

"Vedi, amico mio carissimo" mi diceva spesso Ludovico
Fervoni "il metodo investigativo deve essere basato sull'esclusione
delle ipotesi meno probabili. Scartate queste ipotesi, tutto ciò
che resta, per quanto improbabile, dovrà per forza essere
molto ma molto vicino alla verità."
Questa è la frase che più mi resta nella memoria del
mio sfortunato amico studioso di storia, ucciso inaspettatamente
da un sicario solitario penetrato di nascosto nella sua casa al
primo piano attraverso la porta del balcone aperta, mentre era solo
a compulsare libri e documenti in merito al mistero storico della
Maschera di Ferro, un Enigma che da qualche anno lo teneva occupato
in letture e ricerche persino di carattere investigativo, uno studio
diventato talmente appassionato e annichilente di ogni altro interesse
culturale da averlo condotto persino a viaggiare in lungo e in largo
per l'Italia e la Francia.
Non so se la sua uccisione sia da ascrivere ai suoi noti interessi
storici o a qualche altra causa di natura strettamente personale
e privata, ma la coincidenza dei suoi interessi e le sue peregrinazioni
saltuarie in Italia e in Francia con questa morte improvvisa la
dicono lunga su una probabile connessione tra la sua principale
occupazione e la sua dipartita.
La telefonata della moglie mi arrivò appena un'ora dopo la
scoperta dell'omicidio. Quando giunsi a casa del defunto, trovai
un nugolo di carabinieri che stavano compiendo i rilievi di rito
e approfondite perlustrazioni alla ricerca di qualche reperto utile
per le indagini.
L'abitazione era stata completamente scompigliata, specialmente
la biblioteca era stata messa letteralmente a soqquadro, tutti i
libri giacevano a terra alla rinfusa in una confusione inenarrabile,
evidentemente il sicario, dopo avere ucciso lo studioso, era alla
ricerca di qualche documento che forse non aveva potuto o saputo
trovare per la fretta.
Mi presentai agli agenti nella mia qualifica di investigatore privato
e mi fu permesso di osservare dettagliatamente la scena.
Quando gli agenti se ne furono andati e il morto fu portato al più
vicino obitorio, chiesi alla moglie se sapeva di qualche documento
nascosto dal consorte, al chè, come mi ero aspettato, ella
mi rivelò quasi con le lacrime agli occhi che il manoscritto
sulla Maschera di Ferro che il suo Ludovico stava quasi per terminare
era stato misteriosamente asportato dal posto in cui il defunto
lo aveva collocato, come del resto era stato sequestrato anche il
computer . Poteva però darmi qualcosa che mi poteva tornare
utile nelle mie indagini personali, una specie di taccuino in cui
erano presenti numeri telefonici e appunti di colloqui con vari
personaggi con i quali l'ucciso si era intrattenuto per alcuni mesi,
oltre ad un flop disck che le era stato affidato dal marito per
ogni evenienza nel quale, come promemoria dell'opera che aveva in
animo di redigere, l'autore aveva riportato il sunto di una misteriosa
visita compiuta a Parigi. Lo affidò a me pregandomi di andare
al fondo delle cause del delitto.
Prima di andarmene le chiesi cosa avevano trovato gli agenti nella
loro perquisizione e la signora Teresa, questo era il suo nome,
mi rivelò che avevano scoperto e ovviamente portato via una
medaglietta che forse il sicario teneva al collo, che riportava
l'effige di una donna, probabilmente della madre. Logicamente l'oggetto
era stato posto sotto sequestro e uno degli agenti le disse che
in proposito le avrebbe detto qualcosa di più in seguito.
La salutai con deferenza e tornai a casa.
Qui mi disposi a compulsare il taccuino e subito saltò dinanzi
ai miei occhi un numero telefonico con accanto il relativo nominativo:
nientemeno che il Cardinal Romualdo Lettieri, Ispettore degli Archivi
Vaticani Segreti con un incarico nella famosa e controversa Congregazione
per la Salvaguardia della Fede, il nome moderno dell'antica Inquisizione
antiereticale . La circostanza mi parve subito sospetta, come sospetto
mi parve subito un piccolo sunto di un colloquio sostenuto dal defunto
con un certo Fraulet, segretario personale del Direttore della Biblioteca
Centrale di Parigi, presso la quale ovviamente Ludovico si era recato
per le sue ricerche storiche. Vi erano anche riferimenti a una sua
visita effettuata a Pinerolo sette mesi or sono, con due o tre numeri
telefonici che corrispondevano ad altrettanti studiosi locali della
Maschera di Ferro.
Subito, mi fu chiaro che la connessione tra i suoi studi e la sua
morte era un'evenienza che non si doveva scartare per nessun motivo,
troppi essendo i fatti in grado di avvalorarne l'attendibilità.
I miei dubbi divennero certezza allorchè, collocato il flop
disck nello spazio relativo del modem, lessi allibito quanto segue.
Uno dei misteri colossali della storia umana è costituito
senz'altro dalla vicenda altamente inquietante della cosiddetta
Maschera di Ferro, un individuo oscuro e quanto mai incognito sul
quale la ricerca sembra arenatasi per l'impossibilità intrinseca
di pervenire ad una qualche verità che sia in grado di squarciarne
quanto meno una parte dei cotanti arcani.
Quando cominciai le mie indagini, dapprima quasi come passatempo
e poi via via sempre più impegnato man mano che riuscivo
meglio ad inquadrare la questione, mi resi subito conto che qualcosa
di assai losco era stato nascosto in quella vicenda tanto conturbante,
un qualcosa che era mio dovere indagare fino in fondo, tenuto conto
che ho sempre considerato la ricerca della Verità storica
la mia più grande aspirazione.
Cominciai così a frequentare archivi e biblioteche, lessi
innumerevoli libri, ma la materia sembrava così ostica che
non riuscivo in alcun modo a scoprire un bel niente; si parlava
di un certo Dauger, arrestato in circostanze oscure a Calais o a
Dunkerque nel nord-ovest della Francia, si ripeteva il nome di Nicolas
Foucquet quale depositario di "segreti di Stato", anch'egli
arrestato misteriosamente e in seguito ad un altrettanto strano
processo internato nella fortezza militare di Pinerolo, si accennava
ad un certo Mattioli, diplomatico al seguito del Duca di Mantova,
impegnato in quel tempo in trattative segrete per la cessione di
Casale alla corona francese, che in seguito venne catturato per
alto tradimento e condotto anch'egli a Pinerolo, si vociferava di
altri avventurieri e qualche romanziere riteneva quasi per certo
che sotto la Maschera di Ferro si celasse nientemeno che il fratello
gemello di Luigi XIV, un'ipotesi, quest'ultima, difesa ancora a
spada tratta anche da innumerevoli storici e studiosi.
Insomma, nulla di preciso. Il mistero, sin dal 1703 in cui secondo
gli storici la Maschera di Ferro muore alla Bastiglia, resta tutt'oggi
tale ed anzi tende ad infittirsi.
Ma io non sono tipo da arrendermi facilmente e dopo avere studiato
montagne di libri e documenti, immediatamente compresi che vi era
nella storia un particolare che balzava subito all'attenzione: ad
un certo punto, Dauger, arrestato nel 1669, dopo circa cinque anni
di prigionia viene posto in qualità di servitore nella stessa
cella di Nicolas Foucquet, l'inquietante Ministro delle Finanze
di Re Sole come detto fatto arrestare da quest'ultimo con l'accusa
fantomatica di essersi appropriato di beni dello Stato francese
e persino di essere a capo di un complotto sedizioso teso allo scardinamento
della monarchia.
