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11 Giugno 2003 MISTERO
Maurizio Calì
San Galgano e la spada nella roccia tra storia e leggenda
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Nel corso degli ultimi anni si èandato sviluppando un crescente interesse intorno alla figura di San Galgano, mentre gli splendidi edifici eretti a sua memoria, Eremo o Rotonda e Abbazia, sono sempre più conosciuti e apprezati non solo nel nostro paese, ma anche in gran parte del mondo.
L'ultima iniziativa in ordine di tempo è stata quella promossa nel 2001 dall'Associazione Culturale Progetto Galgano di Milano, con il patrocinio del Comune di Chiusdino nel cui territorio sorgono gli edifici sopra menzionati, e consistente in una serie di importanti appuntamenti e ricerche, quali le analisi e le indagini scientifiche, effettuate tra la primavera e l'estate da un'equipe di Docenti delle Università di Pavia, di Milano, di Padova e di Siena, e coordinate dal prof. Luigi Garlaschelli, chimico organico dell'Università di Pavia. Ad essi si è aggiunto il Convegno di studi organizzato da "Memoria Ecclesiae - Centro di studi e documentazione sulla vita religiosa della Toscana", svoltosi nell'abbazia il 20 e il 21 settembre dello stesso anno.
Galgano Guidotti nasce a Chiusdino, oggi in provincia di Siena, ma a quei tempi feudo fortificato del vescovo di Volterra, nell'anno del Signore 1148. I suoi genitori, Guidotto e Dionigia, hanno a lungo desiderato figli senza riuscire ad averne. Sono membri della piccola nobiltà del borgo che sorge intorno ad un castello sulla cima di un crinale da cui si domina la valle sottostante. In tenera età Galgano rimane orfano del padre. Nulla lascia presagire la svolta, ma nemmeno le biografie affrontano gli anni precedenti la conversione. Sappiamo solo che Galgano sogna due volte san Michele che lo invita a seguirlo. Non sappiamo nemmeno quanto tempo intercorra tra i due sogni, ma ci viene raccontato che egli ne parla alla madre entrambe le volte. E' il suo cavallo che, rifiutandosi di proseguire per bene due volte consecutive, lo conduce poi nel luogo della sua conversione.
Qui, nel Natale del 1180, Galgano infigge la spada nella roccia e si ritira a vita eremitica. Questo periodo durerà 11 mesi, durante i quali Galgano andrà a Roma da papa Alessandro III (1159-1181 ) forse nel tentativo di farsi approvare una nuova regola monastica, avrà rapporti con religiosi vicini e spirerà il 30 novembre 1181, alla presenza degli abati cistercensi di Fossanova e Casamari, che transitavano casualmente per quei luoghi tornando dal Capitolo Generale dell'Ordine. L'eremita viene sepolto accanto alla spada e il luogo diviene subito meta di fedeli.

