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24 Aprile 2014 SCIENZA
di Valentina Tudisca http://www.nationalgeographic.it
Api a rischio: polline contaminato
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Un rapporto di Greenpeace appena pubblicato denuncia la presenza, in Europa, di un'ampia varietà di pesticidi nel polline di cui si nutrono le api: una possibile minaccia per la loro (e la nostra) sopravvivenza.

La misteriosa sindrome che da anni colpisce gli alveari di tutto il mondo, causando la morte di milioni di api, potrebbe avere tra le sue cause l'eccessivo uso di pesticidi: è la conclusione di un rapporto di Greenpeace che rileva i dati sulle concentrazioni di sostanze dannose presenti nel polline.

Il declino delle api non è preoccupante solo per la specie in sé, ma anche per la sicurezza alimentare dell'uomo. Con il loro servizio di impollinazione, infatti, questi insetti contribuiscono alla riproduzione dei tre quarti delle colture destinate all'alimentazione umana.

Basato sul lavoro di un gruppo di ricerca della University of Exeter, in Inghilterra, il documento di Greenpeace appena pubblicato raccoglie dati sulle concentrazioni di pesticidi rilevate nel polline proveniente da dodici paesi europei, tra cui l'Italia. Il polline esaminato è stato in parte prelevato all'ingresso degli alveari dalle api bottinatrici (Apis mellifera), in parte dal cosiddetto "pane d'api", il polline stoccato nei favi. Le analisi hanno evidenziato la presenza di numerosi tipi di pesticidi in entrambi i casi.

Cocktail velenosi

La ricerca ha considerato 25 campioni di pane d'api immagazzinato durante l'inverno in sette paesi europei e 107 campioni di polline prelevati in dodici paesi tra il 2012 e il 2013. Dalle analisi è emersa la presenza di 17 pesticidi (9 insetticidi/acaricidi e 8 fungicidi) nei primi e di 53 pesticidi (22 insetticidi/acaricidi, 29 fungicidi e due erbicidi) nei secondi. Su 25 campioni di pane d'api, 17 contenevano almeno un pesticida, mentre su 107 campioni di polline, erano 72 a contenerne almeno uno. In un solo campione raccolto in Italia, inoltre, sono stati trovati residui di ben 17 pesticidi (3 insetticidi/acaricidi e 14 fungicidi); un dato preoccupante se si considera che, secondo diversi studi, l'azione tossica di alcuni pesticidi può venire amplificata quando si combinano con altri.

"La salute delle api è una questione delicata", spiega Francesco Nazzi del Dipartimento di Scienze Agrarie e Ambientali dell'Università di Udine. "Ci sono diversi fattori di stress che possono agire sinergicamente a danno di questi insetti, che rendono il sistema fragile: pesticidi, agenti patogeni come virus, malattie funginee, batteri, parassiti. Alcuni sono indipendenti dalla nostra volontà, ma su altri - in particolare i pesticidi - possiamo agire", continua lo studioso.

"La frammentazione degli habitat, la diffusione delle monocolture e, in generale, la trasformazione del paesaggio agrario, invece, costituiscono un pericolo soprattutto per i pronobi selvatici, parenti delle api, anch'essi importanti per l'impollinazione e ancor meno tutelati".

Api (e legislazioni) confuse

In base agli attuali dati scientifici, sarebbero almeno sette (imidacloprid, thiamethoxam, clothianidin, fipronil, clorpirifos, cipermetrina e deltametrina) gli insetticidi utilizzati nelle comuni pratiche agricole il cui uso dovrebbe essere limitato per salvaguardare api e altri impollinatori selvatici.

Queste sostanze chimiche, diffuse in Europa, possono essere nocive per la salute delle api anche in dosi molto basse. Possono per esempio comprometterne la capacità di apprendimento (la memoria olfattiva, essenziale nel comportamento delle api) e la capacità di raccolta del polline (api che non sanno più tornare alle arnie e non riescono a spostarsi in modo efficiente), e possono causare lo sviluppo di disfunzioni, anche in larve e regine.