E' un particolare che mi ha dato sempre da pensare, tenendo specialmente
conto che nugoli di esperti della materia danno ormai quasi per
scontato che la Maschera di Ferro fosse stato proprio questo oscuro
Dauger.
Ebbene, ammesso e non concesso che Dauger fosse stato celato davvero
sotto la Maschera di Ferro e quindi in possesso di certi segreti
"proibiti" che tale dovevano rimanere anche a costo di
seppellirlo vivo, come mai viene collocato in qualità di
valletto nella cella di Foucquet, personaggio assai controverso
anch'egli ritenuto in possesso di "segreti" poco raccomandabili
e che forse proprio per queste sue "conoscenze" era stato
tradotto nel mastio di Pinerolo dopo un processo-farsa che ancora
oggi fa rizzare i capelli a chi se ne intende di Giustizia?
Insomma, c'era un dettaglio che non quadrava: chi era davvero in
possesso di questi "segreti", Dauger o Foucquet? E come
spiegare l'altro enigma di questa allucinante storia, quello riguardante
la presunta uccisione del Ministro ad opera proprio di Dauger? Perché
non si è mai trovata la salma di questo eminente uomo politico?
E perché, altro angosciante enigma, il mistero della Maschera
di Ferro inizia proprio subito dopo la morte del soprintendente
alle Finanze, a partire appunto dal 1680, quando viene ordinato
al signor de Saint-Mars, responsabile del carcere pinerolese, di
condurre e segregare ancor di più in una cella praticamente
inaccessibile sia Dauger, sia La Riviere, altro servitore che per
molto tempo abitò la cella dello sfortunato Ministro? Perchè
il marchese de Louvois, ministro della Guerra con l'incarico di
supervisore delle carceri francesi, dà anzi ordini tassativi
al de Saint-Mars affinché si divulghi la voce che questi
due individui sono stati praticamente liberati, forse per trarre
in inganno un altro enigmatico prigioniero, l'avventuriero conte
de Lauzun, anch'egli entrato nascostamente e in maniera rocambolesca
in rapporti col Foucquet attraverso un buco praticato nel soffitto
in corrispondenza della cella di quest'ultimo? E perché il
conte viene in seguito rilasciato, nonostante si sapesse di quanto
sciolta avesse la lingua?
E che dire, per finire, di quella misteriosa missiva spedita dall'abate
Louis al potente fratello Nicolas Foucquet, dopo un incontro segreto
sostenuto dal primo col l'inquietante pittore Nicolas Poussin?
In quella lettera, cui tuttora gli storici sembrano non dare quell'importanza
cruciale anche per l'evidente difficoltà di interpretarla
nella maniera giusta, Louis scriveva al Ministro delle Finanze di
Luigi XIV quanto segue: "Non potreste credere, signore, né
le fatiche che si sobbarca per il vostro servizio, né l'affetto
con cui lo fa, né il merito e la probità che mette
in ogni cosa. Ho reso al signor Poussin la lettera che voi gli avete
fatto l'onore di scrivergli; lui ed io abbiamo progettato certe
cose delle quali potremmo intrattenervi a fondo tra poco e che vi
doneranno, tramite appunto il signor Poussin, dei vantaggi (se voi
non vorrete disprezzarli) che i re durerebbero gran fatica ad ottenere
da lui e che, dopo di lui, nessuno al mondo scoprirà nei
secoli futuri; e quello che più conta, ciò sarebbe
senza molte spese e potrebbe persino tornare a profitto, e si tratta
di cose da ricercare così fortemente che nulla di quanto
esiste sulla terra potrà avere migliore fortuna od esservi
uguale."
Di quali conoscenze e di quali vantaggi si trattava? E' un mistero
insondabile che è mio dovere indagare fino in fondo, poiché
si tratta forse del dettaglio più importante dell'intera
vicenda, un dettaglio che può condurci alla rivelazione del
segreto e dell'identità del misterioso individuo cui la Storia
dà la caccia da ben tre secoli.
Da quanto mi risulta, forse la lettera venne intercettata dalle
spie di Mazzarino e da questi passata al Re, che non perse tempo
per mettere alle calcagna del suo fastoso Ministro diversi agenti
segreti col compito di controllarne le mosse private e pubbliche.
Strano ma vero, è proprio da quel momento che Foucquet comincia
ad avvertire attorno a sé un clima politico assai sfavorevole,
ma poiché è ancora in ottimi rapporti col suo protettore
Mazzarino, le sue alterne vicende si trascinano ancora per qualche
anno, fino al 1661, anno della morte del Cardinale e anno, appunto,
nel quale viene con una sorprendente coincidenza arrestato da d'Artagnan
con l'accusa abbastanza sintomatica di sedizione contro il potere
monarchico di Luigi XIV.
Mi fermo qui, perché altrimenti non si finirebbe mai di scrivere
e annotare gli innumerevoli enigmi di questa storia.
Ad ogni modo, pur di fronte a questa congerie di misteri insondabili,
non mi persi d'animo e per prima cosa decisi di compiere in incognito
un viaggio proprio a Pinerolo per una ricerca sul posto.
Andai dapprima nella Biblioteca della città e m'intrattenni
con il Direttore, chiedendogli libri e documenti in merito alla
vicenda che tanto mi stava a cuore. Mi furono dati in visione alcuni
testi, ma nulla più. Chiesi come mai di alcuni autori famosi
non si trovassero le relative opere e mi fu risposto che in verità
a Pinerolo la questione non era ritenuta degna di molta attenzione.
Come? La Maschera di Ferro è vissuta a pochi passi da qui
e a Pinerolo non se ne danno pena? La cosa mi parve assai contraddittoria.
Nelle giornate susseguenti cercai di entrare in rapporti con abitanti
e studiosi del posto, ma tutti avevano l'aria di fregarsene di questa
vicenda, dicevano che ne avevano piene le tasche e non desideravano
sentir parlare di maschere e cose varie. La circostanza fu per me
la spia rivelatrice che qualcuno in Italia non voleva che s'indagasse
su questa questione, particolare dimostrato anche dal fatto che
di alcune opere scritte in francese non esistono praticamente traduzioni,
a partire da quella ciclopica di Lair e di Iung per finire con un'opera
specifica di Gerard De Sede che allude a Foucquet quale conoscitore
di segreti in rapporto alla questione altrettanto inquietante di
Rennes-le-Chateau.
Dopo un lungo colloquio col Sindaco di Pinerolo, che in pratica
cercò di distogliere i miei interessi dai gravi angoscianti
enigmi sopra riportati, alla fine fu giocoforza decidere di ritornare
nella mia terra natia, anche per le circostanze poco chiare di alcuni
accadimenti verificatisi nell'albergo in cui avevo alloggiato, dove
appunto rimasi colpito da una visita improvvisa della gendarmeria
del posto, che dopo controlli e una specie di fitto interrogatorio,
mi consigliarono velatamente di lasciare Pinerolo al più
presto possibile. La mia presenza, ovviamente, non era gradita,
forse avevo commesso qualche errore di cui comunque non riuscivo
a trovare traccia nella mia memoria.
Giunto a casa, però, e accendendo il computer, ebbi la nuova
di leggere un'e-mail, nella quale uno studioso francese sconosciuto
m'invitava a Parigi per una questione della "massima urgenza".
Come aveva saputo che indagavo sul mistero della Maschera di Ferro?
