

Nella ricostruzione dell'avventura umana e spirituale di questo
grande personaggio della storia (mi è veramente difficile
utilizzare il termine "personaggio", vorrei che queste
mie parole fossero tutte al femminile
ma, finora, nella lingua
italiana alla voce "persona importante per grado gerarchico
o per fama" non è previsto il genere femminile di "personaggio")
io ho privilegiato quella umana
mentre Antonino Colavito quella
spirituale-filosofica.
Incontrai Ipazia preparando la nota introduttiva al mio secondo
romanzo storico (Roghi fatui) che, assieme ad Eresia pura, rappresenta
il mio contributo all'analisi della lotta tra Scienza e Religione,
dal Medioevo al Rinascimento.
Potetti dedicare alla scienziata alessandrina soltanto sei righi,
sufficienti però ad accendere la favilla della mia curiosità.
Fin dai primi studi delle fonti storiche compresi che per raccontare
le vicende di questo grande personaggio (presente nelle opere di
Pierre de Fermat, Chateaubriand, Voltaire, Proust, Toland, Fielding,
Diderot, Gibbon, Wieland, Péguy, Leopardi, Monti, Pascal,
Luzi, Calvino ed innumeri altri) oltre alla penna d'un romanziere
(la mia, che nel testo scrive in "carattere stampatello")
occorreva anche il dispiegarsi dell'intreccio di valenze e di simboli
d'un filosofo (nel testo i sogni in "carattere corsivo").
Nacque così la sinergia con Antonino Colavito, la cui penna
ha colto i cieli alti di Ipazia, la sua nube fremente di atomi
nube luminosa che ha disperso brani della caligine imbrattata di
sangue del mio narrare.
Un raccontare senza pietà per carnefici e sicari che, con
premeditata ferocia, posero fine alla sua vita correndo la quaresima
dell'anno 415 d.C.
Ipazia era l'erede della Scuola alessandrina, la più importante
comunità scientifica della storia dove avevano studiato Archimede,
Aristarco di Samo, Eratostene, Ipparco, Euclide, Tolomeo
e
tutti i geni che hanno gettato le fondamenta del sapere scientifico
universale. Filosofa neoplatonica, musicologa, medico, scienziata,
matematica, astronoma, madre della scienza sperimentale (studiò
e realizzò l'astrolabio, l'idroscopio e l'aerometro).
e, come scrisse Pascal, ultimo fiore meraviglioso della gentilezza
e della scienza ellenica. Nei suoi settecento anni la Scuola alessandrina
aveva raggiunto vette talmente elevate nel campo scientifico, che
sarebbe bastato lasciar vivi e liberi di studiare Ipazia e i suoi
allievi per acquisire 1200 anni in più di progresso.
Ma su Ipazia e sull'intera umanità si abbatté la più
grossa delle sventure: l'ascesa al potere della Chiesa cattolica
e il patto di sangue stipulato con l'impero romano agonizzante.
Questo patto - oltre alla soppressione del paganesimo - prevedeva
la cancellazione delle biblioteche, della scienza e degli scienziati,
l'annullamento del libero pensiero, della ricerca scientifica (nei
concilî di Cartagine, infatti, fu proibito a tutti - vescovi
compresi - di studiare Aristotele, Platone, Euclide, Tolomeo, Pitagora
etc.). Alla donna doveva essere impedito l'accesso alla religione,
alla scuola, all'arte, alla scienza.
In poche decine di anni il piano venne quasi interamente realizzato.
Ma Ambrogio, Giovanni Crisostomo, Agostino e Cirillo - i giganti
del nascente impero della Chiesa - trovarono, sulla loro strada
lastricata di roghi e di sangue, un ultimo impedimento: una giovane
bellissima creatura a capo della Scuola alessandrina, una scienziata
con una dirittura morale impossibile da piegare la quale, al termine
d'una giornata di studio e di ricerca, si gettava sulle spalle il
tribon - il mantello dei filosofi - e se ne andava in giro per Alessandria
a spiegare alla gente - con ingegno oratorio e straordinaria saggezza
- cosa volesse dire libertà di pensiero, l'uso della ragione.
