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30 Ottobre 2014 STORIA
Elisabetta Curzel Corriere della Sera
SIAMO ENTRATI NELL'ERA DELL'ANTROPOCENE !
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Gli archeologi del futuro scopriranno che la nostra epoca è caratterizzata da composti inesistenti in natura, come le plastiche. Rinvenibili anche nello spazio.

Dagli albori della storia, l'umanità ha lasciato tracce del proprio passaggio. Ora queste tracce hanno un nome: tecnofossili. Secondo uno studio pubblicato su The Anthropocene Review, saranno ciò che agli archeologi del futuro parlerà di noi. I termini del ragionamento sono avvincenti. Jan Zalasiewicz e Mark Williams, autori principali dello studio, partono prendendo in considerazione la scala dei tempi geologici, normalmente utilizzata per raccontare della formazione delle rocce sul nostro pianeta.Antropocene

In questa scala, adottano il concetto di antropocene, coniato negli anni Ottanta per indicare un'era iniziata quando gli umani hanno cominciato a modificare il territorio e il clima tramite le loro attività, e tuttora in corso. I due studiosi fanno poi un paragone affascinante. I fossili che tutti noi conosciamo, spiegano, sono stati utilizzati dagli scienziati per studiare il modo in cui le varie specie sono comparse sulla Terra. Con l'analisi della stratigrafia è possibile identificare le correlazioni tra i vari strati, datarli e scrivere, almeno in parte, la storia delle epoche più remote. Se però invece che a piante e animali pensiamo ad artefatti, ovvero agli strumenti creati dall'uomo a partire da due milioni e mezzo di anni fa, è possibile passare al concetto di tecnostratigrafia. Presente sotto varie forme, declinate localmente nel corso dei millenni, la tecnostratigrafia è diventata globale a partire dalla seconda metà del 1900. Anzi: ha persino varcato i confini del pianeta.Tecnofossili

Rispetto ai fossili naturali, gli artefatti si caratterizzano anzitutto per la particolare composizione. Costituiti da elementi rari in natura (come ferro puro, alluminio o titanio) o del tutto inesistenti allo stato naturale, nel corso dell'ultimo secolo hanno visto aumentare ulteriormente la propria artificialità. Sono comparsi composti come il nitruro di boro o il carburo di tungsteno, ampiamente utilizzati nell'industria, o come le materie plastiche. Conoscere la composizione degli artefatti permette ai tecnostratigrafi di datarli con buona approssimazione. Un esempio: polietilene e polipropilene sono plastiche fabbricate a partire dalla seconda guerra mondiale, tuttora in produzione in quantità esorbitanti (270 milioni di tonnellate annue). È presumibile che gli archeologi del futuro troveranno questo tipo di artefatto plastico soprattutto nelle discariche. La loro particolare composizione, la diffusione planetaria, la durevolezza rendono probabile un loro futuro ritrovamento: saranno i fossili della nostra epoca.Presenza costante

I tecnofossili possono contare su una morfologia infinitamente superiore alle tracce lasciate da qualsiasi altro essere vivente, che varia dai residui di un edificio abbattuto alle nanoparticelle. Impressionante è anche la loro presenza, che parte con le punte di freccia (distribuite in tutto il pianeta, fatta eccezione per l'Australia e l'Antartico, a partire da 4 mila anni fa), prosegue con le monete (registrate dal 500 a.C. in Eurasia e Africa) ed esplode, dalla metà del Novecento in poi, nella produzione di graffette, penne a sfera, lattine e borse di plastica, oggi reperibili in ogni continente. E non si tratta solo di conquistare le terre e i mari. Negli ultimi cento anni, le esplorazioni minerarie hanno perforato la crosta terrestre per centinaia di metri, mentre le trivellazioni hanno raggiunto qualche chilometro di profondità. Artefatti abbandonati in simili abissi possono verosimilmente preservarsi per tempi lunghissimi.

Anche nello spazio

Ma non è finita: l'uomo è riuscito a esportare il prodotto (e lo scarto) della propria tecnologia persino nello spazio. Abbiamo abbandonato oggetti sulla Luna, e spedito artefatti a esplorare il sistema solare. Ma quanto è importante riuscire a vedersi con occhi futuri? Secondo Roberto Poli, sociologo responsabile della prima cattedra Unesco sui sistemi anticipanti, "tutto quello che noi facciamo entra in circolo e genera loop e connessioni. A questo, cioè alla comprensione del fatto che le nostre azioni modificano il modo in cui la natura lavora, è legata la stessa nascita di una disciplina come l'ecologia. Ogni nostra azione include un minimo di futuro: senza questa dimensione, non sarebbe possibile sviluppare neanche il più semplice progetto. Le scienze sociali, che hanno sempre guardato al passato, cominciano a capire che alcune delle grandi cose fondamentali che stanno succedendo sono comprensibili. Il futuro è una delle nostre dimensioni costitutive".