Aveva forse trovato il mio nome sul web, nel quale avevo scioccamente
fatto filtrare il tenore delle mie ricerche? Era possibile, in effetti
proprio su questo mistero avevo ottenuto di poter pubblicare on
line un piccolo articolo che evidentemente aveva colpito nel segno.
Ma era una cosa saggia da fare intrattenermi con uno sconosciuto?
Certamente no. Potevo andare incontro a spiacevoli inconvenienti.
Afferrai dunque la cornetta e m'informai presso un mio collega francese
se conosceva l'uomo in questione. L'altro mi confermò che
potevo fidarmi, si trattava di una persona molto dabbene peraltro
con un impiego presso l'Archivio Nazionale Documenti Storici. Il
gioco valeva la candela, cosicché, fatti i bagagli in fretta
e furia, l'indomani mattina presto partii col primo aereo diretto
a Parigi. Qui alloggiai in un hotel modesto il cui indirizzo avevo
comunicato al mio sconosciuto interlocutore, e dopo circa quattro-cinque
ore che mi ero sistemato nella mia stanza sentii bussare al portone.
Era proprio lui, un uomo sulla sessantina con folti baffi e parrucca
e dagli occhi scuri e penetranti quanto mai. Parlava molto bene
l'italiano, cosicché entrammo subito nel merito della discussione.
Mi disse subito di non aver paura, che era venuto per aiutarmi nella
mia ricerca della Verità, che si trattava di una questione
della massima importanza, che dovevo dimostrarmi all'altezza del
compito affidatomi dal destino. Io gli dissi che non riuscivo a
seguirlo, al chè mi chiese guardingo di prepararmi per una
passeggiata ai Campi Elisi. Rimasi sbalordito dalla proposta, "non
sono venuto per una gita" mi difesi. Ma l'altro si dimostrò
talmente insistente che alla fine dovetti cedere, anche per un senso
di curiosità irrefrenabile.
Uscimmo dall'albergo che erano circa le sei di pomeriggio, era quasi
buio e l'idea di compiere un'escursione a Parigi insieme ad uno
sconosciuto non era per nulla allettante.
"Dove andiamo?" chiesi titubante e continuai timoroso
del suo improvviso mutismo: "Intende davvero condurmi ai Campi
Elisi?" "No" fu la gelida risposta dell'altro "desidero
farle conoscere un anziano signore che si interessa di anticaglie
e documenti storici inediti. Credo che le farà piacere incontrarlo.
Sono in ottimi rapporti con lui, sto trattando proprio in questo
periodo l'acquisto da parte dell'Istituzione che rappresento alcuni
documenti inediti che certamente saranno tali da accendere la sua
curiosità."
Mentre camminavamo spediti in mezzo ad una strada deserta di passanti
e stranamente anche di autoveicoli, mi accorsi che eravamo pedinati
da lontano da due strani figuri apparsi all'improvviso ad un incrocio,
che ci stavano osservando addirittura con un binocolo. Rivelai subito
la circostanza al mio accompagnatore e l'altro mi consigliò
di accelerare l'andatura.
"Forse ci hanno scoperti" disse indispettito "a questo
punto conviene che ci dividiamo. Ci rivedremo in via Sedan, accanto
ad una birreria. Si trova in fondo a quella via a destra. La percorra
fino ad un grande incrocio e poi vada a sinistra e subito a destra
in fondo, ma molto in fretta, potrebbero inseguirci!"
Feci come consigliatomi e seppure non conoscessi questa via Sedan,
infilai la traversa che mi era stata suggerita ed in breve mi ritrovai
a percorrere una zona di Parigi per me ovviamente del tutto sconosciuta.
Già maledicevo il momento in cui mi ero deciso di venire
nella capitale francese, già cominciavo a temere chissà
quale terribile inconveniente. Una paura incontenibile s'impossessò
di tutte le mie membra e ad un tratto mi accorsi sorpreso di stare
correndo come un pazzo scatenato. Qualche viandante mi apostrofò
in malo modo allorché gli passai talmente vicino da impaurirlo.
Ero ancora impegnato in una corsa furiosa attraverso vie e straduzze
di Parigi, allorché fui fermato da un passante che, presomi
letteralmente sotto le ascelle, mi disse che aveva ricevuto l'ordine
di condurmi in un posto preciso, per un "appuntamento".
Vista la situazione (anche perché il "punto preciso"
corrispondeva alla casa indicatami), credetti opportuno prestar
fede all'improvvisa apparizione ed in breve entrammo per un portone
roso dalle tarme, attraversammo un androne buio e quindi scendemmo
in una specie di ampio scantinato dove giacevano alla rinfusa innumerevoli
scartoffie e vetusti testi ingialliti dal tempo e dall'umidità
e in quel locale poco raccomandabile ritrovai rinfrancato il mio
oscuro anfitrione che stava parlottando con un uomo dalla pelle
raggrinzita dalla vecchiaia incipiente. Era il trafficante di anticaglie
di cui mi aveva parlato. La mia fortuita guida a questo punto ci
lasciò e lo strano individuo per cui mi trovavo colà
disse al vecchio di prendere un documento preciso, una specie di
pergamena annerita e mezzo bucherellata dal tempo, insieme a due
altri fogli mezzo fradici che rappresentavano gli originali o le
minute di due strane lettere spedite a suo tempo dal marchese di
Louvois al capitano di Saint-Mars. Mi furono messi sotto il naso
e mi si consentì di sedermi ad un tavolo per leggerli e tradurli
simultaneamente.
Mi chiamo Nicolas Foucquet e ho servito fedelmente il mio augusto
Re Luigi XIV. Per un sinistro destino che non avrei mai desiderato,
sono rimasto vittima di una vicenda quanto mai terrificante che
non auguro a nessuno di vivere. Sono stato accusato delle più
turpi azioni di questo mondo, ma Dio è mio testimone che
si tratta di accuse costruite a tavolino da Colbert e dai suoi accoliti
per rovinare la mia reputazione e la mia vita. Ma non sono riusciti
nel loro blasfemo intento.
Dopo aver subìto un processo assurdo ed essere stato internato
nella fortezza di Pinerolo, nel 1680, anno della mia presunta morte
anch'essa costruita a tavolino, sono riuscito ad evadere dalla prigione
con l'aiuto di un'organizzazione segreta della quale non rivelo
il nome (S
).
Da allora sono vissuto in incognito in un villaggio del sud della
Francia e logicamente farò di tutto pur di salvare in incognito
la pelle.
Sono ormai un vecchio in attesa di presentarmi dinanzi all'Onnipotente,
cosicché la mia anima deve essere mondata da tutte le menzogne
di questo mondo.
Dico allora subito che dietro il Mistero della Maschera di Ferro
si cela una Verità che neppure il de Saint-Mars (spietato
carceriere di Pinerolo al soldo del marchese de Louvois) conosce.
Il mio sfortunato compagno di prigione, il signor Dauger, collocato
nella mia cella in quanto mia vecchia conoscenza, altri non era
che un affiliato ad un'Associazione Massonica di cui anch'io facevo
parte, un uomo ritenuto pericoloso perché in strettissimi
rapporti col ducato dei Lorena, fatto arrestare pretestuosamente
dagli sgherri di Colbert perché si temeva che qualcuno potesse
usarlo per rovesciare la Monarchia di Luigi XIV.
Dopo la mia fuga, il Saint-Mars, come ho saputo in seguito, ha fatto
rinchiudere Dauger e La Riviere (l'altro mio valletto) in una cella
sotterranea, affinché di essi si perdessero per sempre le
tracce, in quanto lo spietato secondino riteneva per certo fossero
a giorno di certi segreti dei quali in verità sono anch'io
in possesso. Ma allora, perché li hanno collocati nella mia
cella? La cosa ha veramente dell'assurdo!!
