pareti della grande sala circolare tre aquile e un giaguaro scolpiti nella roccia sembrano proteggere l'inquietante orifizio in cui venivano posti i cuori delle vittime dei sacrifici umani.

Qui tutto, anche le drammatiche lame di luce che penetrano dall'entrata a forma di fauci di serpente, suggerisce l'idea di un dramma incombente, la cesura di una storia travolta da eventi incontrollabili.