Già gli studiosi dell'antichità avevano notato che
la geografia omerica presentava enormi incongruenze rispetto alla
realtà del mondo greco-mediterraneo. Ma la geografia omerica
è stata motivo di perplessità anche in tempi molto
più recenti, allorché la decifrazione della scrittura
micenea, la cosiddetta "lineare B", graffita sulle tavolette
provenienti da Cnosso, Pilo e a Micene, ha permesso di confrontare
il mondo di cui esse erano espressione con la realtà descritta
nei due poemi. Ne è emersa, come rileva il prof. Moses Finley,
"la completa mancanza di contatto tra la geografia micenea
come ora la conosciamo dalle tavolette e dall'archeologia, da una
parte, ed i racconti omerici dall'altra".
A questo fanno riscontro le evidenze archeologiche a favore della
possibilità che la civiltà micenea abbia avuto un'origine
nordica: al riguardo, il prof. Martin P. Nilsson enumera vari significativi
indizi, quali la presenza, nelle più antiche tombe micenee,
di grandi quantità di ambra baltica (che invece scarseggia
sia nelle sepolture più recenti, sia in quelle minoiche a
Creta), l'impronta prettamente nordica della loro architettura (il
"megaron" miceneo "è identico alla sala degli
antichi re scandinavi"), l'"impressionante somiglianza"
di alcune lastre di pietra provenienti da una tomba di Dendra "con
i menhir conosciuti dall'età del bronzo dell'Europa centrale",
i crani di tipo nordico trovati nella necropoli di Kalkani e così
via. D'altronde, archeologi come Geoffrey Bibby e filosofi come
Bertrand Russell considerano probabile il fatto che la civiltà
micenea abbia tratto origine dai "biondi invasori nordici che
portavano con loro la lingua greca" (Russell).
A sua volta il prof. Klavs Randsborg mette in rilievo che certi
reperti dell'archeologia scandinava, ed in particolare le figure
incise sulle lastre del tumulo di Kivik, nella Svezia meridionale,
presentano rimarchevoli affinità con i modelli dell'arte
egea, al punto da indurre qualche studioso del passato a ipotizzare
che quel monumento fosse opera dei Fenici. Ed un altro significativo
indizio della presenza degli Achei nel nord dell'Europa, attorno
all'inizio del II millennio a.C., è costituito da un graffito
di tipo miceneo ritrovato nel complesso megalitico di Stonehenge,
nell'Inghilterra meridionale, insieme con altre tracce, riscontrate
dagli archeologi sempre nella stessa area ("cultura del Wessex"),
di epoca probabilmente precedente all'inizio della civiltà
micenea in Grecia.
Insomma, gli studi portati avanti sulla civiltà micenea e
sulle sue origini, quali emergono dall'archeologia e dalla decifrazione
dei testi riportati sulle tavolette, lungi dal chiarire i suoi rapporti
con i due poemi, hanno fatto emergere un quadro complesso, in cui
coesistono le divergenze, non soltanto geografiche, tra il mondo
miceneo e quello omerico, le corrispondenze di quest'ultimo con
l'Europa barbarica dell'età del bronzo (sottolineate con
forza dal Prof. Stuart Piggott, grande accademico ed archeologo
inglese) ed una serie di indizi sull'origine nordica dei Micenei,
a cui fanno riscontro le singolari analogie tra reperti nordici
e mediterranei della stessa epoca.
A questo punto, un modo per far "quadrare i conti" potrebbe
essere quello di introdurre un ulteriore tassello: la verifica dell'eventuale
coincidenza della geografia omerica, così problematica rispetto
al contesto mediterraneo, con quel mondo nordico da cui potrebbero
essere discesi i Micenei allorché si stabilirono in Grecia.
Si tratta di una prospettiva che se da un lato è una conseguenza
logica del quadro sopra delineato, dall'altro potrebbe consentire
a tutti i pezzi sparsi del puzzle di trovare una collocazione logica
in una visione d'insieme finalmente chiara e coerente.
