

La scienza o la conoscenza segue i "corsi e ricorsi storici"? Analizzando alcuni reperti archeologici la risposta sembra affermativa. è lo studio degli Ooparts (Out of Place Artifacts) in grado di aprire nuove ipotesi sul percorso della scienza umana
'Nihil sub sole novum', nulla di nuovo sotto il sole, recita l'Ecclesiaste
(I,10) e forse aveva ragione! Proprio parafrasando il sempre attuale
detto, ho voluto intitolare questo breve excursus storico tra scoperte
e ri-scoperte, invenzioni e re-invenzioni. Le 'scoperte' e le 'invenzioni'
che hanno tracciato la storia dell'Umanità, apparse in tempi da
noi lontani, sono poi cadute nell'oblio per riapparire in tempi
più propizi al loro diffondersi?
Lo spunto me lo ha dato una recente conferenza del professor Luis
Godart a Villa Mondragone (Frascati) in occasione del recente Convegno
'Scienza e Società', organizzato dall'Università di Roma - Tor Vergata,
dal CNR italiano e dal CNRS francese. Godart ha esposto diacronicamente
(l'analisi dei fatti nel loro svolgersi temporale N.d.R.) lo sviluppo
della 'scrittura', dai primi, affascinanti tentativi di 'imprimere'
il pensiero umano nella 'materia' (ad esempio, le tavolette d'argilla
di Ebla) fino all'invenzione della stampa a 'caratteri mobili' (
metà del XV secolo).
Ma quel che mi ha colpito maggiormente è stata l'osservazione che,
da quello che possiamo considerare il primo vero esempio di 'stampa
a caratteri mobili', il celeberrimo 'Disco di Festo' (XVII secolo
a.C.), a Giovanni Gutenberg, al secolo Johann Gensfleisch da Magonza
c'è un abisso temporale di circa trenta secoli!
Perchè un'idea apparentemente molto semplice come quella della stampa
a caratteri mobili utilizzata da qualche ignoto scriba nell'isola
di Creta per realizzare l'ancor misterioso 'Disco di Festo' ( datato
al XVII secolo a.C.) mediante una serie di diversi punzoni metallici
(probabilmente in oro, secondo l'opinione del professor Godart)
ha dovuto attendere altri trenta secoli circa per essere re-inventata,
a metà del XV secolo della nostra Era?
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Il Dott. Roberto Volterri mostra una copia a grandezza
naturale del Disco di Festo (XVII secolo a.C.), considerato
come uno dei primi esempi di 'stampa a caratteri mobili'. L'originale
è conservato nella Vetrina 41 della Sala III, presso il Museo
Archeologico di Iraklion (Creta). I vari simboli venivano, infatti,
impressi - uno ad uno - nell'argilla ancora plasmabile mediante
punzoni metallici, come, circa trenta secoli più tardi, fece
Gutemberg componendo le parole da stampare con le singole lettere
di metallo. (Foto R.Volterri) |
La bussola è cinese?
Pertanto, analizzerò, caso per caso, 'anacronistiche' invenzioni,
scoperte scientifiche aventi una paternità ben diversa da quella
ufficialmente attribuitagli dalla Storia della Scienza, reperti
archeologici che, a seguito di approfondite analisi hanno mostrato
la possibilità che in antico erano note tecniche, riscoperte in
tempi a noi molto più vicini.
Per orientarci nell'affascinante mondo degli oggetti 'impossibili'
o, quantomeno 'anacronistici', cominciamo proprio dalla... bussola.
La nascita' della bussola, o almeno di un oggetto in grado di indicare
sempre il nord magnetico, si fa usualmente risalire ai 'soliti'
cinesi. Secondo antiche cronache, fu l'imperatore Huang-ti, nel
2634 a.C., a far munire il suo regale carro di un dispositivo in
grado di indicare sempre la direzione nord-sud, ma questa è leggenda.
Appena più credibile è ritenere che essi usassero, fin dal X secolo
a.C., lo Ien-nan o Chin-nan, cioè l'indicatore del Sud.
Notizie più attendibili si hanno se ci spostiamo in avanti di molti
secoli e arriviamo all'XI secolo della nostra Era, con una pubblicazione,
ovviamente ancora in cinese, intitolata 'P'ing-chou-k'o-t'an'.