I rischi legati ad alcuni di questi pesticidi - i tre neonicotinoidi, in particolare - sono stati confermati dall'Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare (EFSA) e il loro uso nell'Unione Europea è soggetto a restrizioni.

"Per esempio non si possono usare i tre neonicotinoidi per conciare le sementi, però è consentito usarli sulle colture in post-fioritura", spiega Nazzi.

"Di fatto, come emerge anche dal rapporto di Greenpeace, l'ambiente è seriamente contaminato e queste sostanze raggiungono l'alveare".

Apicoltori eroici

Il collasso delle colonie di api è stato di recente certificato da uno studio della Commissione Europea chiamato Epilobee, che ha monitorato 32.000 colonie d'api in 17 paesi europei tra il 2012 e il 2013.

Sebbene, in base ai dati di Epilobee, l'Italia sia uno dei paesi meno a rischio insieme a Grecia e Spagna, anche qui sono state osservate morie anomale di api e spopolamenti di alveari, in particolare in corrispondenza di coltivazioni intensive soggette a trattamenti con pesticidi (per esempio mais, vite, melo).

"In Italia la mortalità media delle colonie di api, in base agli ultimi dati della rete internazionale di ricercatori COLOSS (Prevention of honey bee COlony LOSSes), è del 20-25 per cento annuo", dice Francesco Nazzi, che poi precisa "Questo non vuol dire che ogni anno c'è il 25 per cento in meno di api: anche se d'inverno muoiono, poi gli alveari vengono ricostituiti dagli apicoltori, per cui il patrimonio rimane costante. Tuttavia, questo è possibile soltanto grazie a un lavoro enorme per compensare le perdite, che ha scoraggiato i piccoli apicoltori".

"C'è anche da dire", continua il ricercatore, "che la richiesta di cibo, e quindi di impollinazione, è in crescita: riuscire a mantenere stabili le popolazioni di api non è ancora abbastanza".

Ricerche scientifiche e politica

Nell'ambito della terza edizione della settimana europea delle api e dell'impollinazione svoltasi presso il Parlamento Europeo a Bruxelles, l'EFSA ha lanciato un appello per un maggiore coordinamento della ricerca scientifica, che produca dati su cui basare interventi politici a favore di questi insetti.

Secondo Nazzi "In Europa c'è una grande tradizione di ricerca sulle api, e l'Unione Europea sta finanziando progetti in questo ambito. Tuttavia sono ricerche costose. In Italia, per esempio, del progetto 'Apenet: monitoraggio e ricerca in apicoltura', avviato nel 2009 e coordinato dal Consiglio per la ricerca e la sperimentazione in agricoltura (Cra), oggi è rimasto solo l'aspetto del monitoraggio, mentre si è rinunciato all'individuazione delle cause e dei rimedi".

C'è chi, sulla base di un recente studio pubblicato su Plos One da un gruppo dell'Università di Pisa, invita a piantare vedovine maggiori (Cephalaria transsylvanica), piante che fioriscono in autunno, quando polline e nettare scarseggiano, per dare ristoro alle api. Greenpeace invita a firmare una petizione per vietare l'uso di pesticidi dannosi per api e altri impollinatori e per adottare piani di monitoraggio delle colonie e promuovere modalità agricole più sostenibili.

Il caso Kenya

Una conferma indiretta dei risultati dello studio viene da un'altra ricerca pubblicata su Plos One. Elliud Muli, esperto di apicoltura dell'International Center for Insect Physiology and Ecology (ICIPE), assieme a un gruppo di ricercatori della Penn State University ha monitorato le popolazioni di api del Kenya: pur soggette agli stessi parassiti e alle stesse malattie che stanno sterminando le api "occidentali", quelle africane non mostrano segni di declino. I ricercatori ipotizzano che questa straordinaria resistenza possa essere dovuta sia a motivi genetici sia alle diverse pratiche in uso in Africa orientale, dove l'apicoltura "industriale" praticamente non esiste e l'uso di pesticidi è molto limitato.

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