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28 Settembre 2014 ARCHEOLOGIA
http://www.huffingtonpost.it
PER L'IS L'ARCHEOLOGIA SERVE PER FINANZIARE LO STATO ISLAMICO
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Quanto può valere lo smercio dei reperti archeologici di una città antica come Nebek? 25 milioni di euro. E non è che la punta dell'iceberg dei ricavati dal mercato nero di tesori antichi recuperati nel Kurdistan iracheno e in Siria, tra le principali fonti di entrata di denaro per lo Stato Islamico. Non solo donazioni internazionali e vendita di gas e petrolio: i jihadisti intendono sfruttare al massimo le risorse del proprio territorio.

Il tessuto sotterraneo di quella regione, culla dell'Impero Assiro, è ricca di iscrizioni, lapidi, mosaici e rovine di valore inestimabile. O forse fin troppo stimabile, tesori per i quali i collezionisti - anche occidentali - farebbero follie. Perciò ai jihadisti conviene scavare, trovare, vendere. Non c'è spazio per una visione romantica dell'archeologia, nella costituzione dell'Is.

Ne è esempio la vicenda della Missione Archeologica Italiana in Assiria, dell'Università di Udine. Capitanata da Daniele Morandi Bonaccossi, il gruppo di trenta studiosi si trovava nel Kurdistan iracheno da tre anni per indagare sulla rivoluzione agricola della valle del Ninive e sui 240 chilometri di canali artificiali fatti costruire da re Sennacherib quattro secoli prima degli acquedotti romani. Quando la vicina città di Mosul è stata conquistata dai Jihadisti e sono cominciati i raid americani, lo scorso agosto, il team di studiosi è stato costretto a rimpatriare per motivi di sicurezza, abbandonando gli scavi ai predatori dell'Is. Ora è grande la preoccupazione degli archeologi: "Non sappiamo davvero cosa resterà fra pochi mesi di questo tesoro dell'umanità", ha raccontato Bonacossi a Repubblica.