Un primo indizio in favore di tale ipotesi si riscontra nella meteorologia
dei due poemi: nel mondo cantato da Omero effettivamente si avvertono
le asprezze tipiche dei climi nordici. Sui combattenti nella pianura
di Troia cala spesso una "fitta nebbia" ed il mare di
Ulisse non è quello splendente delle isole greche, ma appare
spesso "livido" e "brumoso"; dovunque si riscontra
un clima tutt'altro che mediterraneo, con nebbia, vento, freddo,
pioggia, neve - quest'ultima anche in pianura e perfino sul mare
- mentre il sole, e soprattutto il caldo, sono pressoché
assenti. In quello che, secondo la tradizione, dovrebbe essere un
torrido bassopiano dell'Anatolia, il tempo è quasi sempre
perturbato, al punto che i combattenti, ricoperti di bronzo, arrivano
addirittura a invocare il sereno durante la battaglia. D'altronde,
a tale contesto è perfettamente adeguato l'abbigliamento
dei personaggi omerici, tunica e "folto mantello", che
non lasciano mai, neppure durante i banchetti: esso trova un preciso
riscontro nei resti di abiti ritrovati nelle tombe danesi dell'età
del bronzo.
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Il mondo di Omero e della mitologia greca lungo il Baltico all'inizio del II millennio a.C., ricostruito attraverso le indicazioni geografiche fornite dall'Iliade e dall'Odissea |
Inoltre, in tale prospettiva si spiega anche la macroscopica anomalia
della grande battaglia che occupa i libri centrali dell'Iliade,
con due mezzogiorni e una notte interposta, durante la quale i combattimenti
non s'interrompono per il buio, cosa incomprensibile nel mondo mediterraneo:
potrebbe invece essere stato il chiarore notturno tipico delle alte
latitudini nei giorni attorno al solstizio estivo a far sì
che le truppe fresche guidate da Patroclo, entrate in battaglia
poco prima del calare di una "notte funesta", continuassero
a combattere fino al giorno successivo, senza un attimo di tregua.
Questa chiave di lettura consentirebbe di ricostruire tutto lo svolgimento
della battaglia in modo perfettamente logico e coerente, senza le
perplessità e le forzature delle attuali interpretazioni.
Ed un ulteriore indizio della possibile collocazione nordica della
geografia omerica, che costituisce anche la chiave per entrare nel
mondo dei due poemi, ce lo fornisce lo scrittore greco Plutarco,
il quale in una sua opera, il De facie quae in orbe lunae apparet,
fa un'affermazione sorprendente: l'isola Ogigia, dove la dea Calipso
trattenne a lungo Ulisse prima di consentirgli il ritorno ad Itaca,
era situata nell'Atlantico del nord, "a cinque giorni di navigazione
dalla Britannia".
Partendo da questa indicazione e seguendo la rotta verso est, indicata
nel V libro dell'Odissea, percorsa da Ulisse dopo la sua partenza
dall'isola (identificabile con una delle Färöer, tra le
quali si riscontra un nome curiosamente "grecheggiante":
Mykines), si riesce subito a localizzare la terra dei Feaci, la
Scheria, sulla costa meridionale della Norvegia, in un'area in cui
abbondano i reperti dell'età del bronzo. Non solo: da un
lato Ulisse nel suo approdo è aiutato dall'inversione della
corrente del fiume, evidentemente dovuta all'alta marea - fenomeno
comune nei mari nordici, ma pressoché sconosciuto nel Mediterraneo
- dall'altro nell'antico nordico "skerja" significava
"scoglio". Successivamente, partendo da qui, è
possibile localizzare una piccola isola danese, chiamata Lyø,
la quale combacia perfettamente con l'Itaca omerica, sia per la
topografia che per la posizione geografica rispetto alle isole vicine
(tra le quali Langeland, l'"isola lunga", corrisponde
alla misteriosa Dulichio omerica, introvabile nel Mediterraneo).
Invece l'Itaca del Mar Ionio non ha nulla a che vedere, né
per la posizione geografica né per la topografia, con la
patria di Ulisse, descritta da Omero in ogni dettaglio.