Non nego che tali segreti esistano, dico solo che è assolutamente
contrario alle leggi divine incarcerare chicchessia solo perché
una Verità non piace. Ed io, purtroppo, una Verità
la posseggo.
Nel 1656, parlando amichevolmente col mio triste fratello l'abate
Louis, essendo stato da sempre un mecenate convinto delle arti letterali
e pittoriche, e avendo avuto notizia di un certo Poussin, a quel
tempo vivente a Roma, lo pregai di recarsi nella capitale italiana
per discutere con l'interessato dell'eventuale acquisto di alcune
sue opere, specialmente delle due che portano come titolo "I
Pastori d'Arcadia", con le quali desideravo ornare i miei castelli.
In verità quest'iniziativa mi era stata caldeggiata da alcuni
personaggi facenti parte di quella stessa Associazione Esoterica
sopra accennata, della quale facevano parte anche alcuni miei intimi
familiari, i quali mi pregarono vivamente di compiere quel passo
in quanto, mi rivelarono, in quelle tele era racchiusa una Verità
talmente sconvolgente da distruggere dalle fondamenta l'intero impianto
della Chiesa di Roma.
Incuriosito da queste strane rivelazioni, pressai i miei familiari
affinché mi rendessero edotto di quale mistero poteva mai
trattarsi, al chè, dopo vari tentennamenti, mi fu detto che
lo avrei saputo solo se avessi acconsentito ad entrare in incognito
nell'organizzazione di cui sopra, che allora si stava battendo per
far cadere la legittimità al trono dell'ancora giovane Luigi
XIV in favore del fratello di Luigi XIII, morto senza discendenti
sicuri. Come ben tutti sanno, sto parlando di Gastone d'Orleans,
in seguito sposatosi con una damigella del nobile Casato dei Lorena,
fortemente impegnato a salire al trono alla morte del fratello senza
eredi. Mi fu detto che la candidatura di Gastone d'Orleans aveva
preso piede dopo appunto il suo matrimonio con la nobildonna sunnominata,
in quanto si vociferava che la Stirpe dei Lorena fosse depositaria
di conoscenze segrete particolarmente devastanti in quanto presunti
discendenti dei Merovingi, i primi Re francesi a loro volta depositari
di segreti in rapporto al mistero della discendenza di Gesù.
Non vi può essere dubbio che rimasi assai scosso da tali
sinistre rivelazioni e innocentemente domandai ai miei consanguinei
che c'entrava questo discorso con Nicolas Poussin. Mi dissero che
c'entrava, e anche di molto, in quanto nelle due tele dei "Pastori
d'Arcadia" il pittore francese emigrato a Roma aveva nascosto
una pista cifrata in grado di dimostrare la veridicità delle
aspirazioni dei Lorena. Ma non era solo di questo che si trattava,
mi fu aggiunto. Il fatto altamente inquietante riguardava appunto
il destino di Cristo, che non sarebbe affatto resuscitato, ma che
si troverebbe al contrario sepolto in una zona che il dipinto di
Poussin mostra con una chiarezza lampante. Si tratterebbe di un
sito molto vicino all'attuale cittadella di Rennes-le-Chateau.
Dopo essere entrato in possesso di queste ed altre confidenze, ovviamente
convinsi il mio povero fratello a recarsi a Roma. Egli si incontrò
con Poussin e mi mandò una lettera nella quale alludeva a
conoscenze in possesso del suddetto pittore, conoscenze talmente
dirompenti che i Re avrebbero fatto di tutto pur di carpirne il
contenuto.
La lettera era redatta in questi termini: "Non potreste credere,
signore, né le fatiche che si sobbarca per il vostro servizio,
né l'affetto con cui lo fa, né il merito e la probità
che mette in ogni cosa. Ho reso al signor Poussin la lettera che
voi gli avete fatto l'onore di scrivergli; lui ed io abbiamo progettato
certe cose delle quali potremmo intrattenervi a fondo tra poco e
che vi doneranno, tramite appunto il signor Poussin, dei vantaggi
(se voi non vorrete disprezzarli) che i re durerebbero gran fatica
ad ottenere da lui e che, dopo di lui, nessuno al mondo scoprirà
nei secoli futuri; e quello che più conta, ciò sarebbe
senza molte spese e potrebbe persino tornare a profitto, e si tratta
di cose da ricercare così fortemente che nulla di quanto
esiste sulla terra potrà avere migliore fortuna od esservi
uguale."
Quando fummo a quattr'occhi, lo interrogai a dovere sui contenuti
di questa lettera e qui ebbi la conferma che effettivamente qualcosa
di assai losco si stava profilando all'orizzonte. Mio fratello mi
disse in sostanza che Poussin era passato un giorno per caso o di
proposito (su questo particolare non posso essere più preciso)
da Rennes-le-Chateau e di avere dipinto la tomba del suo quadro
copiandola pedissequamente da una realmente esistita in quel posto,
con nello sfondo il conseguente panorama del piccolo paesino dei
misteri. Alla mia domanda del perché di questa sosta di Poussin
a Rennes-le-Chateau e su chi lo avrebbe consigliato di fermarsi
in quel posto, rispose che su questo dettaglio il signor pittore
non aveva voluto sbottonarsi, parlò vagamente di una "assistenza
occulta" ricevuta e che in ultima analisi non poteva aggiungere
altri particolari.
Strano che possa sembrare, dopo questo colloquio con mio fratello,
la mia vita politica cominciò a peggiorare. Notavo sempre
più apprensivo che mi si guardava fisso negli occhi quasi
in segno di rimprovero, mi si frapponevano ostacoli sul mio lavoro
mai prima di quel momento sperimentati. Lo stesso Capo del Governo,
quel Mazzarino a cui avevo fatto tanti favori, dava segnali di volersi
un po' distaccare dalla mia amicizia, cercando in tutti i modi di
mettermi in cattiva luce davanti al Re nel mentre che si adoperava
per l'avanzamento in carriera del suo personale segretario, quel
Colbert che divenne il mio più aspro nemico.
Forse annusando le mie trame (in effetti avevo cominciato a frequentare
di nascosto insieme a mia madre l'organizzazione esoterica di cui
sopra), ad un certo punto Mazzarino divenne con me sempre più
scorbutico, esigeva ogni giorno somme sempre più considerevoli
per bisogni governativi di cui però non mi rivelava mai la
destinazione e forse segretamente mise alle mie calcagna qualche
spia per controllare le mie mosse, iniziativa che si fece evidentemente
sempre più stringente allorché fummo messi al corrente
che la nostra organizzazione era stata scoperta
ed io con
lei.