 Ingresso Rotonda


Pochi anni dopo la sua scomparsa, nel 1185, dal 4 al 7 agosto, una commissione di prelati presieduta dal cardinale-vescovo della Sabina, Corrado di Wittelsbach, viene incaricata da papa Lucio III di accertare l'effitiva esistenza di miracoli e la presunta santità dell'eremita. In occasione dei lavori della commisione viene anche consacrata e completata la Rotonda, sorta sull'eremo, la cui costruzione era iniziata nel 1183 per volere del vescovo di Volterra, Ugo, che non fece in tempo a vederla ultimata essendo deceduto nel 1184. Toccò quindi al suo successore, Ildebrando Pannocchieschi, il compito di consacrarla e aprirla al culto. Ombre dense nascondono gli anni immediatamente successivi.
I cistercensi si insediano ufficialmente alla Rotonda nel 1191, ottengono privilegi imperiali nel 1196 e, nello stesso anno, appare anche il primo priore Bono. Parte dei primi discepoli del santo, in disaccordo con i nuovi arrivati, abbandona la Rotonda e fonda nuovi eremi. Nel 1218 iniziano i lavori di costruzione della grande abbazia nella pianura sottostante mentre nello stesso periodo tutta la zona è divenuta dominio senese.
Occorre a questo punto ricordare su quali fonti si basano le notizie fin qui riportate, anche perché tutto ciò che riguarda Galgano e la sua esistenza è ammantato di mistero e zone d'ombra.
Tutti gli studiosi sono concordi nel riconoscere alla "Inquisitio in partibus" una sorta di primogenitura, è questa la fonte prima da cui si sarebbero sviluppate in seguito tutte le altre biografie del santo chiusdinese. In realtà ciò che ci è pervenuto è una trascrizione tardo cinquecentesca ad opera dello storico Sigismundus Titius del processo di canonizzazione di Galgano che, secondo gli studi di Fedor Schneider, sarebbe avvenuto presso la Rotonda nei giorni dal 4 al 7 agosto del 1185. Dinnanzi alla commisione d'inchiesta voluta da papa Lucio III, formata da tre prelati e presieduta da Corrado di Wittelsbach, cardinale-vescovo della Sabina e arcivescovo di Magonza, sfilarono venti testimoni che resero le loro dichiarazioni secondo il giuramento d'uso.
Sempre secondo gli studiosi, André Vauchez fra tutti, questo sarebbe il più antico processo di canonizzazione del quale si conoscano gli atti. L'uso del condizionale, però, è d'obbligo, poiché in realtà non disponiamo di alcun testo coevo in versione autentica e ancora oggi molti dubbi e perplessità restano da sciogliere sulla leggendaria figura del santo.
Nonostante un buon numero di biografie e di testi che ne tramandano le gesta, tutti datati a partire dai primi anni del XIII secolo in avanti, supportati anche da un vasto patrimonio di testimonianze iconografiche e architettoniche, noi ignoriamo del tutto gli aspetti fondamentali della vita di Galgano. Per dirla con Franco Cardini: "La questio galganiana, grazie soprattutto ai recenti lavori del Susi e della Germez, sembra ormai quanto meno circoscritta. Certo, molte rimangono le questioni relativamente alle quali non sembra prudente dirsi certi che tutto sia chiuso e chiarito." Sono infatti ancora molti i problemi aperti, da quello irrisolto delle date di nascita e trapasso al singolare legame tra le vicende dell'eremita chiusdinese con il ciclo di re Artù e dei cavalieri della Tavola Rotonda.
Le analogie e i punti di contatto tra le numerose biografie di Galgano e le opere di Chrétien de Tryoes, tra le vicende narrate nel "Ciclo della Vulgata" e il mistero della spada nella roccia di Montesiepi, stupiscono e impegnano ancora oggi gli studiosi che se ne occupano, sia per le questioni relative alla diffusione della materia di Bretagna nel nostro paese che per le loro possibili origini.
Di certo si può affermare, rubando l'espressione ad una giornalista di Repubblica, che Galgano è realmente un crocevia del Medioevo e i luoghi che ne testimoniano l'esistenza sono di fatto l'epicentro di un'intera epoca.
Gli anni in cui sarebbe vissuto Galgano sono universalmente considerati come decisivi per la formazione della moderna civiltà europea e sono popolati da figure indimenticate e note anche ai non addetti ai lavori: da Federico Barbarossa a Ildegarda di Bingen, da Gioacchino da Fiore a Caffaro, da Alessandro III a Eleonora d'Aquitania, da Abelardo a Saladino. L'elenco potrebbe non aver fine se dovessimo prendere in considerazione anche personaggi della letteratura coeva o del mondo artistico, basti per tutti citare Tristano e Isotta, Benedetto Antelami, Nicola Pisano. E' l'epoca della grande rinascita, delle cattedrali romaniche e gotiche, dei primi Palazzi comunali, delle Crociate e delle eresie, della Reconquista e dell'epopea normanna.

