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22 Febbraio 2001 ARCHEOLOGIA
Jeremy McDermott BBC News online
Il saccheggio delle città Maya
tempo di lettura previsto 4 min. circa

Mi sembrava solo una collina di forma strana nella giungla, coperta di liane e vegetazione folta – fino a che non sono stato abbastanza vicino da notare i tunnel dei saccheggiatori. Tre di essi erano stati scavati in profondità e su tre differenti livelli. Strisciandovi attraverso, sono entrato in una camera nelle profondità di quella che era una piramide sacra Maya. Ho potuto così vedere lo scheletro di un Re o di un prete Sciamano Maya, ornato di gioielli di giada, con anfore e ceramiche tutti intorno. Le anfore erano dipinte con disegni e geroglifici, a ricordo dello spirito del signore morto, di quel che fece nel corso della sua vita e della direzione per la sua risurrezione. Intorno vedevo pareti di calcare e segni di bruciature sul soffitto, dove si appendono le torce che illuminano il lavoro distruttivo dei saccheggiatori.

Questo accade a Las Milpas in Belize, ma la storia è la stessa in quasi tutti i siti Maya, sia in Belize che in Guatemala. Foto satellitari hanno documentato l´esistenza di circa 4.000 siti Maya sparsi per la giungla che gli archeologi non hanno ancora avuto modo di esaminare. Ma è credibile che invece i saccheggiatori li abbiano già visitati, visto che le statuine di giada Maya sono vendute per decine di migliaia di dollari al mercato dell´arte internazionale – una vera fortuna in un paese in cui la paga minima è inferiore ai 300 dollari.

Le stele, tavole di pietra alte quanto un uomo, una volta indicavano la prossimità di una città Maya, e raccontavano le gesta dei re Maya. Ma oggigiorno sono molto apprezzate dai collezionisti, ed essendo normalmente troppo grandi per essere spostate, con l´ausilio di seghe circolari vengono ridotte in porzioni più piccole che diventeranno tavolini da caffè per i ricchi negli Stati Uniti, in Europa ed in Giappone – i principali mercati per questi tesori. Di fronte alla stele si trovava un altare circolare, esso stesso finemente inciso, che ritraeva spesso un uomo legato e sanguinante – una delle vittime sacrificali che i Maya solevano offrire agli Dei. Lo stillare del sangue era fonte di vita per il loro mondo.

Le città-stato Maya spesso combattevano solo per ottenere prigionieri da sacrificare agli dei. Altre volte, le famiglie offrivano spontaneamente i propri figli, per il grande onore del sacrificio, e stavano a guardare i loro cari mentre il cuore ancora pulsante gli veniva strappato dal petto per calmare la sete delle divinità e mantenere in movimento la ruota della vita Maya.

Un rugoso vecchio signore di nome Don Valentino, ha lavorato al sito di Caracul in Belize per più di 30 anni. Ha visto i saccheggiatori andare e venire. "I saccheggiatori arrivavano sotto molte forme" racconta. "Una volta ho visto un gruppo di sette persone provenienti dal Guatemala, armati fino ai denti e con uniformi da guerriglieri di sinistra."

Ma c´erano allora anche quelli che lui chiama i "saccheggiatori legali", gruppi di archeologi stranieri che arrivavano per gli scavi durante la stagione asciutta. Si supponeva facessero puntuali rapporti di tutti i nuovi ritrovamenti alla Commissione Archeologica del Belize, ma talvolta, quando scoprivano una nuova tomba, mandavano via gli operai. Don Valentino dice di essere entrato in una tomba mentre gli archeologi dormivano, e di avere visto alcune casse piene di tesori mai restituititi.

In misura crescente, orde di turisti stranieri percorrono i circuiti Maya, esplorando le città recentemente restaurate – come Palenque in Messico, Tikal in Guatemala e Copan in Honduras. Tutti vogliono un souvenir dei loro viaggi, così i siti ancora non esplorati dagli archeologi vengono presi d´assalto non più con le sole macchine fotografiche, ma con vanghe e badili.

Un gruppo di saccheggiatori esperti può scavare un tunnel attraverso un edificio in meno di due giorni, lasciando dietro sé danni archeologici irreparabili.

L´archeologo George Thomson, mi ha condotto alla Camera della Commissione Archeologica del Belize. Qui si trovano centinaia di bellissimi vasi dipinti, artefatti di giada e anfore iscritte. Ma troppi di questi sono pezzi perduti di un puzzle che non sarà mai più ricostruito. Al di fuori del loro contesto sono inutili agli archeologi come agli storici, potendo essere utilizzati solo come pezzi da museo, con datazione approssimativa ed indicazioni generali sul cartellino.