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5 Dicembre 2001 ARCHEOLOGIA
Eurekalert
Il ritorno dei mummificatori
tempo di lettura previsto 7 min. circa

Cenere alla cenere. Polvere alla polvere. La morte arriva per tutti, e il decadimento segue poco dopo. Almeno, normalmente. Ma ora come allora, per coincidenza, applicazione di metodi o pratiche, o deviazioni nello svolgersi dei normali processi di decomposizione, il corpo diviene una mummia. Siamo così affascinati dai "morti viventi" che vorremmo arrivare a conoscere le esatte procedure da seguire per una ottenere una tale preservazione. Naturalmente sappiamo che i sistemi di raffreddamento, disidratazione e certi processi chimici prevengono l´insorgere di batteri e degli enzimi umani responsabili del disfacimento dei tessuti, ma ora stanno iniziando ad emergere i più raffinati dettagli, grazie a pochi intrepidi ricercatori che hanno deciso di fare da sé delle mummie.

Prendiamo le mummie egiziane. Sappiamo che la disidratazione era un momento chiave, perché privava i batteri dell´acqua loro necessaria per sopravvivere. Ma gli imbalsamatori egiziani mantenevano un assoluto riserbo sui metodi esatti e gli archeologi non hanno mai saputo se le poche descrizioni degli esterni contenessero l´esatta ricetta seguita dai mummificatori. "Era una professione assolutamente segreta, e c´è da domandarsi se gli imbalsamatori avrebbero ceduto i loro segreti ad un visitatore straniero" dice Richard Evershed dell´Università di Bristol.

Così Bob Brier, un egittologo alla Long Island University, ha deciso che l´unico modo per scoprire se gli antichi storici avessero tralasciato dettagli importanti, era fare da sé delle mummie, seguendo le stesse istruzioni. Nel 1994, lui ed il suo collega Ronn Wade dell´Università del Maryland, hanno messo le mani su un cadavere appartenuto ad un uomo di Baltimora, che aveva deciso di donare il suo corpo alla scienza, e si sono messi al lavoro.

Seguendo le descrizioni registrate dallo storico greco Erodoto e da altri, hanno estratto il cervello e gli organi interni e quindi hanno chiuso le cavità del corpo con fasce imbevute di natron, un misto di sali con carbonato di sodio e bicarbonato, che Brier aveva scavato dai laghi salati prosciugati in Egitto, per accuratezza storica. Quindi hanno coperto il cadavere di una massa di 264 chili dello stesso materiale e lo hanno posto in una camera calda e asciutta. Ve lo hanno lasciato per 35 giorni, in parte preparati a ritrovare nello stesso luogo solo un putrido grumo di carne.

Quando finalmente la stanza è stata riaperta, i loro nasi hanno preannunciato notizie migliori. "Si sentiva un odore di pesce, o pepe" ricorda Wade. "Non dico fosse piacevole, ma non era nauseante almeno". Abbastanza sicuri, una volta rimosso il natron, hanno trovato il corpo prosciugato dai liquidi. "In un certo senso, era come guardare ad una mummia egiziana per la prima volta." dice Brier. "E quel che era più scioccante era che sembrava proprio una mummia, lo stesso colore marrone cuoio". In poche parole, 3000 anni di conservazione hanno avuto un effetto minimo su molte delle autentiche mummie.

Il natron aveva asciugato più della metà dell´acqua del corpo. Dopo aver esaminato il corpo da vicino, i due ricercatori lo hanno cosparso d´olio e chiuso la cavità con spezie e resine. Quindi l´ hanno avvolto in un tessuto del tutto identico a quello utilizzato nell´antico Egitto, affinché fosse protetto dagli insetti e avesse maggiore compattezza, e poi conservato ancora. La mummia ha ora sette anni, e non mostra segni di deterioramento; il che suggerisce che la disidratazione fosse la vera chiave della mummificazione.

E´ davvero così semplice, allora? "Credo fosse qualcosa più di questo" dice Evershed, che crede che l´applicazione di oli, unguenti e resine sulla superficie del corpo dopo la disidratazione giocasse un ruolo cruciale, non il semplice proposito cerimoniale che Brier ascrive ad esso. "Le tombe sono luoghi piuttosto umidi. Forse credevano che questo avrebbe portato ad una re-idratazione se non si fossero presi provvedimenti ulteriori per impermeabilizzarlo e aggiungere alcuni antibatterici". Quando Evershed ed il suo collega Stephen Buckler studiarono la composizione chimica degli unguenti utilizzati su 13 mummie egizie, trovarono che tutte eccetto una –la peggio preservata- includevano resine di piante, cera d´api, noti per inibire la crescita batterica (Nature, vol. 413, p 837). La maggior parte conteneva anche oli vegetali, che si polimerizzano spontaneamente per formare uno strato protettivo e impermeabile.