Qui cominciò la mia disgrazia. Colbert si faceva di ora in
ora più spavaldo, arrivò persino a togliermi il saluto,
me ne combinò di cotte e di crude, evidentemente si riteneva
al riparo perché protetto sia da Mazzarino, sia non ancora
apertamente dallo stesso Luigi XIV. Fatto sta che, quando il primo
morì, si ordì a mio danno una sottile congiura nella
quale caddi come un agnello, mi si consigliò in sostanza
che, data la mia alta posizione come Ministro delle Finanze, non
era una bella cosa per il pubblico parigino sapere che mantenevo
contemporaneamente la carica di Procuratore generale del Parlamento,
ragion per cui il Re in persona, manovrato ad arte da Colbert, mi
chiese con una gentilezza che mi parve in verità molto artificiosa
di permettere che qualcun altro si occupasse di questa seconda carica
che ricoprivo, me ne sarebbe stato assai grato e per questo, come
in realtà avvenne, sarei stato ripagato lautamente. Lasciai
dunque il mio posto al Parlamento e fu proprio dopo essermi svestito
di tale potere che mi accorsi che il Re in persona non perdeva mai
occasione per biasimarmi in privato e a volte persino in pubblico
a causa del debito finanziario in cui versavano allora le casse
francesi. Io mi difesi come meglio potei, parlando delle responsabilità
di Mazzarino e della sua politica dispendiosa, ma il Re si mostrava
quasi indifferente dinanzi alle mie lagnanze e ogni giorno ritornava
a ripetermi alla litania accuse vaghe che cominciavano ad infastidirmi
ed anche ad impaurirmi. Pensai ad un certo punto di tagliare la
corda, ma oramai era troppo tardi, il Re aveva ormai ordinato il
mio arresto.
Il processo a cui fui sottoposto fu uno dei momenti più difficili
e allo stesso trionfali della mia vita, era evidente che i giudici
erano pagati e manovrati per accusarmi delle più svariate
nefandezze mai da me commesse; mi fu rinfacciato che mi ero appropriato
in maniera fraudolenta di fondi statali per abbellire le mie residenze,
che ero a capo di un complotto sedizioso teso a scalzare dal trono
il Re, mi si mostravano carte da me controfirmate che potevano confermare
tali accuse, ma le firme erano palesemente contraffatte. Quando
a mia volta ribattevo che potevo provare documenti alla mano dove
erano andati a finire quei fondi e dove fossero le testimonianze
del complotto, mi s'ingiungeva di tacere e di inchinarmi alla volontà
del Re. Alla fine mi fu consentito di difendermi e provai nel più
grande e per me inaspettato trionfo che tutto era falso, al chè
i soliti giudici corrotti fecero sparire gli incartamenti che avevo
presentato, secretandoli e non ammettendoli più nel corso
degli ulteriori dibattimenti. Il mio avvocato dovette subire varie
minacce, io stesso venni interrogato in modo violento nella mia
cella, mi si minacciò persino di morte se non avessi confessato,
mi fu ingiunto di rivelare i nomi dei miei amici implicati nel complotto
contro il Re, ma io fui irremovibile pur sotto la tortura e non
tradii alcuno dei miei.
Se complotto c'era stato, si trattava solamente del complotto della
Verità. E la Verità era che Luigi XIV non era l'erede
legittimo al trono, che era il figlio dell'adulterio consumato da
sua madre la Regina Anna d'Austria con non so quale bel giovane
e che al suo posto avrebbe dovuto sedere Gastone d'Orleans, erede
già designato dal popolo andato in sposo ad una sorella del
Duca di Lorena.
Pur convinto fin nei precordi di questa Verità, però,
non avevo fatto nulla per trarne le dovute conseguenze, anzi avevo
tenuto a freno alcuni dei miei più spavaldi amici che a tutti
i costi, in effetti, desideravano l'immediata destituzione del Re.
Il processo si trascinava con fasi alterne, ma io sentivo che il
popolo di Parigi era con me, cosicché mi feci più
baldanzoso che mai, ma all'improvviso entrò in gioco, a quanto
mi è dato di sapere, la Chiesa, messa al corrente dal Re
delle conoscenze da me acquisite dopo il contatto tramite terzi
col pittore Poussin.
Se fosse stato solo per le accuse nebulose rivoltemi stancamente,
sicuramente l'avrei avuta vinta. Ma quando cominciò a muoversi
contro di me la Chiesa, capii che il processo si sarebbe concluso
con la mia condanna a morte.
Evidentemente, durante il suo soggiorno a Roma, Poussin era stato
notato da spie e gendarmi del papato, forse lo stesso Poussin era
stato tradito da qualche amico che riteneva al di sopra di ogni
possibile immaginabile sospetto ed in effetti mi hanno sempre dato
da pensare alcune coincidenze, specialmente quelle relative alla
sua morte, avvenuta non a caso qualche mese dopo la conclusione
del mio orribile processo e cioè nel 1665.
Dunque, sembra pacifico che la Chiesa abbia fatto pressioni sul
Re per farmi condannare a morte, in quanto, insieme a Poussin, mi
si riteneva in possesso di conoscenze "proibite" in riferimento
alla vera storia di Gesù e alla sua discendenza di sangue
culminata nei Merovingi e poi sfrangiatasi in vari rivoli di cui
uno era sicuramente il Casato dei Duchi di Lorena imparentatisi
con Gastone d'Orleans proprio allo scopo di ovviare ad un'usurpazione
politico-religiosa che era durata ben sedici secoli.
Il processo quindi ebbe termine, ma i giudici, sicuramente marcati
a vista dai miei nemici politico-religiosi, non se la sentirono
di farmi impiccare e decisero per il bando perpetuo dalla Francia,
ma il Re, come mi aspettavo, non fu dello stesso parere e temendo
che potessi rivelare all'estero il "segreto" di cui sopra,
fece cambiare il verdetto condannandomi vergognosamente al carcere
perpetuo nel brutto mastio di Pinerolo.
I primi anni furono durissimi, non potevo parlare con nessuno, mi
si impediva persino di uscire nel cortile della prigione per respirare
un po' d'aria, non mi si davano penne o libri, non si permetteva
neppure che potessi ascoltare messa; il Saint-Mars, pur nella sua
cieca tracotanza, qualche volta mi portava un po' di sollievo mangiando
insieme a me nella cella, ma evitando di intrattenersi con me su
discussioni che non fossero quelle banali relative al tempo e alla
bontà dei pasti che egli si vantava facesse cucinare apposta
per me dal suo cuoco personale. Alle volte cercavo di incamminarmi
su una qualche diversa interlocuzione e allora il carceriere si
alzava come impazzito dalla sedia, gridava che aveva avuto ordini
tassativi di uccidermi se solo avessi osato parlare di cose che
non riguardassero le condizioni della mia permanenza in prigione,
dopodiché usciva dalla cella sbattendo il pesante cancello
e ordinando alle sentinelle di essere sempre pronte e vigili nel
caso di qualche mia mossa sconveniente.
Questi atteggiamenti non facevano che acuire in me lo sdegno per
un trattamento che ritenevo ignobile per il sottoscritto, una volta
potente Ministro ed ora crollato e sotterrato nel più profondo
dei recessi del regno carcerario. E fu così che mi vendicai
a mio modo. Rivelai tutte le cose che conoscevo a La Riviere, mio
compagno di cella e amico carissimo, che da quanto seppi morì
dopo essere stato trasferito a Exilles. Egli mi giurò che
avrebbe mantenuto questo segreto fino alla tomba e a dire il vero
non ho ragione di dubitare che non si sia comportato come promessomi.
Quando mi fu portato nella cella il triste Dauger, perché
collaborasse con La Riviere alla mia servitù, capii subito
che qualcosa non andava. Lo interrogai minuziosamente sulla sua
vita passata e allora lo sfortunato individuo mi raccontò
tutte le sue peripezie, di come era stato arrestato a tradimento
nelle Fiandre dal signor de Vauroy , di come era stato ritenuto
pretestuosamente implicato in affari di veneficio, in quei momenti
nei quali questa maniera di dare la morte era in voga, tanto che
ad un certo punto si decise di instaurare la famosa Camera Ardente
all'Arsenale, appunto per giudicare questo tipo di reati. Ma Dauger
non era affatto un assassino, su questo non ho alcun dubbio, era
un individuo assai speciale in quanto molto legato ai Lorena, forse
il più misterioso dei rampolli del nobile Casato, forse addirittura
genealogicamente discendente dai Merovingi di cui a quei tempi si
vociferava si volesse di nuovo restaurare la dinastia.
