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26 Febbraio 2003 MISTERO
Felice Vinci
Omero nel Baltico
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Già gli studiosi dell'antichità avevano notato che la geografia omerica presentava enormi incongruenze rispetto alla realtà del mondo greco-mediterraneo. Ma la geografia omerica è stata motivo di perplessità anche in tempi molto più recenti, allorché la decifrazione della scrittura micenea, la cosiddetta "lineare B", graffita sulle tavolette provenienti da Cnosso, Pilo e a Micene, ha permesso di confrontare il mondo di cui esse erano espressione con la realtà descritta nei due poemi. Ne è emersa, come rileva il prof. Moses Finley, "la completa mancanza di contatto tra la geografia micenea come ora la conosciamo dalle tavolette e dall'archeologia, da una parte, ed i racconti omerici dall'altra".
A questo fanno riscontro le evidenze archeologiche a favore della possibilità che la civiltà micenea abbia avuto un'origine nordica: al riguardo, il prof. Martin P. Nilsson enumera vari significativi indizi, quali la presenza, nelle più antiche tombe micenee, di grandi quantità di ambra baltica (che invece scarseggia sia nelle sepolture più recenti, sia in quelle minoiche a Creta), l'impronta prettamente nordica della loro architettura (il "megaron" miceneo "è identico alla sala degli antichi re scandinavi"), l'"impressionante somiglianza" di alcune lastre di pietra provenienti da una tomba di Dendra "con i menhir conosciuti dall'età del bronzo dell'Europa centrale", i crani di tipo nordico trovati nella necropoli di Kalkani e così via. D'altronde, archeologi come Geoffrey Bibby e filosofi come Bertrand Russell considerano probabile il fatto che la civiltà micenea abbia tratto origine dai "biondi invasori nordici che portavano con loro la lingua greca" (Russell).
A sua volta il prof. Klavs Randsborg mette in rilievo che certi reperti dell'archeologia scandinava, ed in particolare le figure incise sulle lastre del tumulo di Kivik, nella Svezia meridionale, presentano rimarchevoli affinità con i modelli dell'arte egea, al punto da indurre qualche studioso del passato a ipotizzare che quel monumento fosse opera dei Fenici. Ed un altro significativo indizio della presenza degli Achei nel nord dell'Europa, attorno all'inizio del II millennio a.C., è costituito da un graffito di tipo miceneo ritrovato nel complesso megalitico di Stonehenge, nell'Inghilterra meridionale, insieme con altre tracce, riscontrate dagli archeologi sempre nella stessa area ("cultura del Wessex"), di epoca probabilmente precedente all'inizio della civiltà micenea in Grecia.
Insomma, gli studi portati avanti sulla civiltà micenea e sulle sue origini, quali emergono dall'archeologia e dalla decifrazione dei testi riportati sulle tavolette, lungi dal chiarire i suoi rapporti con i due poemi, hanno fatto emergere un quadro complesso, in cui coesistono le divergenze, non soltanto geografiche, tra il mondo miceneo e quello omerico, le corrispondenze di quest'ultimo con l'Europa barbarica dell'età del bronzo (sottolineate con forza dal Prof. Stuart Piggott, grande accademico ed archeologo inglese) ed una serie di indizi sull'origine nordica dei Micenei, a cui fanno riscontro le singolari analogie tra reperti nordici e mediterranei della stessa epoca.
A questo punto, un modo per far "quadrare i conti" potrebbe essere quello di introdurre un ulteriore tassello: la verifica dell'eventuale coincidenza della geografia omerica, così problematica rispetto al contesto mediterraneo, con quel mondo nordico da cui potrebbero essere discesi i Micenei allorché si stabilirono in Grecia. Si tratta di una prospettiva che se da un lato è una conseguenza logica del quadro sopra delineato, dall'altro potrebbe consentire a tutti i pezzi sparsi del puzzle di trovare una collocazione logica in una visione d'insieme finalmente chiara e coerente.