Gli egiziani indubitabilmente svilupparono la mummificazione ad un elevatissimo livello di raffinatezza, ma le mummie possono talvolta formarsi anche senza l´intervento dell´uomo. Ora come allora, un corpo si fredda rapidamente dopo la morte, e potrebbe conservarsi perfettamente congelato in un ghiacciaio, o in una fossa scavata nei ghiacci eterni dell´Artico. Se protetto da venti gelidi e disidratanti, i corpi potrebbero rimanere quasi perfettamente preservarti per secoli. Più spesso, comunque, l´esposizione fa si che essi perdano acqua per via di sublimazione, una forma di disidratazione naturale fredda che può rimuovere circa i tre quarti dell´acqua originale del corpo. Ogni scioglimento e successivo raffreddamento prima che la disidratazione sia completa, provoca scompensi nella struttura delle celle, che spiegano perché i tessuti della maggior parte delle mummie dell´Artico siano quasi irriconoscibili al microscopio.

Ci sono poi i corpi nelle paludi. Come i resti umani si preservino nelle paludi è quasi un mistero. La risposta non può essere semplice, perché le condizioni dei corpi variano sensibilmente. "Non sappiamo perché alcuni corpi nelle paludi siano così ben preservati e altri no" dice Don Brothwell della York University. Non c´è dubbio, però, che in una fossa acquosa, il freddo e la mancanza di ossigeno possono essere sufficienti per provocare un lento decadimento. "Un corpo in un tale ambiente non si decomporrà alla stessa velocità che se fosse sepolto nel giardino dietro casa" dice Rob Janaway della Bradford University, che è ben documentato in materia, poiché lui ed il suo collega Andrew Wilson hanno eseguito una serie di esperimenti, seppellendo maiali nel suolo acquoso delle paludi dello Yorkshire. Dopo sei mesi, dice Wilson, "si poteva vedere molto bene un intero maiale rosa con pelle, tessuti muscolari e organi interni ben preservati". Ad un anno di distanza, il corpo sembrava ancora molto più intatto di quelli seppelliti in suoli asciutti e più areati.

Alcuni tessuti durano molto più a lungo perfino in normali fosse, come i capelli, e le unghie, che possono sopravvivere per centinaia di anni.

L´immersione può chiaramente giocare un ruolo vitale nella creazione dei corpi nelle paludi. In altri esperimenti sui maiali, uno studente di Brothwell, Heather Gill-Robinson, ha seppellito sei giovani porcellini all´interno di un singolo metro quadro di palude nel nord dell´Inghilterra. Due anni e mezzo dopo, due erano divenuti scheletri, due avevano qualche tessuto ancora preservato, e due erano pressoché intonsi. "L´unica differenza era che i due che erano preservati meglio si trovavano nella parte più bagnata di quel metro quadrato" dice Gill-Robinson, ora all´Università di Manitoba.

Pochi batteri o altri agenti della decomposizione possono sopravvivere in acque fredde e povere di ossigeno, ma alcune paludi contengono anche un agente di preservazione più esotico. Lo sfagno, una delle piante più frequenti nelle paludi, produce sulle foglie un´inusuale, complessa molecola. Essa contiene molti gruppi di carbonili, che reagiscono con i gruppi di amine delle proteine. Come conseguenza di ciò, gli enzimi si disattivano, dice il biochimico Terence Painter. "Abbiamo qui un metodo di preservazione meraviglioso" dice. "I batteri debbono avere una vita veramente frustrante. Si trovano davanti ad un corpo intero, ma non appena iniziano a secernere gli enzimi per demolirlo, gli enzimi si disattivano sulle foglie dello sfagno".

Painter ritiene che lo sfagno giochi un ruolo importante nel creare l´apparenza del classico corpo da palude. "La pelle cambia composizione da leggera e sottile diviene dura e coriacea" dice Gill-Robinson. Chi tratta il cuoio per commercio, ottiene questo stesso effetto con la formaldeide, che crea nuovi legami chimici tra le proteine, ed le molecole dello sfagno sembrano svolgere esattamente lo stesso ruolo. "Il modo più semplice per comprendere come un corpo si preservi in una palude, è immaginare che sia immerso in una soluzione di formaldeide." dice Painter. La sua conclusione sembra plausibile, ma attende conferma.