A questo punto, in un'area ben delimitata nel sud della Finlandia
si ritrovano numerosissimi toponimi che ricordano i nomi degli alleati
dei troiani (Askainen, Reso, Karjaa e tanti altri) ed un villaggio,
Toija, il cui territorio coincide esattamente con la descrizione
omerica di Troia (mentre il sito anatolico trovato da Schliemann
all'imbocco dei Dardanelli, corrispondente alla Troia greco-romana,
dà adito a molte riserve, di cui era al corrente anche l'antico
geografo greco Strabone). Addirittura, verso il mare si trova il
sito di Aijala, corrispondente alla "spiaggia", "aigialos"
in greco, dove gli Achei sbarcarono e costruirono il loro campo
fortificato, mentre verso l'interno i toponimi "Tanttala"
e "Sipilä" ricordano nomi ben noti della mitologia
greca. Ciò coincide col fatto che, secondo Omero, Enea dopo
la guerra di Troia non partì per l'Italia (come avrebbe poi
affermato Virgilio con la tendenziosa ricostruzione dell'Eneide,
mirante a ricondurre l'origine della famiglia dell'imperatore Augusto
alla linea dinastica dell'eroe troiano), ma fu il successore del
vecchio re Priamo: insomma dopo l'incendio e il saccheggio da parte
degli Achei la città fu ricostruita, come d'altronde di norma
accade in questi casi. E forse dal nome di Enea, che secondo Omero
fu il capostipite di una lunga dinastia, deriva quello di "Aeningia",
attestato da Plinio, con cui i Romani conoscevano la Finlandia meridionale.
Nel contempo, la scansione del "Catalogo delle navi" dell'Iliade
trova una serie di straordinari riscontri lungo le coste del Baltico,
a partire dalla Svezia, dove nel II millennio a.C., in un contesto
climatico molto più favorevole di quello attuale, fioriva
l'età del bronzo. E' così possibile ricostruire integralmente
il mondo descritto da Omero (Tebe, Atene, Tirinto, Aulide, Lemno,
Samotracia, Chio, l'Eubea, Creta, Naxos...) - cioè quello
dell'età del bronzo nordica, che in effetti nel secondo millennio
A.C. ebbe una grande fioritura - eliminando tutte le incongruenze
della tradizionale ambientazione mediterranea, quali il "Peloponneso"
pianeggiante (che in realtà corrisponde alla grande isola
danese di Sjaelland) o la prosecuzione notturna della più
lunga battaglia dell'Iliade, spiegabile soltanto con la notte chiara
delle alte latitudini attorno al solstizio estivo. Inoltre, in tale
contesto settentrionale sono localizzabili anche le avventure di
Ulisse, le quali trovano precisi riscontri lungo le coste e le isole
del Mar di Norvegia, attraversato da un ramo della Corrente del
Golfo, il "fiume Oceano" della mitologia.
Si delinea in tal modo una prospettiva del tutto nuova riguardo
sia all'ambientazione degli avvenimenti narrati nei poemi omerici,
sia all'origine della stessa civiltà greca: le saghe che
hanno dato origine all'Iliade e all'Odissea provengono dal nord
dell'Europa; le portarono a sud i biondi navigatori che nel XVI
secolo a.C., in seguito al tracollo dell'"optimum climatico",
migrarono in Grecia (presumibilmente scendendo per i grandi fiumi
russi, quali il Dniepr, come avrebbero fatto millenni dopo i Vichinghi,
la cui civiltà ha molti punti di contatto con quella descritta
da Omero) e fondarono la civiltà micenea. Essi poi ricostruirono
nel Mediterraneo il loro mondo originario, in cui si erano svolte
le vicende raccontate dalla mitologia greca.
Quest'ultima dunque rappresenta il ricordo, trasmesso attraverso
i secoli dagli aedi alle civiltà successive, delle vicende
che a suo tempo si erano svolte nella perduta patria "iperborea"
(a cui in effetti i Greci classici continuavano a sentirsi legati,
come ci attestano vari Autori). Ciò altresì consente
di spiegare il fatto, notato dagli studiosi, che il mondo omerico
appare più primitivo di quello miceneo (mentre sotto molti
aspetti risulta simile a quello vichingo, a dispetto dell'abisso
temporale tra queste due civiltà): evidentemente i contatti
che i migratori achei, navigatori e commercianti, dopo la discesa
dal nord intrapresero con le raffinate civiltà mediterranee
ne favorirono una rapida evoluzione.