Adesso si dice che vi sia un uomo con la Maschera di Ferro, proprio
dopo la mia presunta morte!! Tutte balle!! Quell'uomo è abbastanza
conosciuto e famoso e nessuna Maschera di questo mondo potrà
nasconderlo! Non si vuole che lo si conosca sia perché si
sa quale enorme minaccia rappresenta per la Corona e sia perché
a conoscenza del "segreto" che gli ho rivelato. Svelare
la sua identità, in sostanza, corrisponderebbe a svelare
le losche trame del mio imprigionamento e le circostanze per la
monarchia disonoranti della mia fuga organizzata da Pinerolo, corrisponderebbe
a far sì che gli si faccia un processo equo permettendogli
sia di dire le cose che gli ho detto e sia di rivelare nomi e cognomi
dei suoi altolocati carcerieri parigini. Colbert e il Re non possono
permettersi questo pericolo, per questo hanno fatto credere al Conte
di Lauzun che i due erano stati liberati, appunto per far cadere
l'ultimo dubbio a proposito del "segreto".
Non so che fine farà questo Dauger; egli, pur essendo la
Maschera di Ferro, non è l'unico depositario del Segreto
della Maschera di Ferro, sono io in verità l'architrave di
questo mistero e di questo mi vanto e mi vanterò fin quando
il buon Dio vorrà tenermi in vita.
Egregio capitano di Saint-Mars,
ho ricevuto l'astuccio con quelle strane droghe fabbricate da Dauger.
Non so come quest'uomo abbia potuto fare ciò che mi avete
mandato, non oso credere ad un vostro coinvolgimento
..
Mi dite che nelle tasche del "preteso" defunto signor
Foucquet sono state trovate delle carte "segrete", di
cui però mi nascondete il contenuto.
In nome e per conto di Sua Maestà Luigi XIV, vi ordino di
inviarmele immediatamente e di non far parola alcuna di quanto avrete
potuto leggere, si tratta probabilmente di notizie che potrebbero
destabilizzare la convivenza civile del nostro popolo, minarne la
religiosità e portare in ultimo all'anarchia.
Per tutto questo e per altro ancora che non posso in questa sede
rivelare, rimango in attesa di un vostro immediato riscontro.
Nobilissimo capitano di Saint-Mars,
vi sono grato di quanto mi avete accluso
..sapevo che non avreste
potuto esimervi dal compiere il vostro dovere.
E' come mi aspettavo, documenti scottanti di carattere politico-religioso
che ho consegnato subito nelle mani del Re, che nella mia persona
vi ringrazia sentitamente.
"Che le ne pare?" mi chiese con una serietà marmorea
lo sconosciuto, mentre il vecchio mi osservava con un leggero sorriso
da ebete.
"Sono documenti interessantissimi, non c'è che dire.
Ma sono davvero originali?" domandai in tono sommesso quasi
vergognandomi della mia perplessità. " Su questo la
posso tranquillizzare. Un esperto grafologo mi ha confermato che
si tratta inequivocabilmente di scritti vergati dalla mano di Foucquet
per quanto riguarda la memoria e di due missive autentiche del Ministro
Le Tellier. Ecco a lei due atti ufficiali di Foucquet e del Ministro!
Li confronti lei stesso!" e così dicendo m'invito a
comparare i documenti. Uguali nella scrittura come gocce d'acqua!!
Non c'era alcun dubbio, del resto gli atti ufficiali che lo sconosciuto
mi pose dinanzi erano testimonianze scritte che gli storici erano
tutti concordi nell'attribuire alle mani di Foucquet e di Louvois,
da una parte una lettera redatta in tempi non sospetti nella quale
lo sfortunato soprintendente alle Finanze chiedeva a Mazzarino come
comportarsi per far fronte al crescente dissanguamento delle casse
statali a causa delle varie guerre che la Francia stava allora sostenendo
con le Potenze europee e dall'altro una minuta vergata dal Ministro
della Guerra e diretta ad un oscuro governatore della Bretagna.
"Purtroppo non posso fare altro per lei, mi sembra che quanto
ha avuto modo di vedere le basti e avanzi. Arrivederci!"
Quando fui a casa e riandai a quella lettura proveniente dai bui recessi della Storia, fu come se d'un tratto mi si aprisse il famoso terzo occhio: compresi compresi che era sul personaggio di Foucquet che dovevano indirizzarsi tutte le mie ricerche, per cui passai notti e giorni a compulsare libri e documenti che parlavano della sua vita. Tutto, dico tutto, sembrava corrispondere a quanto letto in quei misteriosi manoscritti.
Il Cardinal Lettieri mi ricevette nel suo studio al Vaticano con
molta cordialità. Mi fece accomodare accanto alla sua sfarzosa
scrivania e mi chiese a cosa era dovuta questa visita inaspettata.
"Sono qui per chiederle se sa qualcosa della morte del noto
studioso di storia, il professor Fervoni, sembra sia stato ucciso
per cause apparentemente legate alla sua fama di ricercatore. Ultimamente,
si dice stesse preparando una voluminosa inchiesta sul mistero della
Maschera di Ferro." "E lei, carissimo, a che titolo viene
da me? Quantunque sappia che lei è un onesto investigatore
privato assoldato dalla moglie del defunto, non ritiene di essersi
lanciato un po' troppo avanti e lontano chiedendo di incontrarmi?
Pensa davvero lei che io possa aiutarla nel suo ammirevole desiderio
di scoprire le cause dell'assassinio del dottor Fervoni?" "Sapevo
che lei mi avrebbe risposto in questo modo" risposi accavallando
le gambe "ad ogni modo sappia che lo studioso di cui stiamo
parlando aveva avanzato ultimamente delle ipotesi che certamente
alla Chiesa non dovrebbero piacere. Sto parlando precisamente del
segreto di Rennes-le-Chateau. A quanto mi risulta, Poussin, il famoso
pittore de 'I Pastori d'Arcadia', era in strettissimi rapporti con
il controverso Ministro di Luigi XIV, Nicolas Foucquet. Una lettera
misteriosa del fratello di costui, certo Louis, lo confermerebbe
in maniera inequivocabile. E' a conoscenza di questa lettera? Saprebbe
dirmi di quale segreto parla Louis al suo potente fratello?"
Il Cardinale non si aspettava certo una domanda del genere; restò
per qualche secondo soprappensiero e poi, ponderando bene le sue
argomentazioni, disse: "Gentilissimo dottor Vincenzo, e lei
crede davvero che una lettera, seppure misteriosa, possa essere
una spia accettabile di un collegamento forzato tra Foucquet, Rennes-le-Chateau
e la Maschera di Ferro? Ma ammettiamolo pure. Dove sarebbero gli
altri documenti in grado di confermare questa ipotesi? Se li ha
lei, me li dia, risolveremmo tutto in quattro e quattr'otto."
