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17 Aprile 2014 SCIENZA
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A 11 ANNI HA COSTRUITO IN CASA UN ACCELERATORE DI PARTICELLE
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A 11 anni Taylor Wilson ha provato a costruirsi un acceleratore di particelle in casa. A 14 ha realizzato un reattore per la fusione nucleare. Ora ne ha 19 ed è uno scienziato e inventore di fama mondiale.

Taylor Wilson non si limitava a dedicarsi ai suoi interessi. "Ne era ossessionato", racconta suo padre Kenneth. "Qualsiasi cosa lo coinvolgesse, vi si dedicava 24 ore su 24. Anche convincerlo a mangiare era un grosso problema. A volte è ancora così".

Quando era alle elementari, a Texarkana, nell'Arkansas, Taylor saltava da un'infatuazione all'altra: la biologia, la genetica, poi la chimica, e poi ancora l'esplorazione spaziale. Infine, la fisica nucleare: a 11 anni Taylor cercò di realizzare il suo primo acceleratore di particelle per trasmutare gli elementi e creare radioisotopi fatti in casa. A 14 anni riuscì a costruire un reattore nucleare funzionante, in grado di scagliare gli atomi l'uno contro l'altro in un plasma a circa 250 milioni di gradi centigradi, diventando la persona più giovane che avesse mai ottenuto una fusione nucleare. Oggi ha 19 anni e studia come utilizzare le particelle subatomiche per affrontare molte delle sfide del nostro tempo, dalla lotta al cancro a quella al terrorismo, fino alla ricerca di fonti di energia alternativa.

Ho incontrato Taylor a metà marzo, mentre tornava da Vancouver, dove aveva parlato a una TED conference. Per molti scienziati professionisti, essere invitati a tenere un TED è una svolta nella carriera, la consacrazione per chi "è qualcuno" nel mondo delle idee. Ma Taylor era già al suo terzo TED: il primo l'aveva pronunciato a 17 anni. Quando gli ho chiesto quanto si era preparato per il suo ultimo discorso, si è messo a ridere. "L'anno scorso mi ero preparato, ed era la prima volta che mi preparavo una presentazione in vita mia", dice. "Penso che sia venuto fuori un discorso un po' ingessato. Quest'anno, sono tornato al metodo che avevo utilizzato la prima volta: sono andato a braccio".

Spesso la ricerca attira persone particolarmente introverse. La comunità scientifica, quindi, si ritrova a corto di comunicatori efficaci, in grado di convincere il pubblico sulla necessità di agire su temi importanti come il riscaldamento globale. Ma Taylor sfida tutti gli stereotipi sul "secchione". È estremamente socievole, e costantemente connesso con il mondo che lo circonda. Il suo talento nello stabilire contatti e intrecciare rapporti - personali, intellettuali, pratici - gli ha permesso di costruirsi una vita che sembra non avere limiti e confini. "Te ne accorgi due minuti dopo averlo conosciuto", dice Stephen Younger, un esperto di sicurezza nucleare che è stato tra i suoi primi mentori: "certe cose che alla maggior parte della gente sembrano del tutto impossibili, Taylor va e le fa".

Una stella in miniatura

In quinta elementare Taylor lesse The Radioactive Boy Scout di Ken Silverstein, un libro che raccontava la storia di un adolescente della periferia di Detroit che negli anni Novanta tentò di costruire un reattore nucleare autorigenerante nel capanno per gli attrezzi del cortile sul retro di casa sua, contaminando tutta la zona e costringendo le autorità a bonificarla. "Avevo sempre pensato che un'impresa del genere fosse fuori dalla mia portata", racconta Taylor, "che fosse riservata ai grandi laboratori di ricerca che potevano contare su ricchi finanziamenti e agli scienziati in possesso di titoli di studio avanzati". "Che un ragazzino potesse occuparsi di fisica nucleare e addiritura metterla in pratica fu per me una rivelazione. Pensai che potevo fare quello che il protagonista del libro aveva cercato di fare, a patto di non commettere gli stessi errori: potevo essere anch'io un boy scout radioattivo, ma responsabile".

All'inizio i genitori erano preoccupati, ma un progetto scientifico della sua scuola elementare permise a Taylor di fare la prima conoscenza con la fisica nucleare, esaminando materiali radioattivi non tossici. A 11 anni, quando sua donna ebbe una ricaduta in un tumore, Taylor ebbe un'idea fulminante: e se ci fosse stato un modo per produrre gli isotopi medici utilizzati per diagnosticare e curare il cancro vicino al paziente, invece di crearli in giganteschi ciclotroni del costo di milioni di dollari e poi spedirli da un capo all'altro del continente? Magari poteva lui stesso costruire un reattore alimentato dalla fusione nucleare - la stessa che fornisce energia al Sole - abbastanza piccolo, economico e sicuro da poter essere installato in tutti gli ospedali del mondo e fornire gli isotopi medici di cui ci fosse bisogno. Quanti pazienti come sua nonna avrebbe potuto aiutare, e quanto più in fretta?

