Anche per l'Italia, sebbene con un certo ritardo rispetto alla lunga
tradizione centro e nord - europea, la sperimentazione in archeologia,
soprattutto quella preprotostorica, non è un tema nuovo,
ma è altresì diffusa la sensazione che a fronte di
molte singole esperienze, manchi un quadro generale di riferimento.
Come si qualifica l'archeologia sperimentale nell'ambito delle scienze
dell'antichità? Con quali ambiti disciplinari confina e interagisce?
Cosa si sperimenta e per chi? Infine chi sono (o chi devono essere)
i soggetti in campo: archeologi, "archeotecnici", operatori
non altrimenti qualificati?
L'Ufficio Beni Archeologici della Provincia Autonoma di Trento,
già da tempo operante in tale settore, ha preso spunto da
queste domande per dar vita ad un incontro di studio della cui organizzazione
si è fatto carico Paolo Bellintani, funzionario dell'Ufficio,
in collaborazione con Giorgio Cheliodonio, sperimentalista in ambito
litotecnico da oltre vent'anni.
Il titolo "Archeologie sperimentali" indica uno stato
di fatto: la pluralità, in senso quantitativo e qualitativo,
delle esperienze presenti in Italia negli ultimi anni. Manca invece
un dibattito scientifico non episodico, situazione che ha, tra le
varie conseguenze, anche quella di ingenerare fraintendimenti e
confusioni, soprattutto nel momento in cui la richiesta di questo
tipo di attività nel campo della divulgazione (scuole, musei
e ora anche parchi archeologici) sta divenendo consistente. Con
queste riflessioni, pertanto, ci si è rivolti ad un'ampia
schiera di protagonisti del settore, cercando di definire i diversi
possibili approcci al tema proposto ossia, come recita il sottotitolo
del convegno, "metodologie ed esperienze fra verifica, riproduzione,
comunicazione e simulazione".
Ne è emerso un quadro sostanzialmente positivo e per molti
versi inaspettato. Innanzitutto la partecipazione: circa 250 persone
tra addetti ai lavori (colleghi di Soprintendenze, Musei e Università),
insegnanti ed infine giovani neo-laureati e laureandi già
attivi in questo settore.
L'impressione complessiva è che l'archeologia sperimentale
sia oggi un tema "caldo" non solo per chi guarda in direzione
di un approccio sistemico alla conoscenza del passato, ma anche
per chi, a vari livelli, ha responsabilità nel campo della
valorizzazione del patrimonio archeologico. Ci si riferisce in particolare
alla tematica dei parchi archeologici che, come sancito anche dalla
vigente normativa, necessitano di un impegno e di un'offerta superiori
rispetto alle tradizionali proposte di musealizzazione di aree di
interesse archeologico. La sperimentazione, soprattutto dove la
necessità di "ri-costruire" è maggiore,
offre una consistente e imprescindibile banca - dati che integra
e supera i tradizionali apparati della didattica museale.
Nei prossimi anni il Trentino vedrà la realizzazione di iniziative
di valorizzazione e tutela di importanti aree archeologiche quali
l'abitato di Sanzeno (Val di Non), l'area fusoria del Passo Redebus
(Valle del Fersina - Altopiano di Pinè), il sito pluristratificato
di Monte San Martino (Tenno - Riva del Garda) ecc. La proposta di
un convegno di archeologia sperimentale è nata come iniziativa
collaterale e di supporto ad uno di questi progetti: il parco archeologico
di Fiavè, che sarà realizzato presso l'area di scavo
delle ormai ben note palafitte dell'ex lago Carera. Grazie alla
pubblicazione integrale dei dati di scavo, nel 1988 veniva avviato
il "Progetto per la valorizzazione della Torbiera e delle palafitte
di Fiavè". Il progetto, ad opera dei Servizi Beni Culturali,
Parchi e Foreste ed Urbanistica dell'Amministrazione provinciale
di Trento, prevede la realizzazione di un parco nella torbiera e
di un centro museale nel paese di Fiavè. Nel corso degli
anni '90 sono stati acquisiti al demanio pubblico da un lato più
di 30 ettari di torbiera, nel cui ambito è stato creato un
itinerario di visita attrezzato, e dall'altro, nel centro del paese,
la cinquecentesca "Casa Carli", futura sede museale. Nel
contempo, da parte dello Studio di architettura del paesaggio degli
architetti Ferrara di Firenze, è già stato elaborato
il progetto di massima del parco che coniuga le esigenze dei servizi
offerti al pubblico con le necessità di conservazione e tutela
del biotopo e dell'area archeologica.
