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23 Febbraio 2014 SCIENZA
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CERCHEREMO LE CIVILTA' ALIENE CON LE "SFERE DI DYSON".
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I dati delle osservazioni astronomiche nello spettro infrarosso possono essere setacciati alla ricerca di "sfere di Dyson", tecnologie aliene in grado di sfruttare tutta l'energia di una stella, secondo l'ipotesi formulata nel 1959 dal britannico Freeman Dyson. Un primo tentativo condotto recentemente è fallito, ma ora la ricerca si è spostata verso galassie lontane. Questo nuovo approccio attivo, sostenuto dal progetto SETI, consentirebbe di trovare civiltà extraterrestri che non stanno cercando di entrare in contatto con noi.

"Siamo soli nell'universo?" L'eterna domanda viene liquidata in una celebre striscia del fumetto "Calvin&Hobbes" con una battuta folgorante: "La miglior prova dell'esistenza di vita intelligente extraterrestre è che nessuno ha mai cercato di contattarci".

Ma per chi prende la cosa più seriamente, come gli scienziati del progetto Search for Extra-Terrestrial Intelligence, meglio conosciuto con l'acronimo SETI, la questione è invece che un'ipotetica civiltà aliena potrebbe aver cercato un contatto con altre forme di civiltà nel cosmo, tra cui noi. Di conseguenza, i progetti SETI finora si sono basati soprattutto sulla rilevazione di eventuali segnali radio provenienti dall'universo, la forma più probabile di comunicazione con punti molto lontani, almeno secondo il modo di vedere di noi esseri umani.

Ma questa ricerca di segnali radio dallo spazio, il cosiddetto SETI "passivo", non ha ancora dato risultati. E allora, perché non andare in cerca degli alieni in modo "attivo", senza basarci sull'ipotesi che abbiano cercato un contatto?

L'idea è affascinante, e può essere applicata in modo relativamente semplice, sfruttando i dati di osservazioni astronomiche già disponibili e l'ipotesi formulata alcuni anni fa dal matematico e fisico teorico britannico Freeman Dyson.

Una radioantenna sullo sfondo del cielo notturno: l'immagine simbolo della ricerca di segnali di civiltà aliene condotta dal progetto SETI (© Dr Seth Shostak/ /Science Photo Library/Corbis)

Nel 1959, Dyson teorizzò che una civiltà aliena avanzata sarebbe stata in grado di sviluppare la tecnologia necessaria per sfruttare l'energia prodotta dalla propria stella, creando una sorta di sfera, battezzata appunto "sfera di Dyson", che gli astronomi potrebbero rilevare dal calore che produce usando i telescopi per le osservazioni nello spettro infrarosso

Non una sfera solida, però, contro cui potrebbero schiantarsi delle navicelle spaziali, come in una puntata di Star Trek (probabilmente gli sceneggiatori hanno forzato un po' la mano, parendo troppo ghiotto lo spunto narrativo). La sfera di Dyson, come ha avuto modo di spiegare il matematico, sarebbe qualunque struttura in orbita attorno a una stella e in grado assorbirne tutta l'energia.

E si possono dare anche dei numeri, per rendere le previsioni più precise e circostanziate. Secondo le stime di Dyson, una civiltà aliena dovrebbe vivere a una temperatura di circa 27 gradi Celsius. Ora, tutti i corpi caldi emettono radiazione elettromagnetica, e quella corrispondente a 27 gradi è una radiazione infrarossa con una lunghezza d'onda di circa dieci micrometri.

Il problema è che l'atmosfera terrestre emette molta radiazione in questa parte dello spettro elettromagnetico. Così la prima occasione concreta per osservare, in linea teorica, una sfera di Dyson con una strumentazione adatta, si è presentata solo nel 1983, con il lancio dell'Infrared Astronomical Satellite (IRAS), il primo osservatorio spaziale per l'osservazione del cielo in luce infrarossa.

Un'illustrazione del satellite per osservazioni spaziali IRAS della NASA, che per primo ha consentito di andare alla ricerca di sfere di Dyson nel cosmo vicino (cortesia NASA)

A dimostrazione del fatto che non si tratta di un'idea da fantascienza, Richard Carrigan, ricercatore emerito del Fermilab di Batavia, nell'Illinois, ha usato i dati di IRAS per andare alla ricerca di eventuali sfere di Dyson nell'universo. Risultato: gli oggetti candidati entro un raggio di qualche centinaio di anni luce sarebbero appena una manciata. Carrigan e colleghi del SETI Institute hanno verificato se da questi oggetti provenivano segnali radio. Nulla di nulla.

L'insuccesso tuttavia non sembra aver dissuaso gli ostinati cercatori di vita aliena. Perché non pensare in grande ed estendere la ricerca oltre i limiti di distanza fissati da Carrigan? Dopotutto, una civiltà aliena potrebbe essere abbastanza evoluta da utilizzare una sfera di Dyson non su una singola stella, ma su un'intera galassia.

L'astrofisico russo Nikolai Kardashev, nel 1964, ha introdotto una classificazione delle ipotetiche civiltà presenti nell'universo secondo la loro capacità di sfruttamento dell'energia. La scala di Kardashev prevede tre tipi di civiltà, a seconda che siano in grado di sfruttare tutte le risorse energetiche di un pianeta (Tipo 1), di una stella (Tipo 2) o di una galassia (Tipo 3). (L'umanità, per la cronaca, è ancora ferma al Tipo 0, essendo in grado di sfruttare solo una minima parte dell'energia del pianeta su cui vive).

È così che un altro ricercatore, Jason Wright, astrofisico della Pennsylvania State University, ha pensato semplicemente di passare dalla ricerca di civiltà di Tipo 2 a quella di civiltà di Tipo 3, sfruttando il telescopio spaziale Wide-Field Infrared Survey Explorer (WISE) per verificare se esistono nello spazio sfere di Dyson che contengono intere galassie.

Purtroppo, nemmeno in questo caso sono emerse prove dell'esistenza delle sfere nella maggior parte delle galassie, senza però una stima percentuale precisa. Ma la strada sembra segnata: l'obiettivo dei prossimi anni è arrivare a valutazioni più accurate, restringendo al 20-30 per cento la frazione di galassie che potrebbero effettivamente contenere sfere di Dyson, e confrontando poi gli eventuali oggetti candidati con le osservazioni effettuate con altri telescopi.

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