Ma costruire sulla Terra una "stella in miniatura" - una macchina che acceleri le particelle a velocità e temperature talmente elevate da fondere gli atomi - è un processo straordinariamente complesso, di quelli su cui i governi o i laboratori di ricerca spendono decine di miliardi di dollari. Per farsi la sua "stella" in casa, Taylor avrebbe dovuto avere una perfetta padronanza di almeno una ventina di discipline scientifiche e tecniche, tra cui: fisica nucleare, fisica del plasma, chimica, metrologia delle radiazioni, ingegneria elettronica, eccetera. Avrebbe dovuto progettare e costruire uno strumento che potesse creare e mantenere un vuoto molto più "vuoto" di quello esistente negli spazi interstellari. Avrebbe dovuto concentrare fino a 100 mila volt di potenziale elettrico per accelerare le particelle a velocità e a temperature tanto alte da permettere ai nuclei di fondersi rilasciando energia. I genitori di Taylor incoraggiarono la sua insolita vocazione, lo aiutarono a trovare i primi mentori e addirittura traslocarono a Reno, nel Nevada, perché Taylor e suo fratello potessero frequentare una scuola pubblica per ragazzi particolarmente dotati. Con l'aiuto di professori e tecnici del dipartimento di fisica della University of Nevada, Taylor riuscì a costruire il suo "fusore" lo presentò al concorso della Intel International Science and Engineering Fair, la più importante manifestazione scientifica per studenti medi. Nei quattro anni successivi, Taylor ha vinto più di una decina di premi per le sue applicazioni basate sulla fusione nel campo della produzione di isotopi medici e della ricerca di armi nascoste. Quando Paul Otellini, amministratore delegato di Intel, venne a sapere che c'era un ragazzino di 14 anni che aveva costruito un reattore funzionante per la fusione nucleare, andò dritto verso lo stand allestito da Taylor alla fiera. "Ho pensato soltanto: quanto sono contento che questo ragazzo stia dalla nostra parte", avrebbe poi dichiarato Otellini.

"Lavoro per cambiare il mondo"

Grazie ai risultati delle sue ricerche Taylor è stato ricevuto alla Casa Bianca e ha girato il mondo. Nel 2012 ha ricevuto la Thiel Fellowship, una borsa di studio di 100 mila dollari destinata ai minori di 19 anni particolarmente dotati perché si concentrino sulle loro ricerche e sul loro lavoro saltando l'università e scegliendo un percorso di formazione personale. Taylor ha l'obiettivo di mettere in piedi un'azienda che porti sul mercato alcune delle sue invenzioni. "È stata una decisione difficile", spiega il ragazzo. "Sapevo che la mancanza dei rapporti sociali che si stabiliscono al college poteva penalizzarmi, e ho dovuto lavorare duro per creare una mia communità". Taylor ci è riuscito andando spesso a trovare spesso gli ex compagni di scuola nelle loro università e partecipando a molte conferenze in modo da stringere rapporti con ogni tipo di persone.

Ora che è diventato un adulto, il suo approccio alla scienza è cambiato? "È tutta la vita che faccio ricerca scientifica, e all'inizio mi occupavo di un argomento solo perché mi interessava. Era divertente, ma c'era anche un po' di egoismo. Poi si è scoperto che ero veramente bravo in questo campo, e allora è diventata una responsabilità. Mi sono accorto di saper fare delle cose che potrebbero davvero cambiare il mondo. Quindi ora ho motivazioni più alte. È ugualmente divertente, ma c'è quel di più di responsabilità".

Come giudica le etichette di "ragazzo prodigio" o "piccolo genio" con cui è stato a lungo identificato? "All'inizio mi davano fastidio, cercavo di scrollarmele di dosso", risponde. "Ma ora capisco che a volte i ragazzi hanno una marcia in più quando si parla di invenzioni. La loro mancanza di esperienza può rivelarsi un vantaggio, perché hanno una visione del mondo meno limitata. Gli scienziati più anziani, che perseguono una carriera, spesso finiscono per arrendersi davanti alle difficoltà, a non provarci nemmeno. Mentre i giovani hanno una mentalità più aperta: vedono le cose come tanti adulti non riescono più a vederle".

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