 Spada nella roccia


Anche per questo il viaggio nell'enigma di san Galgano è, allo stesso tempo, affascinante e complesso. Le recenti ricerche, lungi dall'aver fornito risposte definitive ai molti quesiti, hanno invece aperto nuovi fronti al dubbio. Con buona probabilità, la parte più antica della Rotonda è da retrodatare di almeno un secolo; sotto ill suo pavimento, a circa due metri e mezzo di profondità, il georadar individua una anomalia del tutto simile, per forma e dimensioni, ad un altare o ad un sarcofago; l'esame al Carbonio 14 stabilisce che gli arti mummificati qui custoditi hanno almeno 8/900 anni senza poterci, però, rivelare a chi siano appartenuti. Anche le indagini sulla spada, che peraltro confermano l'esistenza della lama all'interno della roccia, non permettono ancora di affermare con certezza a quale epoca risalga o a chi sia appartenuta.
Galgano libera dalla prigionia, possiede il dono della preveggenza, guarisce i malati ed é beato confessore. Però, persino l'attribuzione di santità é dubbia e controversa. Galgano é santo o beato? O tutti e due? Oggi non figura più nell'elenco dei santi "ufficiali", anche se compare in quasi tutti i dizionari agiografici.
In realtà, le uniche assolute certezze, sono rappresentate dagli edifici sorti in sua memoria. Splendide opere architettoniche, la Rotonda e l'Abbazia, identificano le due fasi delle vicende galganiane, quella degli utlimi anni di vita e quella, di parecchio posteriore, della diffusione e affermazione del suo culto.
L'edifico che sorge in cima alla collina di Monte Siepi, noto come eremo o Rotonda, viene edificato con grande rapidità nel periodo 1183-1185. I lavori sono avviati per volontà del vescovo di Volterra, Ugo che, dopo il trapasso dell'eremita, si reca a Monte Siepi per interrogare fedeli e miracolati sulla presunta santità di Galgano.
Ugo muore prima che i lavori vengano ultimati, l'8 settembre 1184, ed il suo successore Ildebrando Pannocchieschi si ritrova a completarli in un momento molto particolare delle vicende del suo episcopato. La consacrazione e l'apertura al culto dell'edificio avvengono nell'estate del 1185, in coincidenza dei lavori della commissione papale incaricata di verificare e sottopporre al pontefice l'esistenza di eventi miracolosi e la nascita del culto ad essi collegata.
Non possediamo alcuna conferma sull'effettiva data di costruzione dell'edificio, né sappiamo se venne edifcato su una presitente struttura, ma dobbiamo limitarci a quanto affermato dalle fonti, tutte peraltro molto successive agli avvenimenti narrati. Non conosciamo neppure chi realmente e materialmente elevò la Rotonda, se si trattò di maestranze locali o di prezzolati forestieri; non disponiamo di nomi o di attestati di paternità, ma possiamo solo ammirare quest'opera anonima in tutta la sua bellezza ed il suo fascino.
Sorta intorno al masso che custodisce la spada, sul luogo che divenne l'ultima dimora dell'eremita, mostra chiari sintomi di influenza dello stile romanico pisano e lucchese. Quella che possiamo ammirare attualmente è il risultato di varie sovrapposizioni e aggiunte, tutte successive alla primitiva e perfettamente circolare opera. Esternamente domina la pietra alternata con una triplice fila di mattoni che le conferisce la caratteristica bicromia di rosso e bianco.
Addossato al suo ingresso originale, troviamo un atrio di incerta datazione con singolari sculture che decorano il suo cornicione: tre teste umane, una bovina e una foglia che sono considerate dagli esperti un tipico prodotto dell'arte romanico-rurale della zona. Leggermente più in basso, lo stemma mediceo sovrasta il centro perfetto del portale d'accesso. Risalgono al Trecento sia la parte superiore del tetto, con la sua caratteristica lanterna "cieca", ulteriore aggiunta del 1600, che il campaniletto in cotto a due monofore sovrapposte.
Nuove costruzioni, volute nel 1700 dal marchese Feroni di Frosini, che deturpavano definitivamente lo stile e la bellezza dell'edificio, furono fortunatamente eliminate nel 1924 con perfetti restauri, promossi dai conti Spalletti di Frosini. Il perfetto cerchio dello spessore di un metro e quaranta che disegna il muro perimetrale sorregge l'enorme spinta della cupola emisferica, costruita secondo l'antico sistema etrusco degli anelli concentrici. Nessuna nervatura, nessun costolone ne interrompe l'armonia e l'unità. In asse verticale con il centro della cupola si trova la spada infissa nella roccia, riparata da possibili malintenzionati grazie ad una cupola di plexiglass piuttosto brutta e irriverente.
Sulla sinistra della Rotonda, si apre una piccola sala quadrata che conserva un vero gioiello d'arte: un ciclo di affreschi del grande pittore senese del Trecento, Ambrogio Lorenzetti che illustra la storia di san Galgano.
Appare singolare che, nonostante la comune opinione sulla complessità di questi affreschi e sull'assenza di un'interpretazione esaustiva, molti si affrettino ad avanzare ipotesi di ogni genere o si lancino in affermazioni prive di qualsiasi consistenza, mentre a nessuno sia ancora venuto in mente di affrontare la questione in maniera seria e rigorosa. Certo gli affreschi di Montesiepi non possono competere in notorietà con quelli, ben più famosi e ammirati, che possono vantare Siena o Massa Marittima; pochi storici dell'arte se ne occupano, come se non fossero rilevanti per la conoscenza dell'opera di Lorenzetti o come se ci trovassimo dinnanzi ad opere minori.