La sperimentazione non riguarderà soltanto la fase di "ri-creazione"
del sito palafitticolo,
ma la vita stessa del parco. Come avvenuto con questo convegno,
sarà infatti possibile realizzare una proficua sinergia tra
incontri mirati ad attività di ricerca sperimentale e divulgazione
scientifica. In diretta relazione con il sito archeologico ospitante,
la tematica del legno sarà certamente una delle linee di
ricerca principali, anche sulla scorta di quanto già acquisito
grazie alle analisi sulle essenze vegetali, alle sperimentazioni
eseguite e presentate al pubblico in occasione della mostra "Archeologia
del legno" (Trento 1988) e alle esperienze svolte e in corso,
da parte del nostro Laboratorio di restauro, nel settore della conservazione
e del restauro dei materiali organici. Inoltre il futuro parco potrà
assumere un ruolo centrale nell'ambito di sistemi museali del tipo
"museo diffuso", in collegamento con altre emergenze storico
- archeologiche e ambientali del territorio, nonché con altri
ambiti di possibile sperimentazione relativi a situazioni cronologicamente
più vicine: dall'età romana a quella pre - industriale.
Ci sembra doveroso ringraziare, anche a nome dei curatori del Convegno,
quanti hanno permesso la buona riuscita di questa iniziativa. Innanzitutto
i relatori (in particolare gli ospiti stranieri) e le Amministrazioni
che assieme e noi hanno collaborato all'organizzazione del Convegno:
il Comune di Fiavè e l'Azienda di Promozione
Turistica di Comano Terme - Dolomiti di Brenta. Di quest'ultima
è giusto sottolineare il costante impegno, in questa come
anche in altre comuni iniziative, di Alessandra Odorizzi e Emilia
Manfredini.
Nella stessa Amministrazione Provinciale diversi altri Servizi sono
stati coinvolti a vario titolo e senza il loro appoggio l'iniziativa
non sarebbe stata possibile: il Servizio Attività Culturali
(per le riprese video curate da Luciano Rizzi e dai colleghi del
Centro Audiovisivi); il Servizio Parchi e Foreste Demaniali (competente
per il biotopo di Fiavè); il Servizio Prevenzione e Calamità
Pubbliche (che ha messo a disposizione le strutture per l'attività
"sul campo" a Fiavè); il Servizio Relazioni Esterne
(per i servizi di traduzione ed interpretariato); il Castello del
Buonconsiglio - Monumenti e Collezioni Provinciali (in particolare
il Direttore Franco Marzatico che ha guidato i convegnisti alla
visita del Castello di Stenico).
Il Museo Civico di Rovereto ha reso disponibili i filmati della
cineteca del suo film festival per i quali in particolare ringraziamo,
oltre al direttore Franco Finotti, il responsabile della cineteca
Dario Di Blasi.
Gianni Ciurletti
Direttore dell'Ufficio Beni Archeologici
La sperimentazione nella ricerca archeologica: lo stato dell'arte
in Italia
Un'occhiata ad internet, tramite un buon portale, è senza
dubbio il modo più veloce per rendersi conto di cosa comunemente
si intenda oggi, in Italia, quando si parla di "archeologia
sperimentale". Sono decine e decine i siti in cui viene usata
questa definizione. In molti casi non si tratta di siti specificamente
dedicati all'argomento ma, ad esempio, di proposte riferibili al
cosiddetto "eco-archeo-turismo", oppure di laboratori
e centri didattici, talvolta collegati ad istituzioni museali o
a parchi "archeologici" (spesso più correttamente
definibili come "tematici").
Paradossalmente sono invece assai rari i casi di istituzioni dedicate,
in tutto o in parte, alla ricerca, per cui viene da chiedersi che
cosa realmente venga divulgato se la ricerca sperimentale è
talmente sottodimensionata rispetto all'offerta divulgativa.
C'è un equivoco di fondo e il tentativo di chiarimento che
è emerso in diverse relazioni della sessione del convegno
dedicata alla ricerca, è probabilmente uno dei suoi meriti
principali. "Sperimentare" non significa solamente riprodurre
qualcosa con modalità coerenti con quanto sappiamo (o supponiamo)
della tecnologia antica. Si tratta piuttosto del sottoporre a concreti
test di verifica le catene operazionali desunte attraverso l'indagine
del record archeologico ed in particolare delle tracce che in esso
sono state riconosciute come "spie" di azioni, processi,
comportamenti. Tali "spie", ovvero, parafrasando Carlo
Ginzburg, le radici di quel paradigma indiziario che è fondamento
del metodo storico, sono di norma valutate speculativamente nei
loro aspetti formali e simbolici (archeologia), e talvolta in senso
quantitativo nella loro intrinseca natura fisica (archeometria).
La sperimentazione ha invece come obiettivo quello di contribuire
ad una valutazione qualitativa e quantitativa del record archeologico,
tramite la riproduzione di comportamenti il cui esito finale siano
non
solo e non tanto i "ri-prodotti", ma le "spie",
i residui post - deposizionali dell'agire umano, che andranno confrontati
e commisurati alle tracce rinvenute nei contesti di scavo o sull'oggetto
antico (gli indicatori archeologici). In questo senso la sperimentazione
agisce in parallelo e in stretta connessione con l'etnoarcheologia
che osserva e registra in modo analogo (ma "sul vivo")
i processi comportamentali e i loro esiti; richiede l'ausilio di
tecniche archeometriche per operare sulla base di parametri equiparabili
a quelli usati sui depositi e sui materiali archeologici; propone
interpretazioni, soprattutto nell'ambito di comportamenti qualificabili
come "utilitaristici".