Altre indicazioni sull'uso, se non proprio sull'invenzione, della
bussola le troviamo tra gli arabi: lo scrittore Mohammed al-Awfi
narrò, in una raccolta di aneddoti persiani, pubblicata nel 1232,
l'uso di uno strumento molto simile all'attuale strumento. Un altro
scrittore arabo, Bailak Kibdjaki, nel suo 'Tesoro dei Mercanti',
scritto nel 1282, descrisse uno strumento realizzato con un ago
magnetizzato, a forma di pesce, fissato su un supporto ligneo galleggiante
in un piccolo contenitore d'acqua, in uso sull'imbarcazione con
cui, circa quarant'anni prima, aveva effettuato il viaggio da Tripoli
ad Alessandria.
Per ulteriori notizie certe dobbiamo spostarci nell'Europa del nord,
ove troviamo gli scritti di Styrmir Kàrason (morto nel 1245), di
Hurla Thordson (morto nel 1284) e di Haukr Erlendsson con il suo
'Land-nàmabòk' risalente al 1300,
In definitiva, a parte le leggende che fanno risalire alla protostoria
cinese gran parte delle invenzioni realizzate in antico (dalla polvere
da sparo ai razzi fino alla bussola), quel che c'è di sicuro è che
la data di nascita 'ufficiale' dell'invenzione di questo importantissimo
strumento oscilla, realisticamente, tra la Cina dell'XII secolo,
l'Arabia e la Scandinavia del XIII secolo. Ma le cose stanno proprio
così ?
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Ricostruzione della 'Bussola-Caduceo' secondo Pincherle (vista
in sezione). L'asse (A), il calamo, è tenuto sempre in posizione verticale
- indipendentemente dal 'rollìo' e dal 'beccheggio' della
nave - poiché esso è fissato al disco di cuoio (B),
montato su un pozzetto praticato sulla tolda della nave ed è
munito di un contrappeso indicato con (C).
A sinistra in basso è illustrata la parte prodiera di una
pentera di linea cartaginese del III secolo a.C. ove avrebbe potuto
essere installata la 'Bussola-Caduceo'. (Foto Mario Pincherle; Rielaborazione R.Volterri) |
La bussola-caduceo
Secondo l'amico ingegner Mario Pincherle, già dal III secolo a.C.
esistevano tutte le premesse scientifiche per far fronte a gran
parte dei problemi della navigazione marittima mediante ausili di
natura tecnica, indipendentemente quindi da quelli basati sulle
conoscenze astronomiche, già affrontati da Eratostene.
Probabilmente, però, tali invenzioni, forse attribuibili in primis
ai Fenici, erano 'emigrate' verso l'estremo oriente e non avevano
influenzato affatto, almeno sul piano pratico, la cultura greca
che ne aveva serbato il ricordo solo sul piano iconografico.
In vasi attici, ma in moltissime altre raffigurazioni sia vascolari
che parietali ritroviamo, ad esempio, il cosiddetto 'Caduceo'.
Vediamo come collegare questo simbolo, emblema dell'armonia cosmica
che nasce dall'equilibrio degli opposti, con le antiche tecnologie
e con le re-invenzioni e le ri-scoperte.
L'origine del simbolo lo fa risalire al mito di Ermes (il dio Mercurio
dei Romani), figlio di Zeus e della ninfa Maia, il quale, sul monte
Citerone, si imbattè in due serpenti che combattevano tra di loro.
Quando Ermes, per porre fine alla lotta, gettò tra i due contendenti
la verga d'oro regalatagli da Apollo, i due rettili vi si attorcigliarono
immobilizzandosi: era nato il Caduceo, successivamente ornato con
le ali dei calzari del dio greco. Il simbolo sembra però essere
molto antico, dato che lo troviamo in India su tavole di pietra
chiamate nâgakals (da Naga, "serpente"), utilizzate come ex-voto
all'ingresso dei templi. Lo troviamo anche tra le popolazioni che
abitavano le rive del Nilo, associato al dio Anubi, come nella statua,
datata al 30 a.C., conservata nella sezione egizia dei Musei Vaticani.
Alcuni autori, Erich Zimmer per esempio, lo ritengono invece originario
della Mesopotamia, dato che viene ritrovato disegnato sulla coppa
sacrificale del re Gudea di Lagash, vissuto nel III millennio a.C.
Ma, al di là delle sue origini più o meno remote e più o meno certe,
quel ci interessa è la possibile sua interpretazione come strumento
di navigazione, come vera e propria bussola ante litteram.