E Cirillo, vescovo e patriarca di Alessandria, ordì il martirio
di Ipazia.
Uccidere ingiustamente un qualunque essere umano è troncare
una vita, spezzare una possibilità, ma trucidare una creatura
come Ipazia è arrecare un danno incalcolabile all'umanità
intera, è uccidere la speranza nel progresso umano.
Questo delitto segnò la fine del paganesimo, il tramonto
della scienza e della dignità stessa della donna. Segnò
la definitiva affermazione della cricca più astuta, raffinata,
vorace, spietata e feroce prodotta dalla specie umana: da quel marzo
del 415 d.C. la Chiesa Cattolica, oltre a imprigionare, torturare,
bruciare vivi popoli interi, incatenò la mente degli uomini
per manovrarli, dirigerli, dominarli, alleandosi sempre con il potere
e con l'ingiustizia. Nessun mea culpa potrà mai restituire
all'umanità tanto sangue innocente e tanti secoli di progresso
mancato.
In quel 415 d.C. a nulla valse la voce isolata del prefetto augustale Oreste, che cercò inutilmente di difendere e di salvare la scienziata. Quando giunse ad Alessandria, prima di andare a visitare il magister militiae e le altre autorità, ancor prima d'ossequiare il vescovo Cirillo Oreste si recò a rendere omaggio a Ipazia, astro incontaminato della sapiente cultura. Da lei apprese che non poteva definirsi realmente pagana perché "qualunque religione, qualunque dogma, è un freno alla libera ricerca, e può rappresentare una gabbia che non permette d'indagare liberamente sulle origini della vita e sul destino dell'uomo". Ipazia gli raccontò che dopo l'incendio della biblioteca, il prefetto augustale Evagrio le aveva proposto di convertirsi al cristianesimo in cambio di maggiori sovvenzioni per la sua scuola e che lei aveva rifiutato dicendo: "Se mi faccio comprare, non sono più libera. E non potrò più studiare. è così che funziona una mente libera: anch'essa ha le sue regole".
Ipazia, scienziata alessandrina intende onorare la memoria della prima martire della Ragione, che preferì essere trucidata pur di non rinunciare alla sua libertà di pensiero, condizione irrinunciabile del progresso umano.
All'inizio di questo terzo millennio, l'UNESCO, dietro richiesta di 190 stati membri, ha creato un progetto internazionale che intende favorire piani scientifici al femminile nati dall'unione delle donne di tutte le nazionalità, perché se si vuole che la Scienza sia davvero al servizio dei reali bisogni dell'Umanità, è necessaria l'urgente realizzazione di un migliore equilibrio nella partecipazione di entrambi i sessi alla scienza e al suo progresso. Attualmente nell'ambito della scienza solo il 5% delle donne sono ai vertici. L'Unesco ha chiamato questo progetto internazionale: IPAZIA.
A questo punto è fondamentale porci una domanda: perché Ipazia non godette più della tolleranza e dei privilegi che i re egiziani prima (i Tolomei) e gli imperatori romani poi, avevano concesso per 700 anni a tutti gli studiosi che l'avevano preceduta? Cercherò di riassumere, in poche pagine, le drammatiche vicende che narro nel libro e che ci aiuteranno a comprendere come e perché mutò il destino della città che fino allora era stato il faro della Sapienza del mondo intero.
Anno 391 d.C. - Ipazia, bellissima figlia ventunenne del matematico
Teone, studia astronomia, matematica e filosofia nel Centro Studi
della Biblioteca di Alessandria d'Egitto. Aiutata dal suo allievo
Shalim, vuole mettere in salvo le opere scientifiche e filosofiche
degli antichi, perché le lotte religiose stanno mettendo
in pericolo la Biblioteca (situata sotto al tempio di Serapide).
La religione pagana viene dichiarata fuorilegge dagli editti dell'imperatore
Teodosio: il prefetto imperiale Evagrio e il vescovo Teofilo chiudono
il tempio. Shalim riesce a nascondere nei sotterranei del Faro una
minima parte dei trattati scientifici.