Se poi non limitiamo la nostra osservazione agli studiosi d'arte, ma la estendiamo anche a tutti coloro che ne hanno trattato, vuoi per manuali d'uso turistico, vuoi per saggi sul santo eremita di Chiusdino e sui luoghi del suo cullto, vuoi per opere di carattere storico che di natura divulgativa, allora la varietà delle supposizioni e la diversità di informazioni diviene quasi incredibile. Ogni singolo aspetto dell'opera subisce modifiche, anche sostanziali, a seconda dell'autore che ne tratta: date, committenza, inquadramento storico, interpretazione artistica e teologica, riconoscimento delle figure rappresentate, iconografia.
Paradossalmenete, più se ne legge e più la confusione aumenta, senza parlare del rapporto che gli affreschi hanno con l'agiografia di Galgano Guidotti di cui, in definitiva, illustrano gli aspetti decisivi della vita. Chissà che questo guazzabuglio non induca finalmente qualcuno ad occuparsi di questi affreschi con l'attenzione che meritano, sia come testimonianza storica che come opera d'arte, come strumento di interpretazione e di analisi pittorica. Sarebbe il miglior omaggio possibile alla loro struggente bellezza, così penetrante e manifesta da indurre chiunque all'ammirazione più sentita.
Per inciso, dopo un restauto risalente al lontano 1966, oggi gli affreschi mostrano preoccupanti segni di degrado e andrebbe sicuramente previsto un nuovo intervento conservativo prima che l'umidità, vera regina dell'ambiente, completi il suo nefasto lavoro.
Nella parete centrale una stupenda Maestà in trono accoglie i visitatori, mentre sui due lati sono riprodotte, a destra, scene di una processione di santi e vescovi e, a sinistra, san Galgano nell'atto di donare la roccia con infissa la spada all'arcangelo Michele. Lo seguono angeli, papi e vescovi. Ben visibile, proprio al centro dell'affresco frontale, una meravigliosa Eva di bianco vestita che ricorda quella della più tarda Pace negli affreschi del Palazzo Pubblico a Siena.
Insieme agli affreschi sono presenti anche le sinopie preparatorie, emerse durante i restauri del "66. Tra queste, spicca per bellezza quella con la scena dell'Annunciazione, singolare per la modernità del tratto e la forza che emana, in grado di colpire l'immaginazione anche del più distratto visitatore.
Quando, nei primi anni del Duecento, i monaci cistercensi divennero troppo numerosi per rimanere nel piccolo monastero a ridosso della Rotonda, decisero di avviare la costruzione della grande abbazia nella piana sottostante.
I lavori di costruzione del maestoso complesso abbaziale di san Galgano ebbero inizio intorno al 1218, circa quarant'anni dopo la morte dell'eremita, avvenuta nel 1181. L'edificio sorse con una planimetria tipicamente cistercense, sebbene non manchino contaminazioni del gusto artistico senese dell'epoca.
Quella di San Galgano è la prima abbazia cistercense in terra toscana ad un secolo esatto dal primo insediamento italiano dell'ordine fondato nel 1098 da Roberto di Molesme. Il modulo architettonico, ormai ampiamente collaudato, si può ritrovare infatti in edifici come Chiaravalle della Colomba, Morimondo o Casamari eretti intorno alla metà del XII secolo.
Le ragioni del ritardo nell'insediamento dei cistercensi in Toscana rispetto al resto di'Italia non sono state oggetto di ricerche approfondite e rappresentano ancora uno degli innumerevoli interrogativi legati alle vicende galganiane. Dopo un periodo di grande prosperità, legato anche alle fortune della repubblica senese per cui spesso operarono i monaci di san Galgano in qualità di tesorieri, camerlenghi, tecnici specializzati, consiglieri spirituali, la grande abbazia iniziò un lento e progressivo declino. La costruzione si protrasse fino al Trecento quando lo splendore raggiunse i massimi livelli.
Non vi sono notizie certe sul primo maestro conduttore dell'opera che alcuni attribuiscono a fra' Giovanni di Casamari, attivo fino al 1227, mentre appare sicuro che dal 1275 in poi la direzione toccò a Ugolino di Maffeo che si vorrebbe, tra l'altro, essere quello raffigurato sull'ultimo capitello della parete sinistra dell'abbazia. Quando intorno al 1500 l'abbazia viene data in Commenda i segni del declino sono già evidenti. Il crollo del tetto e del campanile nel 1786 le conferiscono per sempre la caratteristica fisionomia a cielo aperto. Chiesa, chiostro, sala capitolare e scriptorium compongono il complesso abbaziale e ne fanno uno degli esempi più significativi di gotico cistercense.
La chiesa è a croce latina con tre navate. Misura 72 metri di lunghezza per 21 di larghezza e culmina in un abside a forma quadrata con sei monofore e un grande rosone che è divenuta una delle immagini più note e conosciute nel mondo. Oltre un centinaio di capitelli, tutti diversi tra loro per i motivi ornamentali, svettano sulle imponenti colonne e conferiscono allo spazio una caleidoscopica atmosfera.