"So che non è facile averli" risposi in un certo
senso mentendo a me stesso "per questo sono venuto da lei,
che se non sbaglio è uno dei più importanti responsabili
degli Archivi Segreti del Vaticano." "Ma lei è
davvero ingenuo!" esclamò sbalordito il Cardinale "pensa
davvero che io possa aprirle i forzieri di una Istituzione di cui
sono appunto uno dei massimi responsabili? Non corrisponderebbe
a tradire la mia carica e la mia onestà?" "E a
chi mi dovrei rivolgere?" domandai insistente "forse al
Papa in persona? Sa bene che non è possibile." "Non
mi dica altro" rispose stizzito il Cardinale "per me il
discorso è chiuso. Faccia pure quello che le pare, faccia
pure intervenire la Procura di Roma, le garantisco che nessuno a
questo mondo è in grado di provare le tesi di uno studioso
a proposito di un fatto pur inquietante ma avvenuto se non erro
ben tre secoli or sono! Se è stato ucciso, come lei mi dice,
forse ci saranno dei motivi molto delicati, ma da qui a dire che
si tratta di un omicidio ispirato dalla Chiesa ce ne corre e tanto."
"Lei ritiene che la Chiesa sia del tutto incolpevole di questo
assassinio?" "Le cose non avvengono mai per caso. Evidentemente,
forse l'ucciso dava fastidio a qualcuno, aveva forse sproloquiato
basandosi su mere congetture prive di appoggi documentali. Ma è
un'ipotesi che deve valutare lei in quanto investigatore di professione,
non può farsi sostituire dal sottoscritto che è un
umile servitore di Cristo." "Ritiene davvero lei, nella
sua qualità appunto di servitore di Cristo, che questi sia
davvero Dio o Figlio di Dio?" "Questo è il dogma
principale della Chiesa cattolica. Negarlo è il peggiore
delitto che un credente possa fare." "Ma è delitto
pensarla in modo diverso? Perché avere tanta paura del contrario?"
"Lei non sa cosa accadrebbe" rispose il Cardinale scuro
in volto "cosa accadrebbe nel mondo se venisse acclarata la
tesi della mortalità di Cristo. Cadrebbe la Chiesa, cadrebbero
tutti i valori, il mondo sprofonderebbe nel caos e Dio solo sa chi
potrebbe salvarci da una simile tragedia! Tutti questi discorsi
su Rennes-le-Chateau, forse lei non lo riconoscerà, sono
deleteri per l'umanità. L'uomo ha bisogno di credere e se
gli togliamo questa speranza per lui sarebbe la fine, l'instaurazione
del regno del Demonio. La Chiesa ha il diritto di difendersi, con
qualsiasi mezzo e.." "Anche ricorrendo all'omicidio?"
dissi in maniera offensiva comprendendo subito di essermi lasciato
andare. "Non le permetto di avanzare queste basse insinuazioni.
Arrivederci!" e così dicendo il Cardinale mi congedò
in malo modo.
"Signor Fraulet" dissi al segretario personale del Direttore
della Biblioteca Centrale di Parigi "conosceva lei lo studioso
italianoFervoni?" "Sì" fu la risposta lapidaria
dell'uomo, che per mia fortuna era solo nel suo ufficio per una
temporanea assenza del Direttore. "Sa che tipo di ricerche
è venuto a fare qui a Parigi?" "Devo saperlo per
forza, essendo purtroppo un dirigente di questa Illustre Istituzione."
"Mi dica" dissi in tono calmo. "Se non sbaglio, la
sua particolare attenzione era rivolta alla ricerca del personaggio
misterioso passato alla storia come 'Maschera di Ferro'. Mi ha richiesto
diverse pubblicazioni, tra cui una in particolare di uno studioso
francese di genealogie." "Di quale studioso e di quale
opera si tratta?" lo incalzai fremente. "E' una persona
tuttora vivente e abita in via dello Scrivano, non molto lontano
da qui. Se vuole posso darle anche il numero di telefono. Ogni tanto
lo contattiamo per avere informazioni sulla sua attività
precipua." Poi, diventato improvvisamente impaurito, disse:
"Per favore, non mi tradisca, so di averle rivelato un segreto,
ma l'ho fatto del tutto innocentemente, anche perché ero
molto legato al suo amico. L'ho invitato un giorno perfino a casa
mia per una cena!
D'altronde, l'opera in questione non può più essere
data in prestito. Ho ricevuto persino l'ordine di non darla più
in visione a chicchessia, sia pure il Presidente della Francia!"
"Egregio signor Vincenzo" iniziò le sue lunghe
e contorte argomentazioni il genealogista allorché ebbi modo
di rintracciarlo "le idee del suo compianto Fervoni erano abbastanza
precise. Mi dispiace davvero che sia stato ucciso in questa maniera
barbara. Ho fatto anch'io delle ricerche e anche a me risulta che
Foucquet abbia avuto abbastanza le mani in pasta nel mistero della
Maschera di Ferro. E' stato l'uomo più sfortunato di questo
pianeta. Pur essendo un'anima buona e caritatevole, è stato
di proposito infangato dai suoi nemici che lo ritenevano a torto
pericolosissimo. Colbert si è dimostrato assai spietato nei
suoi confronti. Non dico che la Maschera di Ferro sia stato lui,
dico soltanto che egli conosceva chi era la Maschera di Ferro. E
ne conosceva purtroppo anche il segreto. Per questo è stato
assassinato, anche se ovviamente tutti gli storici sono concordi
nell'affermare che la sua sepoltura non si è mai trovata
e forse non si troverà mai. Qualcuno ritiene perfino che
non sia morto e che sia evaso dalla prigione di Pinerolo in seguito
all'intervento di un'organizzazione segreta conosciuta dagli addetti
ai lavori col nome di 'Compagnia del Santo Sacramento'. Sembra che
alcuni suoi familiari ne facessero parte, a cominciare dai suoi
fratelli ecclesiastici per non parlare della madre, donna religiosissima
che tante lacrime versò per la sventura occorsa al celebre
figliolo.
Poiché si doveva nascondere questo delitto o questa evasione
(la questione è ancora apertissima tra gli studiosi), coloro
o colui al quale verosimilmente aveva rivelato il segreto venne
condannato a portare questa sorta di maschera di ferro o come dicono
altri di velluto, sia per impedire che si venisse a sapere chi era
stato l'artefice dell'assassinio e sia soprattutto per evitare che
costui potesse rivelare in qualche modo il contenuto del segreto
appreso da Foucquet.
Ammesso e non concesso che si trattasse del segreto di una abbastanza
compromettente stretta parentela di sangue del Dauger con il Re
Luigi XIV (evenienza ovviamente da tenere nella giusta considerazione,
con la possibilità che lo stesso Dauger ne fosse stato all'oscuro
e ne fosse stato informato solo dal Foucquet), credo che ciò
non sarebbe bastato per rinchiudere e tormentare a vita un uomo
pur sempre così caro al Re, persona storicamente risoluta
negli affari di stato ma provatamente scrupolosa per quanto riguarda
gli aspetti psicologici e religiosi. No, la tesi della presunta
fratellanza o quanto meno stretta parentela (e quindi somiglianza)
tra Dauger e Luigi XIV, pur convincente sotto tanti punti di vista
e persino verosimile se addirittura Voltaire se n'è fatto
paladino, forse non è sufficiente a spiegare l'immenso mistero
della Maschera di Ferro. Forse, ma ovviamente non ne posseggo le
prove, poteva anche trattarsi di un segreto di carattere genealogico,
nel senso che, acclarata l'ipotesi della consanguineità tra
il presunto assassino di Foucquet con Luigi XIV, il primo potesse
aver potuto rivelare al Dauger non solo che egli era l'erede legittimo
al trono di Francia essendo nato adulterineamente nello stesso parto
di Anna d'Austria o in un parto precedente ovviamente sapientemente
tenuto nascosto al consorte Luigi XIII, ma che in definitiva il
tutto doveva ricondursi ad una sorta di complotto probabilmente
orchestrato da Mazzarino tendente a negare a Gastone d'Orleans,
legato a filo doppio con il Casato dei Duchi di Lorena, di prendere
possesso del trono di Francia, sia nel momento della morte del fratello
Luigi XIII ancora senza eredi diretti, sia a maggior ragione allorché
si fosse addivenuti alla scoperta di quest'inganno storico colossale
in un clima politico ancora abbastanza arroventato dopo la fine
della Fronda.