Un primo indizio in favore di tale ipotesi si riscontra nella meteorologia dei due poemi: nel mondo cantato da Omero effettivamente si avvertono le asprezze tipiche dei climi nordici. Sui combattenti nella pianura di Troia cala spesso una "fitta nebbia" ed il mare di Ulisse non è quello splendente delle isole greche, ma appare spesso "livido" e "brumoso"; dovunque si riscontra un clima tutt'altro che mediterraneo, con nebbia, vento, freddo, pioggia, neve - quest'ultima anche in pianura e perfino sul mare - mentre il sole, e soprattutto il caldo, sono pressoché assenti. In quello che, secondo la tradizione, dovrebbe essere un torrido bassopiano dell'Anatolia, il tempo è quasi sempre perturbato, al punto che i combattenti, ricoperti di bronzo, arrivano addirittura a invocare il sereno durante la battaglia. D'altronde, a tale contesto è perfettamente adeguato l'abbigliamento dei personaggi omerici, tunica e "folto mantello", che non lasciano mai, neppure durante i banchetti: esso trova un preciso riscontro nei resti di abiti ritrovati nelle tombe danesi dell'età del bronzo.

 Il mondo di Omero e della mitologia greca lungo il Baltico all'inizio del II millennio a.C., ricostruito attraverso le indicazioni geografiche fornite dall'Iliade e dall'Odissea


Inoltre, in tale prospettiva si spiega anche la macroscopica anomalia della grande battaglia che occupa i libri centrali dell'Iliade, con due mezzogiorni e una notte interposta, durante la quale i combattimenti non s'interrompono per il buio, cosa incomprensibile nel mondo mediterraneo: potrebbe invece essere stato il chiarore notturno tipico delle alte latitudini nei giorni attorno al solstizio estivo a far sì che le truppe fresche guidate da Patroclo, entrate in battaglia poco prima del calare di una "notte funesta", continuassero a combattere fino al giorno successivo, senza un attimo di tregua. Questa chiave di lettura consentirebbe di ricostruire tutto lo svolgimento della battaglia in modo perfettamente logico e coerente, senza le perplessità e le forzature delle attuali interpretazioni.
Ed un ulteriore indizio della possibile collocazione nordica della geografia omerica, che costituisce anche la chiave per entrare nel mondo dei due poemi, ce lo fornisce lo scrittore greco Plutarco, il quale in una sua opera, il De facie quae in orbe lunae apparet, fa un'affermazione sorprendente: l'isola Ogigia, dove la dea Calipso trattenne a lungo Ulisse prima di consentirgli il ritorno ad Itaca, era situata nell'Atlantico del nord, "a cinque giorni di navigazione dalla Britannia".
Partendo da questa indicazione e seguendo la rotta verso est, indicata nel V libro dell'Odissea, percorsa da Ulisse dopo la sua partenza dall'isola (identificabile con una delle Färöer, tra le quali si riscontra un nome curiosamente "grecheggiante": Mykines), si riesce subito a localizzare la terra dei Feaci, la Scheria, sulla costa meridionale della Norvegia, in un'area in cui abbondano i reperti dell'età del bronzo. Non solo: da un lato Ulisse nel suo approdo è aiutato dall'inversione della corrente del fiume, evidentemente dovuta all'alta marea - fenomeno comune nei mari nordici, ma pressoché sconosciuto nel Mediterraneo - dall'altro nell'antico nordico "skerja" significava "scoglio". Successivamente, partendo da qui, è possibile localizzare una piccola isola danese, chiamata Lyø, la quale combacia perfettamente con l'Itaca omerica, sia per la topografia che per la posizione geografica rispetto alle isole vicine (tra le quali Langeland, l'"isola lunga", corrisponde alla misteriosa Dulichio omerica, introvabile nel Mediterraneo). Invece l'Itaca del Mar Ionio non ha nulla a che vedere, né per la posizione geografica né per la topografia, con la patria di Ulisse, descritta da Omero in ogni dettaglio.
