Secondo un recente studio, le cellule staminali potrebbero essere utilizzate per ridare ai muscoli degli anziani la stessa forza di un tempo
LM&SDP
L'eterna giovinezza, chi non la desidera? Eppure, nonostante sia una meta ambita dalla stragrande maggioranza delle persone, la scienza non è stata ancora in grado di trovare una reale soluzione - ma si sta attrezzando. L'università di Toronto, infatti, sembra aver scoperto un nuovo metodo per ripristinare la forza dei muscoli scheletrici danneggiati. Problema tipico che si riscontra con l'avanzare dell'età.
Tale sistema muscolare viene considerato uno dei più importanti, in virtù del fatto che vengono utilizzati quasi sempre: quando si è seduti, in piedi e persino durante la deglutizione. Purtroppo, a causa dell'invecchiamento, la funzionalità muscolare diminuisce ogni giorno di più.
"Dopo i 75 anni si perde il 15 per cento all'anno della massa muscolare, una tendenza che è irreversibile", spiega il dottor Gilbert, professore assistente presso l'Istituto di Biomateriali e ingegneria biomedica (IBBME) e il Centro Donnelly per la ricerca Cellulare e Biomolecolare (CCBR).
La ricerca, ideata da uno studio in post-dottorato presso il Baxter Laboratory della Stanford University, intende sfruttare le cellule staminali per dare la possibilità, anche agli anziani, di vivere una vita più serena.
Gli autori principali, il professor Ben Cosgrove e la professoressa Helen Blau, sono riusciti a determinare - attraverso il tracciamento delle vie di segnalazione cellulare - che una piccola parte di cellule staminali, in seguito all'invecchiamento, modificano una proteina che inibisce la capacità di rigenerazione e crescita di nuove cellule staminali.
"Ma se invece quelle cellule venivano trattate fuori dal corpo con un farmaco che impediva la modificazione della proteina, in combinazione con la coltivazione delle stesse cellule su qualcosa di morbido che ricordasse il tessuto scheletrico morbido - come un biomateriale idrogel - la combinazione permetteva alle cellule invecchiate di crescere e fare più copie di se stesse", spiega Gilbert.
Dopo aver modificato la coltura di cellule come spiegato da Gilbert, i ricercatori le hanno trasferite nei tessuti danneggiati ottenendo eccellenti risultati. Le cellule, infatti, erano ringiovanite e potevano così dare la stessa forza muscolare che avevano diversi anni prima.
"Ora abbiamo dimostrato che le cellule staminali del muscolo perdono progressivamente la loro funzione di cellule staminali durante l'invecchiamento - spiega Cosgrove - Questo trattamento non riporta indietro l'orologio sulle cellule staminali disfunzionali [...]. Piuttosto, stimola le cellule staminali da tessuti muscolari vecchi (che però sono ancora funzionali) a iniziare nuovamente la divisione e l'auto-rinnovo".
Tuttavia, secondo la prof.ssa Blau, "Una cosa importante da sottolineare è che questa non è una panacea per l'invecchiamento in generale". Anche se, per ovvi motivi, vorremmo tanto lo fosse. Si tratta, per lo più di un ringiovanimento localizzato al fine di riparare i piccoli muscoli presenti nei fianchi, negli occhi, nella gola eccetera.
Potrebbe essere particolarmente utile, per esempio, nelle persone sottoposte a trapianti dell'anca. Persone che hanno diversi problemi ai muscoli scheletrici situati intorno all'articolazione, spesso danneggiata a causa dell'intervento chirurgico.
"Anche un piccolo trapianto localizzato potrebbe avere un enorme impatto sulla qualità di vita - sottolinea Blau - Un grande vantaggio è che, poiché le cellule proverrebbero dai muscoli della persona, non ci sarebbe alcun problema con la risposta immunitaria", conclude la professoressa.
Secondo Gilbert, il campo che stanno esplorando è davvero molto emozionante. Senz'altro l'Università di Toronto condurrà ulteriori ricerche per offrire speranza e giovinezza a tanta gente. Anche perché presso tale università "ci sono ricercatori clinici veramente appassionati che sono interessati a ripristinare la forza perduta con l'invecchiamento e le malattie". E noi ci auguriamo che tale passione sia la forza motrice che porterà i ricercatori a nuove e interessanti scoperte di utilità comune.
Lo studio è stato pubblicato su Nature Medicine.
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