In una stele di Cartagine, ad esempio, troviamo il Caduceo come
vero e proprio strumento di navigazione montato a prua di una nave
punica. Dalla struttura della nave raffigurata sembra poter dedurre
che essa è databile tra il V e il IV secolo a.C, avendo la prua
ricurva in avanti e il ponte molto alto, come nelle navi di quel
periodo. Il rostro posto davanti ai paramezzali farebbe poi pensare
ad una vera e propria trireme da guerra.
Ma quel che più ci interessa è la 'sfera' sormontata da una sorta
di 'corna' e munita di due 'nastri ' fluttuanti al vento.
Ebbene, secondo l'interessante ipotesi avanzata da Pincherle, la
'sfera' rappresentava un sensibilissimo 'giunto girevole' che permetteva
la rotazione dell'elemento magnetico della bussola, una vera e propria
'calamita', le cui 'espansioni polari' erano raffigurate appunto
come 'corna'. E i 'nastri', quale funzione avevano ?
La sfera munita dell'elemento sensibile al campo magnetico terrestre
poteva, sotto l'effetto del vento, trascinare in deriva di qualche
grado la bussola ma veniva riportata nella corretta posizione proprio
grazie ai due nastri avvolti a spirale sul calamo, l'asse meccanico
della bussola, che agivano come molla di ritorno.
é molto probabile che al loro lunghezza dovesse essere tarata a
seconda delle specifiche esigenze e della forza del vento: quel
che è fuor di dubbio è che essi, mossi dalla brezza marina, dovevano
sembrare due serpentelli attorcigliati. Ecco, quindi, la classica
raffigurazione del Caduceo!
Ma gli 'anacronismi' relativi all'antica invenzione della 'bussola'non
fiscono qui: essa era in grado di operare anche sotto l'effetto
del 'rollio' e del 'beccheggio' della nave. Secondo Pincherle, sulla
tolda delle navi c'era infatti una specie di pozzetto ricoperto
da un disco di cuoio che supportava il calamo, cioè l'albero munito
di contrappeso che aveva il compito di mantenere sempre verticale
la bussola.
Era una sorta di 'giunto cardanico' ante litteram, grazie al quale
la bussola poteva funzionare perfettamente anche con il piano di
coperta della nave inclinato!
Poi, come tanti altri frutti dell'umano ingegno, la 'bussola-caduceo'
scomparve,
forse anche dalla memoria storica, proprio con l'incendio di Cartagine
del 146 a.C.
Quindi al buon Flavio Gioia, amalfitano, ma della cui esistenza
reale qualcuno dubita, dobbiamo al massimo la re-invenzione della
bussola o, più verosimilmente, l'introduzione del suo uso in area
tirrenica. E tutto ciò soltanto nel 1302 (secondo altri nel 1309),
ben diciassette secoli dopo i geniali inventori e navigatori fenici
!
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Pavimento in cocciopisto e tessere di marmo a Kerkouane (Capo Bon-Africa
settentrionale). Appare ben chiaro, sul mosaico, il 'segno di Tanit',
interpretabile anche come simbolo dell'Alidada, strumento di navigazione
installato sulle navi fenicio-puniche. In alto a sinistra è
rappresentata la ricostruzione di come avrebbe potuto essere realizzata
l'Alidada. La struttura conica (A) era imperniata sull'asse (B)
fissato alla base graduata (C). Traguardando attraverso la struttura
ad 'U', indicata con (D) si effettuavano, verosimilmente, le osservazioni
sulla posizione della nave, similmente a quanto, molti secoli dopo,
si fece con il Sestante. (Elaborazione ©R.Volterri) |
L'Alidada, sestante fenicio
Per completare il panorama delle (quasi) impossibili invenzioni
fenicio-puniche non si può non ricordare l'Alidada.
Precursore dell'attuale sestante (una re-invenzione, quindi ?) l'alidada
(al-'idada) è raffigurata nella cosiddetta 'Stele di Lilibeo'
(III secolo a.C.), conservata presso il Museo Nazionale di Palermo,
ove è raffigurata anche la 'bussola-caduceo'.
Dall'archeologia, l'alidada (o, meglio, il suo simbolo) viene interpretata
a volte come 'incensiere' (A.M. Bisi, La cultura artistica di Lilibeo,
Oriens Antiquus 1968) o, più spesso, come 'segno di Tanit'
e intesa come "...sviluppo del segno egiziano della vita, l'ankh...",
ma anche come "...combinazione del betilo o pilastro sacro
e del simbolo solare, divisi eventualmente da una falce..."