A questo punto, in un'area ben delimitata nel sud della Finlandia si ritrovano numerosissimi toponimi che ricordano i nomi degli alleati dei troiani (Askainen, Reso, Karjaa e tanti altri) ed un villaggio, Toija, il cui territorio coincide esattamente con la descrizione omerica di Troia (mentre il sito anatolico trovato da Schliemann all'imbocco dei Dardanelli, corrispondente alla Troia greco-romana, dà adito a molte riserve, di cui era al corrente anche l'antico geografo greco Strabone). Addirittura, verso il mare si trova il sito di Aijala, corrispondente alla "spiaggia", "aigialos" in greco, dove gli Achei sbarcarono e costruirono il loro campo fortificato, mentre verso l'interno i toponimi "Tanttala" e "Sipilä" ricordano nomi ben noti della mitologia greca. Ciò coincide col fatto che, secondo Omero, Enea dopo la guerra di Troia non partì per l'Italia (come avrebbe poi affermato Virgilio con la tendenziosa ricostruzione dell'Eneide, mirante a ricondurre l'origine della famiglia dell'imperatore Augusto alla linea dinastica dell'eroe troiano), ma fu il successore del vecchio re Priamo: insomma dopo l'incendio e il saccheggio da parte degli Achei la città fu ricostruita, come d'altronde di norma accade in questi casi. E forse dal nome di Enea, che secondo Omero fu il capostipite di una lunga dinastia, deriva quello di "Aeningia", attestato da Plinio, con cui i Romani conoscevano la Finlandia meridionale.
Nel contempo, la scansione del "Catalogo delle navi" dell'Iliade trova una serie di straordinari riscontri lungo le coste del Baltico, a partire dalla Svezia, dove nel II millennio a.C., in un contesto climatico molto più favorevole di quello attuale, fioriva l'età del bronzo. E' così possibile ricostruire integralmente il mondo descritto da Omero (Tebe, Atene, Tirinto, Aulide, Lemno, Samotracia, Chio, l'Eubea, Creta, Naxos...) - cioè quello dell'età del bronzo nordica, che in effetti nel secondo millennio A.C. ebbe una grande fioritura - eliminando tutte le incongruenze della tradizionale ambientazione mediterranea, quali il "Peloponneso" pianeggiante (che in realtà corrisponde alla grande isola danese di Sjaelland) o la prosecuzione notturna della più lunga battaglia dell'Iliade, spiegabile soltanto con la notte chiara delle alte latitudini attorno al solstizio estivo. Inoltre, in tale contesto settentrionale sono localizzabili anche le avventure di Ulisse, le quali trovano precisi riscontri lungo le coste e le isole del Mar di Norvegia, attraversato da un ramo della Corrente del Golfo, il "fiume Oceano" della mitologia.
Si delinea in tal modo una prospettiva del tutto nuova riguardo sia all'ambientazione degli avvenimenti narrati nei poemi omerici, sia all'origine della stessa civiltà greca: le saghe che hanno dato origine all'Iliade e all'Odissea provengono dal nord dell'Europa; le portarono a sud i biondi navigatori che nel XVI secolo a.C., in seguito al tracollo dell'"optimum climatico", migrarono in Grecia (presumibilmente scendendo per i grandi fiumi russi, quali il Dniepr, come avrebbero fatto millenni dopo i Vichinghi, la cui civiltà ha molti punti di contatto con quella descritta da Omero) e fondarono la civiltà micenea. Essi poi ricostruirono nel Mediterraneo il loro mondo originario, in cui si erano svolte le vicende raccontate dalla mitologia greca.
Quest'ultima dunque rappresenta il ricordo, trasmesso attraverso i secoli dagli aedi alle civiltà successive, delle vicende che a suo tempo si erano svolte nella perduta patria "iperborea" (a cui in effetti i Greci classici continuavano a sentirsi legati, come ci attestano vari Autori). Ciò altresì consente di spiegare il fatto, notato dagli studiosi, che il mondo omerico appare più primitivo di quello miceneo (mentre sotto molti aspetti risulta simile a quello vichingo, a dispetto dell'abisso temporale tra queste due civiltà): evidentemente i contatti che i migratori achei, navigatori e commercianti, dopo la discesa dal nord intrapresero con le raffinate civiltà mediterranee ne favorirono una rapida evoluzione.