Se questo, nella sostanza, può dirsi un punto acquisito (quantomeno
sul piano delle potenzialità, più che della prassi)
molte altre sono state le domande a cui un convegno volutamente
"generalista" non poteva rispondere esaurientemente. Ci
si è chiesti, cioè, se l'archeologia sperimentale
possa effettivamente essere definita come un ambito disciplinare,
ovvero quali sono i protocolli procedurali seguiti nelle esperienze
fino ad oggi realizzate, quali sono i principi teorici che sostengono
i metodi impiegati, quale è il "luogo" dove tali
esperienze, metodi e principi vengono discussi ed infine se esiste
una comunità scientifica che vi si dedichi in modo non episodico.
Ciò che è emerso nel corso del convegno è che
l'archeologia italiana vive nell'archeologia
sperimentale una delle sue molte contraddizioni. Abbiamo, e non
da ieri, sperimentalisti di valore internazionale, ma la maggior
parte delle iniziative sono ancora affidate alla buona volontà
e all'esperienza dei singoli, e le pratiche sperimentali stentano
ancora a trovare uno spazio istituzionale nel mondo accademico e
nella didattica universitaria.
Vi sono eccezioni (Università di Roma, Ferrara, Siena) non
a caso accomunate dal medesimo campo di indagine, le industrie litiche,
che più di altri settori può contare su una tradizione
che fonda le sue radici nella ricerca funzionalista. Da questa più
lunga esperienza deriva un altro importante correlato, l'esistenza
di un dibattito formalizzato che, anche se in maniera episodica
e in spazi e luoghi non specificamente deputati (almeno in Italia)
ha permesso la crescita professionale di giovani ricercatori e la
disseminazione di risultati e soprattutto di nuovi approcci analitici.
Al contrario, lo scenario si fa più rarefatto mano a mano
che il campo di indagine si allarga alla molteplicità degli
aspetti tecnologici di epoche più recenti (dalle società
protostoriche in avanti). Non che si tratti di un numero troppo
esiguo di esperienze, né tanto meno di basso livello qualitativo.
Si tratta piuttosto della loro collocazione, spesso marginale nell'ambito
di pubblicazioni o manifestazioni incentrate su altri aspetti della
ricerca archeologica, che ne fa delle esperienze in certa misura
isolate, talvolta autoreferenziali. E' forse questa l'emergenza
che più è stata sottolineata nel corso di un dibattito
svoltosi, come spesso accade, più "dietro le quinte"
che in sala. Certo mancano, come sempre, "soldi e soldati",
ma mancano soprattutto le occasioni di confronto, e conseguentemente
delle banche - dati facilmente accessibili. Il salto di qualità
starebbe soprattutto nella possibilità di programmare la
ricerca e non solo di intervenire "a corollario", sulla
scorta del modus operandi delle vecchie "discipline ausiliarie"
(soprattutto quelle archeometriche) che ora anche nel nostro paese
stanno assumendo un proprio statuto ed una maggiore capacità
di porsi su un piano realmente interdisciplinare.
Si è discusso anche alla luce di alcune significative esperienze
straniere (francesi, tedesche, svizzere ma anche statunitensi) incentrate
soprattutto sulla tematica dei parchi archeologici. Si è
potuto verificare che anche in Italia esistono realtà che
nulla hanno da invidiare ai più famosi esempi d'oltralpe.
Piuttosto la più lunga esperienza di molti paesi europei
ha permesso di mettere a fuoco un fenomeno che da noi ancora si
coglie poco, ovvero quello della sempre più prevalente tendenza
"commerciale" di molte istituzioni nate a scopo di ricerca
e divulgazione scientifica. Non volendo entrare qui nello specifico
di questa tematica, ci limitiamo a sottolineare uno dei punti emersi
nel corso del convegno, ovvero che anche nel caso dei parchi archeologici
vale il principio che la valorizzazione passa di necessità
attraverso la ricerca e che questi nuovi luoghi della divulgazione
archeologica devono essere anche centri promotori di dibattito scientifico.
di Paolo Bellintani
paolo.bellintani@provincia.tn.it
di Michael A. Cremo, Richard L. Thompson2. Archeologia Misterica
di Luc Bürgin3. Archeologia dell'impossibile
di Volterri Roberto4. Archeologia eretica
di Luc Bürgin5. Il libro degli antichi misteri
di Reinhard Habeck6. Rennes-le-Château e il mistero dell'abbazia di Carol
di Roberto Volterri, Alessandro Piana7. Il mistero delle piramidi lombarde
di Vincenzo Di Gregorio8. Le dee viventi
di Marija Gimbutas9. Come ho trovato l'arca di Noè
di Angelo Palego10. Navi e marinai dell'antichità
di Lionel Casson
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