Teone, Ipazia, Zeev e gli studiosi della Biblioteca cominciano a
trasportare i 700 mila volumi sulla nave di Zosimo, ancorata nel
porto preistorico sull'isola del Faro. Ma la situazione precipita:
i cristiani profanano le statue del dio Serapide, i pagani occupano
il tempio, l'imperatore ne ordina lo sgombero e una folla inferocita
aiuta il vescovo Teofilo a distruggerlo e ad appiccare il fuoco
alla biblioteca: nell'incendio muoiono Teone e Zeev. I cristiani
distruggono tutti i templi pagani di Alessandria, e danno fuoco
anche alla nave di Zosimo con 50 mila volumi fino allora evacuati.
Nel rogo bruciano anche Zosimo e Ausenzio, compagno di studi di
Shalim.
Ipazia trasforma la sua casa in un piccolo Centro Studi, ma alcuni
allievi abbandonano. Lei s'immerge completamente nella ricerca scientifica
e inventa l'astrolabio.
Il prefetto Evagrio propone alla studiosa e ai suoi allievi di convertirsi
al cristianesimo e di spalleggiare l'imperatore
ma riceve
un netto rifiuto.
Ipazia intraprende un viaggio ad Atene, alla continua ricerca d'un
trattato sulla luce dell'atomista fenicio Moco, ma nulla è
rimasto dopo gli incendi appiccati alle biblioteche di Atene, Pergamo
e Antiochia. Assiste a quelle che diventeranno le ultime olimpiadi:
è l'anno 393 d.C. Vi partecipa il fratello Epifanio nella
gara del dolico, che viene stroncato dalla morte proprio sul traguardo,
dopo una gara appassionante.
Ipazia e Shalim si recano a Roma dove incontrano gli ultimi difensori
della libertà di culto e di studio, il prefetto del pretorio
Nicomaco Flaviano e Simmaco Quinto Aurelio. Discutono di Agostino
e di Ambrogio.
Ipazia si reca a Milano a parlare con Ambrogio, che ormai tiene
in pugno l'imperatore Teodosio: la scienziata cerca sovvenzioni
per riaprire una grande biblioteca e un nuovo Centro Studi. S'incontrano
nella cattedrale dove tre anni prima l'imperatore aveva dovuto sottomettersi
proprio ad Ambrogio e, da quel momento, tutto l'impero alla Chiesa
cattolica. Il vescovo le dice, senza mezzi termini, che ormai per
filosofi e scienziati è finita: la Religione comanderà
sulla Ragione.
Ipazia e Shalim non s'arrendono, vanno a frugare tra le rovine della
biblioteca di Cartagine, incontrano Agostino: ha luogo un colloquio
tempestoso in cui Ipazia cerca di fargli capire che qualunque religione
o dogma è un freno alla libera ricerca.
Rientrati ad Alessandria, Ipazia e Shalim si recano alle gallerie
sotterranee del Serapeo, alla continua ricerca dei commenti sul
trattato della luce di Moco e di Democrito
e finalmente riescono
a trovarlo. Volano nella notte, Shalim è perdutamente innamorato
d'Ipazia, anche lei prova un grandissimo affetto e trasporto per
lui
ma lo vuole solo come un fratello, perché deve
dedicarsi esclusivamente allo studio.
Quattro anni dopo Shalim decide di partire con l'altro allievo d'Ipazia,
Sinesio di Cirene, per Costantinopoli, abbandonando la maestra:
la sua vita è diventata un inferno accanto a lei
perché
nella vita della scienziata non c'è posto per l'amore. Gli
avvenimenti precipitano: al porto incontrano il vescovo Teofilo
assieme al nipote Cirillo che accompagnano i comites dell'imperatore
venuti a bruciare i templi pagani di tutta l'Africa. Teofilo minaccia
Ipazia in quanto a lei non basta più insegnare agli studiosi
ma va in giro per la città ad inculcare Aristotele, Platone
e l'uso della Ragione alla gente comune, per le vie della città.
