

In molte tradizioni contadine italiane, seppur geograficamente
lontane tra loro, troviamo alcuni temi comuni che sembrerebbero
legare indissolubilmente il mondo agrario ad antiche tradizioni
pagane. Le forme estatiche, i rituali di fertilità ed in
particolare l'incontro con i morti sembrano essere filo conduttore
di una cultura "subalterna" mai del tutto scomparsa. La
continua associazione tra mondo contadino e il tema della morte
sembrerebbe preludere una stretta unione tra questi due aspetti,
basti pensare ai rituali legati al pianto funebre e al cordoglio
nelle tradizioni agricole. Per conoscere il legame che c'è
tra le tradizioni legate alla morte e i rituali di fertilità
dei campi dobbiamo addentrarci tra i ricordi friulani e la magia
lucana, due regioni distanti e profondamente diverse tra loro che
però nascondono il seme comune del paganesimo silvano. Non
è un caso che queste tradizioni si siano conservate in zone
favorite dall'isolamento e accomunate dalla paura del negativo nella
vita quotidiana e delle angustie della povertà agricola.
Il sopravvivere di una cultura subalterna contadina ancora attaccata
a queste credenze, attraverso ricordi, narrazioni, passaggi e sincretismi
ha permesso il tramandare delle stesse fino al secolo scorso.
Una tipica tradizione dell'area friulana è quella dei Benandanti.
Secondo i racconti contadini, i Benandanti sarebbero delle persone
particolari, portatori di un culto di fertilità e difensori
di campi e raccolti contro streghe e stregoni, in un'immagine stereotipata
della morte che accomuna l'area nord Italiana con quella tedesca
e balcanica legata alla figura di Frau Holle (Cossar, 1933). Queste
persone sono caratterizzate dall'evento di essere nati con la "camicia",
in realtà un pezzo di placenta che da sempre, nella tradizione
popolare era considerata come sede dell'anima. Forse è da
questa credenza, che i Benandanti vengono considerati delle persone
del tutto speciali, le uniche a poter guarire le persone dai malocchi
e dalle fatture delle streghe, in grado di assicurare la fertilità
dei campi. Del resto l'espressione popolare "nascere con la
camicia", ad indicare persone particolarmente fortunate, sembrerebbe
proprio sottolineare questo atavico legame. E' dunque la camiciola
a rendere una persona "benandante", non solo, ma è
il suo stretto contatto a garantire la eccezionale condizione psichica
del soggetto. Perdere la placenta significava non avere più
alcun diritto di fascinazione e infatti molte sono le testimonianze
in tal senso. "...portava quella mia camiciola al collo
sempre, ma la persi et dipoi che la perdei non ci son più
stato alli raduni..." (C. Ginzburg, 1996)
La tradizione vuole che in particolari periodi dell'anno questi
magi si scontrerebbero contro streghe malefiche in una battaglia
a colpi di rami di finocchio e di sorbo per assicurare, nel caso
di loro vittoria, le fertilità dei campi.
"...Io sonno Benandante perché vò con li altri
a combattere quattro volte l'anno, cioè nelle quattro tempora,
di notte, invisibilmente con lo spirito et resta il corpo...noi
con le mazza di finocchio et loro con le canne di sorgo..."
(C. Ginzburg, 1996)
Ecco così trasparire lo stretto legame, di tipo sciamanico,
tra il masciaro e la fertilità campestre. Questi combattimenti
erano sicuramente il ricordo di antichi riti agrari, infatti la
vittoria o la sconfitta nello scontro poteva assicurare fertilità
ai campi o, in caso contrario, un periodo di ristrettezze. Si potrebbe
così rivedere, in questo "scontro", una riproposizione
di rituali agrari ben più antichi e legati a quello che il
Frazer definirebbe spirito arboreo, spesso identificato come l'aspetto
maschile del culto primigenio della Grande Madre (A. Romanazzi 2003)
All'inizio la divinità è vista e concepita come immanente,
essa permea tutto ciò che circonda il selvaggio e dunque
essa è anche dendromorfa. Nell'evoluzione del pensiero religioso-sciamanico
primitivo la divinità, seppur nella sua immanenza, si evolve;
non è più la pianta stessa ma quest'ultima è
solo la sua dimora, passando così da una fase animista ad
una politeista. In questa fase si svilupperebbero tutte le tradizioni
popolari legate all'ultimo covone durante la raccolta del grano
e legate all'idea di magia simpatica di rigenerazione dei campi
ben descritte dal Frazer nel suo Ramo d'Oro (J. Frazer, 1965).