 Abbazia di San Galgano con illuminazione notturna


Il chiostro orginale è invece andato completamente distrutto e quello che possiamo ammirare oggi è una ricostruzione parziale con materiale originale collocata nell'angolo nord est del complesso. La sala capitolare, luogo in cui l'abate leggeva e commentava i libri sacri, distribuiva i lavori e riuniva i monaci per le decisioni importanti, è giunta a noi ancora in buono stato. Misura dodici metri per sedici con sei volte a crociera sorrette da due colonne centrali con capitelli a volute. Lo scriptorium, spesso erroneamente indicato come refettorio, era il luogo destinato ai lavori intellettuali e, di conseguenza, veniva sempre riscaldato e doveva disporre di molte finestre in grado di fornire la luce necessaria per tali attività. Quello di san Galgano è considerato uno scriptorium di grandi proporzioni, suddiviso in due navate con cinque pilastri cruciformi.
Pochi sanno che il culto di san Galgano ha prodotto, nel tempo, un'infinità di testimonianze che richiederebbero uno spazio molto più ampio di questo. Il patrimonio iconografico e artistico del santo eremita è stato vittima di una incessante dispersione al punto che dei numerosi oggetti d'arte di cui era ricchissima l'abbazia, pochissimi sono giunti sino a noi. Non esiste ancora uno studio accurato e un catalogo completo delle opere rimaste e di quelle andate perdute, di quelle accessibili al pubblico e di quelle emigrate in terra straniera. Anche le reliquie hanno subito vicessitudini di ogni genere, fino alla loro attuale sistemazione che sembrerebbe definitiva.
La più importante e significativa è certamente la Sacra Testa del santo. Reliquia oggi custodita nella chiesa di San Michele a Chiusdino, è racchiusa in un reliquiario moderno del 1977 realizzato da Bino Bini che non permette una visione chiara del teschio, ancora ornato di capelli, che secondo la leggenda sarebbe quello del santo eremita.
Il precedente reliquiario del XIV secolo, nel quale la Sacra Testa aveva riposato nella chiesa del Santuccio a Siena dal 1340 circa sino al 1997, è attualmente visibile al Museo dell'Opera del Duomo della città toscana. Qui si trova anche il pastorale degli abati di san Galgano: è alto quasi due metri, in rame laminato e termina con un riccio ad arco al cui interno è raffigurato san Galgano in preghiera davanti alla spada infissa nella roccia. Completa la raccolta la cosiddetta "Corona di San Galgano", datata intorno al 1325, realizzata in bronzo dorato con smalti colorati su una circonferenza di 72 cm. x 12 di altezza, dove è leggibile la scritta "S. GHALGANO DE CHIUSLINO".
Nella Pinacoteca di Siena si può invece ammirare una pala di notevoli dimensioni (m.3,63x0,47), dipinta verso il 1470 da Giovanni di Paolo con scene della vita di san Galgano e di santi cistercensi. Tra gli autori che, in vario modo, hanno raffigurato san Galgano nei loro lavori, possiamo ricordare Domenico di Pace detto "il Beccafiumi" (1486-1551), Pietro di Domenico (1457-1533), Ugolino Lorenzetti, vissuto nel XIV secolo, Lorenzo di Pietro detto "il Vecchietta" che raffigura il santo intorno al 1445, Lorenzo Vanni e il suo affresco del 1600, Alessandro Casolani (1552-1605), Ventura Salimbeni e i suoi affreschi del 1612, Antonio Buzzi detto "il Sodoma" ed il suo affresco del 1537.
Altre opere pittoriche in cui appare l'eremita di Chiusdino sono sparse un po' ovunque. A Firenze, nel Museo dell'Accademia e nella Galleria degli Uffizi, rispettivamente un anonimo del XIV secolo e un Ventura Salimbeni del XVI. A Pisa, nel Museo Nazionale di San Matteo, sono conservate cinque tavole di autore ignoto che narrano le vicende di san Galgano e risalgono al 1300. Ad Asciano, nel Museo d'Arte Sacra, si trova un trittico di Pietro di Giovanni d'Ambrogio, databile alla metà del 1400, con un'adorazione dei pastori con San Nicola e San Galgano.
L'elenco potrebbe continuare a lungo, con un'ulteriore quantità di opere "minori" o molto più recenti, a testimonianza di un culto ancora vitale, o, addirittura, finite, non si sa bene come e quando, ai quattro angoli del mondo, come una tela della fine del Trecento, eseguita da Mariotto di Nardo tra il 1390 e il 1395 e raffigurante una "Madonna con Santo Stefano e l'abate Antonio", che, oggi, è in bella mostra nella sezione italiana dello "State Museum of Fine Arts of the Republic of Tatarstan", nella città di Kazan, sulle rive del Volga e che proviene dal patrimonio dell'abbazia di san Galgano.
L' aspetto ascetico-guerriero della figura di Galgano, incentrato sulla Croce-Spada che costituisce il simbolo proprio della Cavalleria celeste, non può non far sorgere spontanea la questione di eventuali connessioni tra la sua simbologia e l' Ordine cavalleresco che per eccellenza rappresentò nel Medioevo questo superiore aspetto della Cavalleria: l' Ordine dei Poveri Cavalieri di Cristo, più conosciuto come Ordine del Tempio.
Se si volessero dare basi certe e storicamente sicure per un rapporto tra Galgano stesso o il centro che da lui ebbe origine ed i Templari, è bene dire subito che nulla è stato possibile reperire in merito. Esistono però alcune connessioni che vale la pena di riportare, in vista di un futuro possibile sviluppo derivante dall' acquisizione di nuovi elementi sulla storia dei Templari della provincia di Siena o sulla figura di Galgano.
Tali elementi, che descriveremo partitamente, sono:
1) la presenza dei Templari nel contado di Frosini, a pochi chilometri da Montesiepi, in una zona in cui anche i monaci di Galgano avevano possedimenti fin dai primi anni di fondazione della Rotonda;
2) il ritrovamento di una croce di tipo cavalleresco su di una lastra di marmo, ora murata presso la soglia d' ingresso della Cappella;
3) la presenza di due capitelli nella vicina Abbazia di Montesiepi su cui sono scolpite croci di un tipo particolare;