La localizzazione baltico-scandinava del primitivo mondo acheo trova
conferma nel tracollo dell'"optimum climatico" in tale
area, avvenuto verso l'inizio del II millennio a.C., dopo un lunghissimo
periodo di clima nettamente più mite di quello attuale, che
si era protratto all'incirca dal 5500 al 2000 A.C.: ecco dunque
la probabile ragione che spinse i vari popoli indoeuropei a spostarsi
dalle loro sedi originarie. Non a caso, le loro migrazioni ebbero
tutte luogo in un periodo compreso tra il XVIII ed il XVI secolo
a.C., allorchè i Micenei scesero in Grecia, gli Arii in India,
gli Hittiti in Anatolia, i Cassiti in in Mesopotamia, gli Hyksos
(che secondo recenti studi sarebbero indoeuropei) in Egitto, i Tocari
in Turkestan ecc. D'altronde, già alla fine dell'Ottocento
il colto bramino indiano B.G. Tilak aveva ipotizzato l'origine artica
degli antichi Arii - "cugini" degli Achei omerici nonché
parlanti una lingua molto affine, simile all'attuale lituano - basandosi
sull'antico calendario vedico, che prevedeva un periodo di sole
continuo ed uno di notte perenne, intervallato da "albe rotanti":
sono le "danze dell'alba" della mitologia indiana, a cui
anche Omero accenna a proposito dell'isola di Circe: qui in effetti
avvengono anche altri fenomeni che sembrano alludere ad una collocazione
estremamente settentrionale, al di sopra del circolo polare artico.
Ciò d'altronde si può inquadrare nella nuova situazione
introdotta nella cronologia tradizionale dalla datazione col radiocarbonio
corretta con la dendrocronologia (la calibrazione con gli anelli
annuali degli alberi). Al riguardo, il prof. Colin Renfrew afferma
che "si verifica tutta una serie di rovesciamenti allarmanti
nelle relazioni cronologiche. Le tombe megalitiche dell'Europa occidentale
diventano ora più antiche delle piramidi o delle tombe circolari
di Creta, ritenute loro antecedenti; (
) in Inghilterra, la
struttura definitiva di Stonehenge, che si riteneva fosse stata
ispirata da maestranze micenee, fu completata molto prima dell'inizio
della civiltà micenea".
Infine, una straordinaria, e recentissima, conferma archeologica
alla presente teoria ci viene dal cosiddetto "disco di Nebra"
(un villaggio situato 50 km ad ovest di Lipsia, nella Germania orientale)
e delle spade, di tipo miceneo, ritrovate nello stesso sito. Il
disco di Nebra è un manufatto in bronzo datato al 1600 a.C.,
circolare (diametro 32 cm) con riportati sole, luna e stelle (tra
cui si distinguono le sette Pleiadi). Esso è il perfetto
pendant dei versi del XVIII libro dell'Iliade in cui Omero illustra
le decorazioni astronomiche fatte dal dio fabbro Efesto sullo strato
in bronzo posto al centro dello scudo di Achille: "Vi fece
la terra, il cielo e il mare,/ l'infaticabile sole e la luna piena,/
e tutti quanti i segni che incoronano il cielo,/ le Pleiadi, le
Iadi, la forza d'Orione/ e l'Orsa...". I reperti di Nebra insomma
mostrano lo stretto rapporto, per così dire "triangolare",
che, attraverso l'archeologia, si può stabilire tra il mondo
nordico della prima età del bronzo, quello miceneo (le spade)
e quello omerico (lo scudo).
Ciò d'altronde è perfettamente in linea con quanto
afferma il prof. Piggott nel suo Europa Antica: "La nobiltà
degli esametri [di Omero] non dovrebbe trarci in inganno inducendoci
a pensare che l'Iliade e l'Odissea siano qualcosa di diverso dai
poemi di un'Europa in gran parte barbarica dell'Età del Bronzo
o della prima Età del Ferro. 'Non c'è sangue minoico
o asiatico nelle vene delle muse greche... esse si collocano lontano
dal mondo cretese-miceneo e a contatto con gli elementi europei
di cultura e di lingua greche', rilevava Rhys Carpenter; 'alle spalle
della Grecia micenea... si stende l'Europa'".
Felice Vinci, "Omero nel Baltico - Saggio sulla geografia
omerica" con la presentazione di Rosa Calzecchi Onesti e l'introduzione
di Franco Cuomo, Ed. Palombi, Roma 2002 (terza edizione)
di Felice Vinci
vinci@sogin.it
di Michael A. Cremo, Richard L. Thompson2. Archeologia Misterica
di Luc Bürgin3. Archeologia dell'impossibile
di Volterri Roberto4. Archeologia eretica
di Luc Bürgin5. Il libro degli antichi misteri
di Reinhard Habeck6. Rennes-le-Château e il mistero dell'abbazia di Carol
di Roberto Volterri, Alessandro Piana7. Il mistero delle piramidi lombarde
di Vincenzo Di Gregorio8. Le dee viventi
di Marija Gimbutas9. Come ho trovato l'arca di Noè
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