Shalim non parte più: è il giorno del compleanno d'Ipazia,
lei è sconvolta perché ha capito il piano che lui
stava per attuare
ma non acconsente a diventare la sua donna,
loro due non hanno tempo per l'amore, il loro compito è quello
di fare la storia.
Quindici anni dopo Ipazia costruisce l'idroscopio, ma la situazione
in Alessandria è peggiorata. Il vescovo e patriarca Cirillo
ha fatto radere al suolo le sinagoghe e giustiziare i giudei che
si opponevano, cacciando l'intera comunità ebraica
con in testa Samuel e David, due allievi di Ipazia. Cirillo è
in continuo contrasto col prefetto imperiale Oreste che fa di tutto
per proteggere la piccola comunità scientifica capeggiata
da Ipazia: è riuscito a riottenere alcuni privilegi e aiuti
economici per lei e per tutto il mondo della cultura alessandrina
ma scongiura la scienziata di farla finita d'insegnare astronomia
e filosofia per le strade di Alessandria.
Ipazia e Shalim tornano a frugare nei sotterranei dove una volta
sorgeva il Serapeo (mentre ora sorge il quartier generale di Cirillo
con 500 monaci-parabolani guidati da Pietro il Lettore): riescono
a scovare copie di trattati degli atomisti greci. Sono inseguiti,
fuggono.
Il 25 gennaio del 415 d.C. davanti al Centro Studi una folla attenta
sta ascoltando Ipazia. Giunge Cirillo con Pietro il Lettore ed i
monaci-parabolani. Alla presenza del prefetto Oreste, il vescovo
intima a Ipazia di convertirsi al cristianesimo, di abbandonare
la città per sempre rinunciando all'insegnamento: se accetterà,
lui rimanderà ai conventi della Nitria il suo esercito di
monaci-parabolani (che stanno mettendo a ferro e fuoco la città).
Ipazia rifiuta dicendogli che ad Alessandria si sta giocando una
battaglia che può decidere il futuro del genere umano
e che lei non tradirà mai coloro che contano su di lei. Shalim
accompagna Oreste, ma vengono assaliti da un gruppo di monaci-parabolani,
il loro capo ferisce il prefetto alla testa, Shalim lo salva, la
gente che staziona davanti alla casa d'Ipazia interviene, li aiuta,
riescono a catturare il capo del gruppo assalitore - Ammonio -,
tornano da Ipazia. Il prefetto sanguinante interroga il suo feritore
il quale riesce a strappare la spada ad una delle guardie e si getta
su Ipazia per ucciderla: Shalim la salva, abbattendo con una pugnalata
Ammonio.
Sono trascorse poche settimane, è l'otto di marzo. Ipazia
e Shalim provano a tornare nei sotterranei del Serapeo, ma i monaci-parabolani
hanno scoperto i nascondigli degli antichi testi scientifici e vi
hanno appiccato il fuoco. Ipazia corre dal prefetto per tentare
di fermarli, Shalim davanti alla cattedrale ascolta Cirillo che
sta istigando la gente a liberarsi di Ipazia che rappresenta un
pericolo per il mondo intero: è lei la causa dell'odio che
il prefetto nutre per il loro vescovo, è lei l'ultimo ostacolo
al trionfo della croce, Ipazia pratica guarigioni attraverso la
musica, è devota alla magia e agli astrolabi!
Shalim raggiunge Ipazia dal prefetto, il quale la sta scongiurando
di lasciare la città, al più presto, lui non potrà
proteggerla, ormai la situazione è degenerata, incontrollabile.
Prima di tornare in via del Sole, Shalim e Ipazia vanno sull'isola
del Faro, davanti ai resti del tempio di Poseidone, e suonano La
costellazione della musica
e per la prima volta Ipazia porge
le labbra all'amato. Poi si mettono sulla via del ritorno.
Vengono assaliti dalle orde di monaci-parabolani al comando di Pietro
il Lettore: Shalim lotta alla morte, ne uccide alcuni con il pugnale
e la spada
ma nulla può contro centinaia di belve feroci.
