Basata su una tecnologia al grafene e all'ossido di silicio, lascia filtrare il 90 per cento della luce nello spettro visibile, e ha un consumo di energia 10 volte inferiore rispetto alle altre architetture attualmente esistenti. Oltre ad aprire le porte a una vasta gamma di applicazioni, promette di estendere la vita della "legge di Moore", secondo cui la potenza dei microchip raddoppia ogni due anni.
Il prototipo di un dispositivo di memoria non volatile, trasparente e flessibile è stato messo a punto da un'équipe di ricercatori della Rice University, che illustra la nuova tecnologia in un articolo a prima firma Jun Yao pubblicato online dalla rivista "Nature Communications".
I nuovi dispositivi - che lasciano passare il 90 per cento della luce nello spettro visibile, e hanno un consumo di energia 10 volte inferiore rispetto alle architetture concorrenti - possono essere disposti su un sottile strato di vetro o su una pellicola di plastica flessibile.
La creazione di dispositivi elettronici trasparenti, che potrebbero trovare impiego in una vasta gamma di applicazioni, è perseguita da tempo da vari gruppi di ricerca, ma finora i tentativi di raggiungere un buon grado di trasparenza con le tecnologie microelettroniche più utilizzate si sono scontrati con il parallelo peggioramento delle prestazioni di elaborazione.La nuova memoria progettata dal gruppo diretto dal chimico James Tour e dal fisico Douglas Natelson, è a base di ossido di silicio e grafene e si fonda sulla scoperta che l'ossido di silicio può fare da "interruttore". Una differenza di tensione imposta a un film sottile di silicio attraversi i contatti in grafene può espellere gli atomi di ossigeno da un canale di 5 nanometri di larghezza, trasformandolo in silicio metallico conduttore. Con tensioni inferiori a una certa soglia, questo canale può essere interrotto e ripristinato ripetutamente per migliaia di cicli. D'altra parte, la condizione in cui si trova il canale può essere letta come un "1" o uno "0", l'unità di base delle memorie dei computer.
Il fatto che il fenomeno si verifichi alla scala di cinque nanometri, osservano i ricercatori, fa presagire la possibilità di garantire la validità della "legge" di Moore (secondo cui la potenza dei circuiti microelettronici raddoppia ogni due anni), ancora per parecchio tempo: la larghezza dei circuiti dei microchip attuali si aggira infatti sui 22 nanometri.
Inoltre, continuano i ricercatori, mentre i dispositivi di memoria anche più compatti, come le memorie flash che riescono a stipare milioni di bit in uno spazio minuscolo, stanno iniziando a raggiungere il limite delle loro capacità fisiche perché la loro architettura richiede la presenza di tre terminali per ogni bit, il nuovo tipo di memoria ne richiede soltanto due e quindi può essere confinato in un piano. Ciò significa che è possibile impilare schiere di memorie a due terminali in configurazioni tridimensionali, incrementando la quantità di informazione che può essere immagazzinata in un chip.
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