 Abbazia di Montesiepi

1) Frosini
Su di una roccia che domina la strada che dal Sud sale verso Siena si erge il Castello di Frosini, che ancora conserva tra le sue mura ornate di merli ghibellini (come Chiusdino, patria di Galgano, Luriano e Monticiano, anche Frosini, feudo delle famiglie dei Pannocchieschi e dei Gherardeschi, era ghibellina ) una piccola porta difesa da una torre che guarda verso la Rotonda. Nel 1229 i conti di Frosini avevano donato o venduto terre e diritti sui beni delle loro tenute agli Abati di San Galgano , il primo dei quali, insediatosi nel 1207, aveva curiosamente lo stesso nome del Santo.
Circa l' epoca in cui i Templari si stabilirono nel senese non abbiamo notizie certe, sappiamo però che nel 1148 possedevano già una casa a Siena presso Porta Camollia: tra gli insediamenti templari in Italia questo è da annoverarsi tra i primi, essendo preceduto solo da Messina (1131), Milano (1134) e Roma (1138). Tra i loro possedimenti in provincia di Siena si ha notizia di una "mansio Templi de Fruosina" , situata in località Valloria nella valle del Feccia, affluente del Merse, posta circa 2 km a sud di Frosini. La mansio era situata su di un importante incrocio stradale, costituito da una via, forse risalente all' epoca etrusca, che da Massa giungeva a Siena e ad Arezzo, ed una derivazione della Via Francigena che scendeva dalla Val d' Elsa fino a Grosseto, percorso ereditato in parte dall' attuale Via Maremmana. Una serie di strade minori trasformava la zona in una rete viaria di vitale interesse per il traffico dei metalli e dei prodotti agricoli del senese (in particolare lo zafferano).
Questo possedimento templare, in conseguenza del traffico commerciale intenso che transitava per le vie prossime al podere, era anche uno "spedale", con l?antico significato di albergo.
L'Abbazia di S. Galgano era proprietaria di terreni limitrofi e dal 1269 ne acquistò diverse volte direttamente dai Templari di Frosini; quando l'Ordine venne soppresso nel 1312 l'intero complesso passò in mano ad alcuni feudatari che nel 1323 lo rivendettero all'Abbazia. E' probabile che un secondo podere, sempre presso Frosini, di cui si sa per certo che appartenesse all'Abbazia da un tardo documento del 1702 , fosse anch'esso originariamente templare, a giudicare dal suo nome, "La Rosa", molto usato per i poderi templari fuori le mura dei borghi fortificati.
Da quanto detto, possiamo affermare con certezza che tra Abbazia di S. Galgano e Templari senesi esistessero almeno rapporti abbastanza stretti, sia di vicinato che commerciali, fin dal 1229.