Vengono legati e trasportati nella cattedrale del Cesareo. Pietro
il Lettore strappa le vesti a Ipazia, con le unghie le cava gli
occhi gettandoli sull'altare, la lascia in pasto ai monaci che la
fanno a brandelli con conchiglie affilatissime, Pietro le cava il
cuore e lo getta accanto ai globi senza vita, finiscono di farla
a pezzi, ficcano i brandelli in un sacco di iuta, saltano sui carri,
portano con loro Shalim che sta impazzendo per lo strazio a cui
è costretto ad assistere: lui avrà salva la vita in
modo da raccontare tutto alla comunità ellena. Fiaccole accese,
nella notte il nugolo infernale corre per la città levando
al cielo urla di vittoria, passano dinanzi alla casa d'Ipazia data
alle fiamme, raggiungono il Cinerone, i resti della scienziata vengono
gettati in mezzo alla spazzatura che brucia, Pietro il Lettore leva
al cielo le sue unghie insanguinate e trionfanti.
E veniamo alla conclusione degli accadimenti ed alla risonanza
nei tempi.
Dopo il massacro di Ipazia, il prefetto augustale Oreste inviò
a Bisanzio un rapporto sui fatti accaduti
ma i curiali che
partirono per Costantinopoli non erano quelli che aveva scelto lui,
bensì gente pagata dal vescovo. La corte di Costantinopoli
inviò ad Alessandria il commissario Edesio: Cirillo corruppe
anche lui, salvando così sé stesso e il suo braccio
destro Pietro il Lettore.
La corte di Costantinopoli inviò, poi, al nuovo prefetto
del Pretorio d'Oriente Monaxius due leggi (datate il 29 settembre
e il 5 ottobre del 416) in cui si ordinava che il numero dei parabolani
non dovesse superare le 500 unità e che non dovevano immischiarsi
negli affari della vita pubblica. Ma venerdì santo 20 aprile
del 417 ci fu un forte terremoto ad Alessandria, e l'opera dei parabolani
fu preziosa per l'aiuto prestato alla popolazione. L'anno dopo (418)
l'Augusta Pulcheria a Costantinopoli emanò una nuova legge
che annullava le due precedenti tornando a concedere, al vescovo
di Alessandria, la totale responsabilità e paternità
dei parabolani e autorizzandolo ad incrementare il numero da 500
unità a 600.
Il vescovo e patriarca Cirillo governò Alessandria da padrone
assoluto per i successivi trent'anni.
I libri di Ipazia e di tutta la Scuola alessandrina furono bruciati
(con la sola eccezione del suo commento alla Syntaxis), la sua memoria
cancellata. A parte Ierocle (di cui sono rimaste solo due modeste
opere di filosofia neoplatonica) e il poeta Pallada che con i suoi
versi cantò l'irreprensibilità dei costumi, l'alto
sentire, l'accuratezza e il savio giudicare della filosofa e scienziata
alessandrina
tutti i discepoli della scienziata scomparvero
e di loro, del loro pensiero, delle loro opere, nulla è rimasto.
Alcuni riuscirono ad emigrare in India (tra cui Paulisa, autore
dell'opera astronomica Paulisa siddhanta), importandovi le ultime
scoperte di trigonometria ed astronomia. Il massacro d'Ipazia segnò
la fine della più importante comunità scientifica
dell'umanità.
Ci è pervenuta, però, una parte dell'opera di uno
degli allievi preferiti di Ipazia: Sinesio di Cirene, vescovo di
Tolemaide. Dalle sue lettere indirizzate alla maestra, si apprende
che Ipazia è stata la madre della scienza moderna in quanto,
all'analisi teorica dei problemi di fisica e di astronomia, faceva
seguire la sperimentazione pratica. (Il grande matematico del '600
Pierre de Fermat, studiando l'idroscopio realizzato dalla scienziata
alessandrina, rese omaggio "alla grande Ipazia, che fu la meraviglia
del suo secolo"). Mentre la sua maestra era ancora in vita,
Sinesio scriveva: L'Egitto tien desti i semi di sapienza ricevuti
da Ipazia.