(E.Acquaro, Cartagine: un impero nel Mediterraneo, 1979 ).
Visto con occhio più "tecnologico" il simbolo ci
ricondurrebbe ad uno strumento costituito da un cono girevole, imperniato
su un asse solidale con un disco fisso 'azimutale', graduato. Sul
vertice del cono era imperniata un'asticciola orientabile a mano,
munita, verosimilmente, di due fessure traguardabili. Non ci sono,
naturalmente, arrivate indicazioni su come veniva esattamente utilizzato
lo strumento, ma è probabile che l'impiego potesse essere
abbastanza simile a quello del moderno sestante.
Basandomi su alcuni disegni pubblicati da B.Frau del G.A.R. negli
anni '80, ho tentato di ricostruire l'Alidada, che appare indubbiamente
molto simile al 'simbolo di Tanit', e ho rielaborato anche alcune
interessanti ricostruzioni dell'amico Pincherle. Dobbiamo quindi
rileggere, con occhio più attento, più disincantato e 'tecnologico'
molte raffigurazioni del passato, forse troppo spesso interpretate
in chiave unicamente artistica o religiosa?
Il Meccanismo di Antikythera
Tra i corsi e i ricorsi della genialità umana troviamo un altro
celeberrimo anacronistico strumento: il Meccanismo di Antikythera.
Correva l'anno 1900, quando un peschereccio in difficoltà si rifugiò
presso le coste dell'isolotto di Antikythera, nel Mare Egeo. Passata
la tempesta, la mattina successiva, i pescatori si tuffarono verso
i fondali alla ricerca di spugne ma rinvennero, a settanta metri
di profondità, il relitto di una nave antica totalmente ricoperta
di alghe e incrostazioni.
All'interno del relitto trovarono statue di marmo e di bronzo, anfore
e altri reperti di valore ma anche uno strano oggetto totalmente
ricoperto di concrezioni. Superato il rischio di venire nuovamente
gettato in mare, dato che non assomigliava a nessun oggetto di valore
(almeno secondo i fortunati marinai) il reperto venne successivamente
ripulito e studiato da Derek De Solla Price, professore di Storia
della Scienza presso la Yale University, dall'archeologo Valerios
Stais e dagli epigrafisti Merrit e Stamires.
Si scoprì che si trattava di un complessso meccanismo, molto avanti
sui tempi, riportante anche alcune iscrizioni che facevano riferimento
al 'Calendario di Rodi' (del 77 a.C.). Vi appaiono il Sole, Venere,
le stagioni, il calendario lunare e altri dettagli di difficile
individuazione a causa della corrosione operata dall'acqua di mare.
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Una stupenda e precisa ricostruzione del complesso 'computer' ante litteram. |
Costruito nel I secolo a.C. (verosimilmente tra l'82 e il 65 a.C.),
il 'Meccanismo di Antikythera' appare, soprattutto ai raggi X, costituito
da un treno di ingranaggi in bronzo a denti triangolari, racchiusi
in un contenitore in legno che fungeva da telaio e su cui erano
fissati i quadranti anteriori e posteriori. Il complesso rotismo
era azionato da una manovella e veniva utilizzato sia come strumento
per la navigazione sia come mezzo per indagini astronomiche. Quando
veniva azionata la manovella il rotismo descriveva il moto del Sole
e della Luna attraverso le costellazioni dello Zodiaco, la durata
del mese sinodico e la durata dell'anno lunare.
Ma cosa distingue il Meccanismo di Antikythera da altre invenzioni
più o meno coeve?
Sicuramente il fatto che esso contiene delle soluzioni tecniche
(troppo?) all'avanguardia, come l'utilizzo di una ruota a doppia
dentatura (con 192 e 222 denti), ma soprattutto l'impiego del rotismo
differenziale: per capire l'importanza di questa affermazione bisogna
sapere che per re-inventare un rotismo differenziale fu necessario
attendere fino al 1575!
Vediamo, anche se brevemente, parte del funzionamento dell'anacronistico
strumento, facendo appunto riferimento a tali ricostruzioni e all'analisi
del meccanismo effettuata nel 1959 da De Solla Price.