 Sala Capitolare dell'Abbazia di San Galgano

2) La lapide della Rotonda
Si tratta di una piccola lastra di marmo di circa cm 35 x cm 20, recante quattro linee incise in un bel gotico e, sotto l'ultima, una piccola croce a otto punte con braccio inferiore fittile.
La lapide è situata a sinistra di chi entra nella Rotonda, cementata nel pavimento: la croce a otto punte di tipo fittile è riscontrabile presso i principali Ordini cavallereschi, ma data la vicinanza della Rotonda con un possedimento templare è lecito supporre che essa provenga dalla "Mansio Templi de Fruosina". La lettura del testo, scritto in un mediocre latino con una certa ricerca poetica e stilistica dalla cadenza abbastanza regolare, in parte abbreviato e in parte lesionato dal tempo, si può così ricostruire e tradurre:

Quisquis ades qui morte
cades me respice petram
quam cum morieris
capiti substratam habebis.

Chiunque tu (sia che qui) entri che per morte /cadrai, guarda me, la pietra, /la quale quando morrai /posta sotto la testa avrai. (lettura e traduzione del prof. P. Smiraglia, Accademia dei Lincei di Roma)

La lastra, cementata in tempo recente all' ingresso della Cappella, proviene certamente dalle sue vicinanze o, al più, dalla sottostante Abbazia. Secondo alcuni si tratterebbe di una lapide proveniente dalla Sala Capitolare dell' Abbazia, su cui si poneva in occasione della veglia funebre la testa del monaco deceduto.
Ciò però non trova riscontro in altre Abbazie, le cui sale capitolari non presentano un simile reperto, ma talora solo una lastra della grandezza media di un corpo umano e in materiale diverso dal pavimento in cui è collocata, e soprattutto non spiega l'uso di una croce così particolare, che trova invece preciso riscontro nella simbolistica degli Ordini cavallereschi ed in particolare di quello Templare.