Le testimonianze antiche su Ipazia sono offerte, principalmente,
da quattro storici: Socrate Scolastico (Storia Ecclesiastica), Filostorgio
(Storia Ecclesiastica), Sozomeno (Storia della Chiesa) - tutti contemporanei
di Ipazia, e da Damascio (ultimo direttore dell'Accademia platonica
di Atene, che scrisse di lei 50 anni dopo il suo massacro).
Ambrogio, Giovanni Crisostomo, Agostino e Cirillo vennero fatti
santi.
Sant'Ambrogio, San Giovanni Crisostomo, Sant'Agostino e San Cirillo
d'Alessandria sono stati elevati, inoltre, al rango di dottori e
padri della Chiesa universale.
Per i successivi 1200 anni la Chiesa di Roma manovrò principi,
re ed imperatori per tenere a freno il suo più acerrimo nemico:
il sapere, la conoscenza. Soprattutto la scienza della Scuola alessandrina.
Il 17 febbraio dell'Anno Santo 1600 la Chiesa di Roma fece bruciare
vivo Giordano Bruno, il filosofo e scienziato che aveva studiato
gli atomisti greci e che attraverso le opere di Democrito aveva
capito l'essenza di quegli universi infiniti che Ipazia aveva intuito.
Il 22 giugno 1633 la Chiesa di Roma fece imprigionare ed abiurare
il padre della scienza moderna Galileo Galilei, il quale aveva proseguito
l'opera iniziata dalla Scuola alessandrina e da Ipazia nella sperimentazione
della scienza e che, nel Dialogo sui massimi sistemi del mondo,
aveva avuto il coraggio di proporre l'ipotesi eliocentrica che Aristarco
di Samo aveva formulato nel 280 a.C. nella Scuola alessandrina e
che Ipazia aveva elaborato.
Papa Pio XII nel 1944, per festeggiare i 1500 anni della morte di
San Cirillo d'Alessandria (la cui opera teologica è alla
base del dogma della Vergine Madre di Dio) promulgò l'enciclica
Orientalis Ecclesiae, per "esaltare con somme lodi" e
"tributare venerazione a San Cirillo", a colui che aveva
cacciato e fatto massacrare ebrei, nestoriani, novaziani (chiamati
catari - puri) e pagani da Alessandria d'Egitto.
Il vescovo-patriarca S. Cirillo aveva studiato per cinque anni -
dal 394 al 399 - nel monastero della montagna della Nitria, nel
deserto di San Marco, e lì era stato ordinato Lettore. In
questo monastero aveva stretto vincoli di amicizia con gran parte
dei monaci parabolani (di cui si servì per sterminare ebrei,
nestoriani, novaziani e pagani) e soprattutto con Pietro il Lettore,
a cui sedici anni dopo ordinò di trucidare Ipazia
l'ultima
voce libera, l'ultima luce femminile di sapienza dell'antichità.
All'inizio di grandi sconvolgimenti storici c'è sempre la
storia di una biblioteca.
La prima bomba intelligente che gli USA gettarono su Bagdad 13 anni
fa, venne destinata alla Biblioteca Nazionale che conteneva i più
antichi trattati filosofici e scientifici dell'umanità (mentre
nella guerra di aggressione ancora in corso è stato distrutto
il Museo Nazionale con i reperti più antichi della storia
umana). Esattamente come ai tempi d'Ipazia, quando vescovi cattolici
e imperatori romani distrussero la biblioteca di Alessandria in
cui era contenuto il sapere universale, e dove si confutavano dogmi
e gli assoluti, in una ricerca dura ed emozionante attraverso la
relatività delle osservazioni, del ragionamento, di uno studio
continuo e scevro da condizionamenti del potere, Ipazia e la sua
scuola si eressero ad ultimo baluardo che la Ragione opponeva all'avanzata
della Religione
La libertà di pensiero è quello
per cui ha combattuto e dato la vita Ipazia, la cui morale, la cui
etica, era costruita giorno per giorno nel massimo rispetto dell'uomo.