La localizzazione baltico-scandinava del primitivo mondo acheo trova conferma nel tracollo dell'"optimum climatico" in tale area, avvenuto verso l'inizio del II millennio a.C., dopo un lunghissimo periodo di clima nettamente più mite di quello attuale, che si era protratto all'incirca dal 5500 al 2000 A.C.: ecco dunque la probabile ragione che spinse i vari popoli indoeuropei a spostarsi dalle loro sedi originarie. Non a caso, le loro migrazioni ebbero tutte luogo in un periodo compreso tra il XVIII ed il XVI secolo a.C., allorchè i Micenei scesero in Grecia, gli Arii in India, gli Hittiti in Anatolia, i Cassiti in in Mesopotamia, gli Hyksos (che secondo recenti studi sarebbero indoeuropei) in Egitto, i Tocari in Turkestan ecc. D'altronde, già alla fine dell'Ottocento il colto bramino indiano B.G. Tilak aveva ipotizzato l'origine artica degli antichi Arii - "cugini" degli Achei omerici nonché parlanti una lingua molto affine, simile all'attuale lituano - basandosi sull'antico calendario vedico, che prevedeva un periodo di sole continuo ed uno di notte perenne, intervallato da "albe rotanti": sono le "danze dell'alba" della mitologia indiana, a cui anche Omero accenna a proposito dell'isola di Circe: qui in effetti avvengono anche altri fenomeni che sembrano alludere ad una collocazione estremamente settentrionale, al di sopra del circolo polare artico.
Ciò d'altronde si può inquadrare nella nuova situazione introdotta nella cronologia tradizionale dalla datazione col radiocarbonio corretta con la dendrocronologia (la calibrazione con gli anelli annuali degli alberi). Al riguardo, il prof. Colin Renfrew afferma che "si verifica tutta una serie di rovesciamenti allarmanti nelle relazioni cronologiche. Le tombe megalitiche dell'Europa occidentale diventano ora più antiche delle piramidi o delle tombe circolari di Creta, ritenute loro antecedenti; (…) in Inghilterra, la struttura definitiva di Stonehenge, che si riteneva fosse stata ispirata da maestranze micenee, fu completata molto prima dell'inizio della civiltà micenea".
Infine, una straordinaria, e recentissima, conferma archeologica alla presente teoria ci viene dal cosiddetto "disco di Nebra" (un villaggio situato 50 km ad ovest di Lipsia, nella Germania orientale) e delle spade, di tipo miceneo, ritrovate nello stesso sito. Il disco di Nebra è un manufatto in bronzo datato al 1600 a.C., circolare (diametro 32 cm) con riportati sole, luna e stelle (tra cui si distinguono le sette Pleiadi). Esso è il perfetto pendant dei versi del XVIII libro dell'Iliade in cui Omero illustra le decorazioni astronomiche fatte dal dio fabbro Efesto sullo strato in bronzo posto al centro dello scudo di Achille: "Vi fece la terra, il cielo e il mare,/ l'infaticabile sole e la luna piena,/ e tutti quanti i segni che incoronano il cielo,/ le Pleiadi, le Iadi, la forza d'Orione/ e l'Orsa...". I reperti di Nebra insomma mostrano lo stretto rapporto, per così dire "triangolare", che, attraverso l'archeologia, si può stabilire tra il mondo nordico della prima età del bronzo, quello miceneo (le spade) e quello omerico (lo scudo).
Ciò d'altronde è perfettamente in linea con quanto afferma il prof. Piggott nel suo Europa Antica: "La nobiltà degli esametri [di Omero] non dovrebbe trarci in inganno inducendoci a pensare che l'Iliade e l'Odissea siano qualcosa di diverso dai poemi di un'Europa in gran parte barbarica dell'Età del Bronzo o della prima Età del Ferro. 'Non c'è sangue minoico o asiatico nelle vene delle muse greche... esse si collocano lontano dal mondo cretese-miceneo e a contatto con gli elementi europei di cultura e di lingua greche', rilevava Rhys Carpenter; 'alle spalle della Grecia micenea... si stende l'Europa'".

Felice Vinci, "Omero nel Baltico - Saggio sulla geografia omerica" con la presentazione di Rosa Calzecchi Onesti e l'introduzione di Franco Cuomo, Ed. Palombi, Roma 2002 (terza edizione)

di Felice Vinci
vinci@sogin.it