Man mano che l'uomo taglia la pianta lo spirito arboreo si rifugia
via via nelle rimanenti fino ad arrivare appunto all'ultimo covone.
Nella continua evoluzione del pensiero primitivo alla divinità
viene successivamente associato un'immagine antropomorfa, lo spirito
silvano viene personificato anche da bambole e pupazzi e, successivamente,
con i viandanti che per caso si trovavano a transitare in quei particolari
luoghi durante il raccolto. In quest'ottica l'ultimo covone prima,
l'animale, il fantoccio e lo straniero poi, dovevano perire di morte
violenta per poter assicurare la fertilità e la rinascita
dei campi. Da qui l'usanza di bruciare le effigie dello spirito
fatte con le ultime fascine o addirittura di picchiare o uccidere
l'incauto viandante che, solo con la sua morte avrebbe garantito
la fertilità. Potrebbe essere questa la chiave esplicativa
della tradizione successiva dei Benandanti che, percuotendo con
rami e fascine le streghe, antropizzazione dell'aspetto silvestre,
dovevano assicurare la loro "morte" per assicurare la
rinascita dei campi. Importante particolare è la fase oniroide
della tradizione. Infatti questi "sacerdoti agrari" compivano
i loro scontri in somnis riportando però, anche sul piano
fisico i risultati di questo scontro.
Questo aspetto viene fuori da numerose testimonianze apprese dai
documenti dell'epoca che raccontano di come, riferendoci ad una
donna, "...suo marito più volte di notte la chiamava
et con li rimedi la urtava, et lei era come morta, perché
diceva che li spirito se ne era andato al suo viaggio et il corpo
restava come morto..." (C. Ginzburg, 1996)
Tradizioni oniroidi simili la ritroviamo anche in Lucania ove coloro
che avevano fatto in qualche modo dei torti alle masciare venivano
visitati nella notte da quest'ultime che li legavano e picchiavano,
in una immagine che, in qualche modo ricorda i combattimenti dei
benandanti in somnis. "...era verso mezzanotte e mi sentii
tirare i capelli. Io dicevo, Madonna mia lasciami, lasciami stanotte..."
(E. De Martino,1959)
Anche in questo caso gli "incontri" avvengono nel sogno
ma è come se fossero reali come reali sono effettivamente
i graffi, i lividi, le legature ed altre testimonianze che al mattino
dopo si ritrovano. Non è facile dare delle interpretazioni
a questi avvenimenti. Per alcuni si tratterebbe di situazioni oniroidi
ove il soggetto, durante il sogno, si procura ferite o effettua
atti autolesionistici che fanno parte dell'intricato mondo della
lotta contro gli spiriti malvagi. In altri casi si tratterebbe di
visioni oniroidi "mimate a due" (E. De Martino, 1959),
ove cioè, altri esponenti della famiglia sembrerebbero prendere
parte a questi oscuri rituali per impersonare da un lato le fattucchiere
che fascinano la vittima per poterla successivamente liberare. Impulsi
ostili repressi durante la veglia trovano realizzazione parziale
e simbolica durante la notte, in una vicenda, solo in parte in somnis,
che lascia tracce nella realtà (E. De Martino, 1959). "Una
mattina al risveglio, mi trovai legato i piedi così...poco
tempo dopo, verso le quattro o le cinque del mattino, mi sono trovato
le mani legate alla spalliera del letto..." (E. De Martino,
1959). Ovviamente nulla rimane nella memoria della vittima e della
sua famiglia se non il ricordo delle percosse e dell'aggressione
notturna della masciara. A questo stesso meccanismo potremmo imputare
i segni reali dei Benandanti dopo le lotte durante le Tempora, in
una commistione di immagini tra la finzione rituale e la magia simpatica.
Un'altra strana caratteristica che lega tradizioni friulane e lucane
e più in generale le culture subalterne contadine è
quella della "processione dei morti".
Il Ginzburg ci fa notare che "chi vede i morti, cioè
va con loro, è un Benandante" e sempre nel suo lavoro
racconta dell'avventura capitata ad un povero monaco nel 1091. Il
racconto ci apre nuove considerazioni. Mentre infatti camminava
lungo un sentiero di campagna il prete viene attratto da strani
lamenti e così scorge una processione tra la quale riconosce
alcuni uomini suoi conoscenti morti da poco tempo. La strana fila
tanto ricorda quelle raffigurazioni rinascimentali successive, chiamate
"Danze Macabre" che iniziano ad apparire attorno al 1400,
interpretate successivamente con il motivo della morte "livellatrice".