In base al layout del Meccanismo, sembra molto verosimile, data
la sua robustezza e la sua ubicazione, che la ruota indicata con
B1, avente 225 denti, costituisse la 'ruota guida' di tutto il treno
di ingranaggi. Inoltre supponendo una rotazione annuale di questa
ruota, si sarebbero ottenuti dei rapporti di trasmissione, in uscita,
in stretta relazione con le posizioni del Sole e della Luna nelle
varie costellazioni e indicazioni sul moto del nostro satellite.
Lo strumento presentava una manovella solidale con una ruota da
45 denti: erano quindi necessari cinque giri affinchè la ruota B1
compisse una rotazione completa (45x5=225). Si potrebbe dedurre
che il quadrante relativo a questa manovella fosse suddiviso in
73 parti in modo da identificare i giorni dell''anno (5x73= 365).
Una serie di ipotesi sono state effettuate anche sulle parti mancanti
: considerando le conoscenze astronomiche di popoli occupanti zone
limitrofe a quelle del ritrovamento si potrebbe ragionevolmente
supporre che in quadranti mancanti fossero racchiuse informazioni
riguardanti il moto di Marte, di Giove e di Venere oppure, verosimilmente,
dati relativi al periodo di 18 anni e 11 giorni (223 lunazioni)
caratteristici del ciclo delle eclissi.
Era un orologio astronomico ? Si trattava di una sorta di 'computer
meccanico' ante litteram ? Era sicuramente frutto di conoscenze
tecniche che suggerirono al professor De Solla Price di affermare
che "... fu quasi sconvolgente scoprire che, poco prima del tramonto
della civiltà ellenica, gli antichi greci si erano avvicinati tanto
a noi, e non solo per il pensiero, ma anche per la tecnologia e
la scienza. In ogni caso dopo la scoperta della macchina di Antikythera,
dobbiamo rivedere le nostre convinzioni per quanto riguarda la storia
della scienza...".
Il perché di un'amnesia
Eh sì, la Storia della Scienza appare costellata da vichiani
corsi e ricorsi storici, da un alternarsi di geniali invenzioni
e scomparsa delle stesse a seguito di eventi bellici, del mutare
del livello economico e di prosperità delle genti che a quelle
invenzioni avevano dato vita o, più semplicemente, dal mutare
di usi, costumi e pratiche necessità. Forse la spiegazione
più ovvia, quasi banale, consiste nel fatto che la mancanza
d'uso... cancella il ricordo.
Chi di voi saprebbe ancora eseguire, con carta e penna, una qualsiasi
'radice quadrata', dopo l'avvento delle calcolatrici digitali che
forniscono il risultato premendo un semplice tasto? Chi saprà
costruire, fra qualche decennio, la rudimentale, semplicissima 'radio
a galena ' che fece compagnia ai nostri nonni?
Forse nessuno, per il semplice motivo che non ne abbiamo, e neppure
ne avremo, necessità! Salvo ricorrere ai testi che ne descrivevano
la realizzazione e l'uso. Ma, in antico (e non solo!) intervenne
l'incendio della Biblioteca di Alessandria...
Solo il nuovo insorgere delle medesime necessità, in concomitanza
con il nascere di geniali individui in grado di cogliere i rapporti
tra fenomeni apparentemente non correlati, dettero (e daranno) origine
alle stesse invenzioni o alle medesime scoperte avvenute secoli
o millenni fa...
La bussola degli Olmechi
Anche gli Olmechi, con grande probabilità possedevano delle
bussole rudimentali. Frammenti metallici trovati in alcuni tumuli
olmechi nei pressi di Vera Cruz, in Messico, presentano caratteristiche
magnetiche. Si ipotizza che fungessero da bussola, galleggiando
sull'acqua o sul mercurio, ottenuto scaldando il cinabro. Una volta
in grado di funzionare puntavano i 35.5° a ovest del Nord magnetico.
La presenza di questa tecnologia rudimentale anticipa di ben 1000
anni le scoperte cinesi ed è forse contemporanea delle strumentazioni
fenicie discusse in quest'articolo. Si ricorda che gli Olmechi (cfr.
HERA 7/8 - 9) sono il primo popolo culturalmente avanzato in America
secondo la cronologia ufficiale (II millennio a.C.).
L'articolo è tratto da "Hera" numero 13 del Gennaio 2001. Riproduzione
autorizzata e limitata a questa occasione.
di Roberto Volterri
heramagazine@heramagazine.net
http://utenti.lycos.it/volterriroberto/




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