 Capitelli dell'Abbazia di San Galgano

3) I capitelli dell' Abbazia
La seconda e la terza colonna del lato destro della navata maggiore dell'Abbazia a partire dal transetto presentano una figurazione insolita ripetuta con lievi varianti: palme stilizzate sormontate da una spada gigliata, simile a quella che spesso si ritrova sugli edifici e nelle raffigurazioni dei sigilli dell' Ordine del Tempio. La scultura potrebbe essere interpretata non solo come segno della presenza o comunque di contatti tra l' Ordine del Tempio e l'Abbazia, ma con una specifica significazione di vittoria dei Cavalieri nelle guerre di Palestina o ancora come connessione tra il simbolo della Spada e quello della Palma.
Infine, per concludere, ecco alcuni cenni sulla storia di Chiusdino, il paese natale di san Galgano, che ancora oggi conserva pressoché intatta la sua struttura di borgo medievale incastellato.
Non si hanno notizie certe sulla nascita del borgo di Chiusdino. Quando, nel 1004, viene fondata l'abbazia benedettina di Santa Maria, il borgo toscano non figura ancora. Probabilmente è solo un piccolo castello sulla sommità della collina con un breve circuito murario ellittico che racchiude il cassero, la pieve di san Miche Arcangelo e poche costruzioni a uso civile. Intorno a questo primo nucleo, sul versante della collina che si affaccia sulla Val di Merse, si sviluppa ben presto un piccolo borgo che diverrà uno dei punti strategici più importanti per i possedimenti dei vescovi di Volterra.
Durante tutto il XII secolo la sua fedeltà è indiscussa e lo sarà fino alla caduta definitiva del borgo in mani senesi il 22 maggio 1215. Oggi il borgo conserva intatta la sua fisionomia tipicamente medievale, fatta di vicoli e salite, di porte e cunicoli, di edifici religiosi e laici, di vestigia più o meno bene conservate. Il comune che avrebbe dato i natali a san Galgano, ne conserva ancora oggi la presunta casa natale e, negli ultimi anni, ha avviato la realizzazione di un museo ad esso dedicato, in cui dovrebbe trovare spazio l'elevata quantità di opere e reliquie che si vorrebbero far rientrare a Chiusdino dopo secoli di dispersione sistematizzata. Si possono ammirare angoli molto suggestivi come la zona delle "Buche" o le varie porte disclocate lungo la cinta muraria.
Ci si può addentrare nei vicoli e trovarsi dinnanzi a chiese millenarie, come quella di san Martino o quella di san Sebastiano, oppure a case e palazzi che ostentano antichi fasti. Tra queste viuzze, in queste atmosfere, dall'alto di una posizione che domina paesaggi incantati, mosse i suoi primi passi Galgano Guidotti, unico figlio di Guidotto e Dionigia, proprio negli anni in cui tutta l'area è interessata da una veloce e improvvisa crescita di cui il borgo non può non aver beneficiato. Nelle vicinanze transita, dall'inizio del secolo, una folla sempre più numerosa e varia, lungo l'asse della via Francigena che pellegrini, crociati e mercanti, utilizzano ormai quotidianamente, contribuendo allo sviluppo di intere regioni.
Proprio ai piedi di Chiusdino, una diramazione della Francigena, la via Massetana (o Maremmana), conduce alle Colline Metallifere e, da lì, prosegue verso Massa Marittima (che dal 1138 diviene sede vescovile) raggiungendo infine la costa e i gli imabarchi commerciali di Piombino, Puntone e Castiglione della Pescaia. Le miniere di Montieri e Gerfalco riaprono e l'attività estrattiva ritrova nuovi splendori proprio nel cuore del XII secolo. Sorgono borghi, castelli, pievi e basiliche che disegnano nuovi itinerari, che producono nuove ingordigie, che scatenano conflitti e ridisegnano alleanze.
Sono terre contese, parte dell'immenso patrimonio che Matilde di Canossa lascia alla Chiesa con un testamento subito impugnato dall'imperatore Enrico IV che ne rivendica invece il possesso. Dalla morte di Matilde nel 1115 in poi, la contesa proseguirà ininterrotta per oltre un secolo con alterne fortune; sarà materia di scambio e di scontro, favorirà la nascita e la crescita di particolarismi, produrrà zone di anarchia feudale e tentativi egemonici di potentati locali, susciterà nuovi appettiti e scandirà il passare del tempo. Chiusdino rimarrà feudo dei vescovi di Volterra e ne subirà solo in parte le burrascose vicende.
Il toponimo "castrum Cluslini" appare per la prima volta in un documento del 1133 stipulato tra il vescovo di Volterra, Crescenzio e la vedova e i figli del conte Ugolino di Guido II dei Gherardeschi, alla presenza dell'arcivescovo di Pisa, Uberto e di Ugo Visconti e Pietro Albizzone in qualità di arbitri della lite e la mediazione di papa Innocenzo II (1130-1143), anch'egli presente. A partire dal 1164 si insedia a Chiusdino anche un vicecomes imperiale e ciò riassume bene l'importanza che devono avere assunto il borgo e il territorio circostante. Un documento del 1191 conferma ancora il pieno controllo del castello da parte del vescovo volterrano.
La guerra con Siena per il possesso delle miniere divampa di lì a poco. Nel maggio del 1215, il vescovo Pagano Pannoschieschi si rifugia a Chiusdino per prepararsi allo scontro finale. Il castello viene assediato e dopo un'accanita resistenza è costretto a capitolare. La resa viene stipulata con una lunga serie di atti, redatti tra il 17 e il 22 dello stesso mese, nei quali Pagano riconsoce, tra l'altro, i diritti di Siena su Montieri, Chiusdino, Frosini e Montalcinello e si impegna a versare un pesante riscatto. Nel XV secolo, l'abitato di Chiusdino raggiunge approssimativamente le dimensioni dell'attuale centro storico.
E' possibile reperire ulteriori numerose informazioni sulla figura di San Galgano, sugli edifici sorti in sua memoria e sugli eventi che qui si sono svolti negli ultimi anni nelle pagine del sito Enigma Galgano (http://web.genie.it/utenti/e/enigmagalgano) che, dall'ormai lontano 1999 raccolgie e organizza i più disparati materiali (saggi, notizie, curiosità) che, a ritmo vertignoso, trattano di questo singolare e affascinante protagonista del Medioevo.

di Maurizio Calì
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