Sicuramente queste attingerebbero da ben più antichi ricordi,
come testimonierebbe la primitiva guida delle fila: l'uomo selvatico
armato di clava. Quest'ultimo non sarebbe difficile da interpretare
come figura antropizzata di quelle antiche divinità arboree
e silvane cui sopra accennato (J. Frazer, 1965).
Sempre nella regione pullulano storie di donne che, mentre raccoglievano
l'acqua, nel riflesso del catino, scorgevano strane processioni
tra le quali individuavano alcuni loro defunti, tradizione presente
anche nel Sud Italia. Anche in questo caso le "visioni"
sono accomunate da un particolare. Queste avvengono solo in particolari
momenti della vita dell'individuo o in particolari periodi dell'anno,
spesso coincidenti con festività agrarie, come ad esempio
la Festa di Onnissanti o la notte di San Giovanni. Ecco così
che nascono strane tradizioni ancora presenti come l'usanza nel
caso di recenti lutti in famiglia, di occupare tutti i posti a sedere
durante feste o banchetti, in modo che il morto non potesse trovare
posto per la sua presenza, o ancora le tradizioni che ritroviamo
in molti paesi del sud Italia e in particolare di Lucania, Puglia
o Calabria ove si usa porre del cibo sul davanzale delle case, nel
giorno dei morti (Di Nola, 2003)
Tralasciando però ora il discorso legato alle particolarità
dei giorni, soffermiamoci sullo status delle persone. Ecco così
che soggetti più facilmente propensi a questi incontri sono
le fanciulle prossime alla prima mestruazione o al matrimonio, e
dunque ad un radicale shock di rituale di passaggio o ancora le
donne gravemente provate da sforzi fisici o in preda ai morsi della
fame per un lungo digiuno. Quello che caratterizza così tali
esperienze è una prostrazione fisica o un disagio psicologico-morale.
Una particolare visione è quella della "messa dei morti".
Ecco così che lungo le buie vie che conducono le contadine
nei campi, capita spesso di vedere una chiesa aperta e illuminata
e all'interno anime dannate che allontanano subito le viandante
o le comunicano un messaggio per il mondo dei vivi (E. De Martino,
1959). Quello che sembra accomunare più tradizioni popolari
è che queste apparizioni si manifestano in persone in qualche
modo connesse all'agricoltura, sembrerebbe esistere dunque un nesso
tra le processioni dei morti e il mondo agreste e la sua fertilità.
Torniamo così al concetto di morte e di resurrezione che
caratterizza il mondo naturale. Non sarebbe così neanche
un caso che le processioni siano visibili spesso riflesse attraverso
l'acqua, elemento vitale per eccellenza e da sempre legato alla
fertilità dei campi. Tra i fenomeni naturali non vi è
uno come quello della morte e della resurrezione vegetazionale che
ha più colpito l'uomo anche per la sua stretta dipendenza
dallo stesso. Se dunque lo spirito arboreo doveva morire per poi
risorgere, è nella "buona morte" che assicura la
rigenerazione, vista dunque in una visione arcaica completamente
differente da quella introdotta successivamente dal Cristianesimo,
che si cela l'arcano dell'apparitio, in un rituale che, da lutto
naturale legato alla divinità si trasforma in visione malefica
e demoniaca.
Bibliografia
De Martino E. , Morte e Pianto Rituale, Universale Scientifica Boringhieri,
Torino 1977
De Martino E. , Sud e Magia, Feltrinelli Editore, Milano 1959
di Nola A. M. , La Nera Signora, Antropologia della morte e del
lutto, Newton Compton, Roma 2003
Frazer J. , Il Ramo d'Oro, Studio sulla Magia e sulla Religione,
Bollati Boringhieri, Torino 1995
Ginzburg C. , I Benandanti, stregoneria e culti agrari tra Cinquecento
e Seicento, Piccola Biblioteca Einaudi, Torino 1996
Romanazzi A. , La Dea Madre e il culto Betilico: Antiche tradizioni
tra mito e folklore", Levante Editore, Bari 2003
di Andrea Romanazzi
andrji00@libero.it




di Michael A. Cremo, Richard L. Thompson2. Archeologia Misterica
di Luc Bürgin3. Archeologia dell'impossibile
di Volterri Roberto4. Archeologia eretica
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