Quando il cristianesimo si affermò, impose il suo credo,
la sua visione del mondo. Quasi sempre con la violenza e il terrore.
Papi, re e imperatori fecero di tutto per tener ferma la Terra,
per tener ferma la mente degli uomini e così poterli dominare
e sfruttare facilmente. Liberare la scienza voleva dire liberare
l'uomo.
Purtroppo le donne che tentarono di studiare e d'inserirsi nel mondo
della scienza dovettero combattere su due fronti: il primo risaliva
ai tempi di Platone, che le considerava esseri inferiori per natura
(e questo sembra incredibile: Platone, Aristotele e i più
grandi pensatori che ha prodotto il genere umano, che hanno dato
vita all'attuale libertà di pensiero, ebbene
consideravano
la donna inferiore per natura); il secondo
il ruolo secondario
assegnatole proprio dai padri fondatori della Chiesa (Sant'Agostino
e San Giovanni Crisostomo che affermò che la donna porta
il marchio di Eva e che Dio non le ha concesso il diritto di ricoprire
cariche politiche, religiose o intellettuali!).
Infatti se Ipazia fosse stata uomo, l'avrebbero solamente uccisa.
Essendo donna, dovevano farla a pezzi, nella cattedrale cristiana,
per rendere quel massacro simbolico d'un sacrificio. Per escludere,
nel cammino dei secoli a venire, metà del genere umano.
Ipazia ci ha insegnato che la via della ragione - la via dell'esperienza
personale non mediata da altri, la ricerca continua della verità
sulla nostra vita, verità che racchiude il nostro corpo,
la mente, l'universo, l'intelligibile
come direbbero gli antichi
filosofi, la metafisica
che vuol dire il raggiungimento d'un
principio supremo non creatore, ma che è e che si evolve
insieme a noi - è la via a cui ha diritto ogni essere umano.
di Adriano Petta
a.petta@tin.it




di Michael A. Cremo, Richard L. Thompson2. Archeologia Misterica
di Luc Bürgin3. Archeologia dell'impossibile
di Volterri Roberto4. Archeologia eretica
di Luc Bürgin5. Il libro degli antichi misteri
di Reinhard Habeck6. Rennes-le-Château e il mistero dell'abbazia di Carol
di Roberto Volterri, Alessandro Piana7. Il mistero delle piramidi lombarde
di Vincenzo Di Gregorio8. Le dee viventi
di Marija Gimbutas9. Come ho trovato l'arca di Noè
di Angelo Palego10. Navi e marinai dell'antichità
di Lionel Casson

ARCHEOLOGIA BIBLICA
ECCEZIONALE RITROVAMENTO IN UN TUNNEL SEGRETO IN MESSICOARCHEOLOGIA BIBLICA
CIMITERO DI ANFORE IN DUE NAVI ROMANE NELLE EOLIEARCHEOLOGIA BIBLICA
SCOPERTI VASI DI ARGILLA CRUDI A POMPEIPALEONTOLOGIA
IL GIGANTE DI ATACAMA: UN ALTRO GEOGLIFO CHE SFIDA LA NOSTRA COMPRENSIONE DEL PASSATOARCHEOLOGIA BIBLICA
TROVATA AD ORVIETO LA TESTA DEL DIO DEGLI ETRUSCHIPALEONTOLOGIA
IL MISTERO DELLE TORRI SEGRETE DELL'HIMALAYAARCHEOLOGIA BIBLICA
UNO SCAVO ILLEGALE SCOPRE UN TEMPIO DI THUTMOSE IIIPALEONTOLOGIA
LA BUFALA CHE GESU' FU PADRE E MARITOPALEONTOLOGIA
IL "SEME MAGNETICO" CHE DIEDE VIA ALLA VITA VEGETALE SULLA TERRAPALEONTOLOGIA
TRAPPOLE PER DEMONI SCOPERTE IN INGHILTERRA