E qui in effetti il discorso si complica, poiché, secondo
le mie indagini genealogiche, non dico che è provato, ma
che sarebbe possibile dimostrare che i Duchi lorenesi abbiano avuto
un qualche rapporto di discendenza dai tanto misteriosi Merovingi,
una Stirpe avvolta nella leggenda ritenuta in possesso delle chiavi
del Mistero di Cristo e della sua probabile progenie derivante dalla
sua unione con Maria Maddalena.
Il problema di Luigi XIV non era dunque soltanto quello di preservare
il suo regno da un legittimo pretendente al trono di Francia, la
questione delicatissima risiedeva nell'evenienza dirompente e sconquassante
della rivelazione di un mistero religioso imperniato su almeno tre
elementi fondamentali: primo, Gesù era stato un uomo come
tanti altri e quindi non ha alcun senso dichiararlo Figlio di Dio,
essendo questa un'impostura degna dell'oscurantismo preistorico-mitologico;
secondo, il presunto Messia si era sposato ed aveva avuto da Maria
Maddalena dei figli che, sposatisi a loro volta, ne avrebbero continuato
il lignaggio fino ai Merovingi e da questi ai nobili di Lorena,
che in questo caso erano da ritenersi i legittimi pretendenti al
trono, e una volta che ciò fosse accaduto non è difficile
immaginare quale impatto avrebbe significato per la Chiesa, che
avrebbe avuto di fronte un Casato nobiliare in grado di sbeffeggiare
e denunciare al mondo tutte le sue menzognere turlupinazioni; e
in ultimo il fattore più delicato, quello forse più
connesso a Nicolas Foucquet e al suo presunto avvelenamento ad opera
di Dauger, la rivelazione acquisita dal Ministro delle Finanze tramite
Nicolas Poussin dell'ubicazione esatta del sepolcro di Cristo nella
zona del Cardou presso Rennes-le-Chateau, non a caso alcuni studiosi
sostengono che la parola 'Arcadia' che forma il titolo del celebre
quadro del pittore francese sia appunto un anagramma proprio del
termine 'Cardou', come risaputo un rilievo montuoso di circa settecento
metri di altitudine che si trova a pochi chilometri in linea d'aria
dalla piccola cittadina tuttora teatro di foschi intrighi e complotti
a sfondo religioso.
Questi tre motivi basilari, messi insieme, credo rappresentino tuttora
una minaccia radicale alla sopravvivenza della Chiesa, figuriamoci
cosa ciò avrebbe potuto significare per quei tempi ancora
immersi sino al collo nella melma dell'ignoranza medievale. Foucquet,
non Dauger, avrebbe potuto distruggere dalle fondamenta la società
dei suoi tempi per rifondarla su altri valori magari imperniati
sull'onestà, sulla carità, sull'umiltà, sulla
lealtà e sulla verità (il fatto documentato che si
era circondato di un nugolo di artisti e intellettuali che aiutava
nei momenti del bisogno è un'indicazione abbastanza inequivocabile
delle virtù dello sfortunato soprintendente).
A dimostrazione che quanto le sto dicendo non è poi così
lontano dal vero, vi è la spia rivelatrice dello strano comportamento
quasi da fisima di Luigi XIV, il quale, alla morte di Poussin nel
1665 e dopo la conclusione del processo-farsa a Foucquet più
o meno nello stesso periodo (noti la coincidenza sorprendente),
scatena praticamente a Roma i suoi più fidati agenti segreti
con l'incarico di acciuffare e praticamente sequestrare l'opera
pittorica del famoso connazionale 'I Pastori d'Arcadia' (secondo
l'opinione concorde degli studiosi emblema del mistero di Rennes-le-Chateau),
riuscendo infine nell'impresa e nascondendola immediatamente alla
vista del pubblico, a quanto si dice addirittura nella stanza più
interna della sua residenza regale.
Ovviamente" concluse il genealogista "non ho prove a sufficienza
per avallare queste mie considerazioni, ma solo indizi quantunque
abbastanza corposi.
Se poi lei volesse conoscere il metodo col quale sono riuscito a
mettere insieme queste quasi-prove, c'inoltreremmo in un territorio
forse per lei indigesto, dovrei spiegarle tante di quelle cose sulla
scienza della genealogia che alla fine lei stesso mi direbbe di
farla finita. Credo che in definitiva a lei interessassero le conclusioni,
non le mie conoscenze professionali mediante cui vi sono giunto."
"Caro dottor Perroni" mi rivolsi nella sua casa pinerolese
allo studioso collega del mio amico Fervoni "che mi può
dire del suo incontro sostenuto col defunto?" "E' stato
un incontro bellissimo. Il professor Fervoni espresse le sue idee
in merito alla Maschera di Ferro con la massima calma ed io restai
allibito da come parlava, quasi fosse sicuro di quel che diceva
ed avesse persino le prove relative, una circostanza che mi colpì
non poco, anche perché nel corso della storia altri studiosi
hanno avanzato innumerevoli ipotesi, ma mai con quel piglio di sicumera
di cui il defunto, al contrario, sembrava persino vantarsi. Una
riflessione che mi parve assai interessante era che, secondo Fervoni,
c'era nella storia un particolare assai indicativo, secondo lui
poco sottolineato dagli altri studiosi della materia; in sostanza,
se, come si vocifera, Dauger fosse stato davvero il fratello gemello
di Re Luigi XIV, oppure un consanguineo cadetto o di età
superiore dello stesso, come mai, sosteneva appassionatamente il
Fervoni, dal 1669, data del suo arresto, e fino al 1680, praticamente
l'anno della morte di Foucquet, quest'individuo in sostanza vive
e cammina nel mastio di Pinerolo, pur ovviamente sotto il controllo
asfissiante dei secondini di Saint-Mars, senza la famosa Maschera
applicata sul volto? E perché, sosteneva ancora il Fervoni,
questa Maschera gli viene appioppata dopo la morte di Foucquet?
Se Luigi XIV voleva impedire a tutti i costi di far conoscere al
suo popolo l'esistenza di questo suo presunto fratello, non avrebbe
dovuto forse nasconderlo con un'attenzione maggiore di quanto non
sia stato fatto, almeno fino al 1680? E ancora, mi diceva Fervoni,
perché viene dato a Foucquet in qualità di semplice
valletto? Non è la dimostrazione che si trattava di persona
di basso rango sociale, tenuto conto che, ammesso che Foucquet sapesse
della sua origine regale, era logico aspettarsi da questi che rifiutasse
di essere servito da persona di così alto lignaggio? E perché
in una misteriosa lettera, fatta recapitare al de Saint-Mars da
parte del marchese de Louvois, questi ingiunge al primo di non permettere
al Dauger di avere contatti col misterioso conte de Lauzun? Effettivamente,
questo conte, come narrano le cronache del tempo, era una persona
poco raccomandabile, si vociferava che era un donnaiolo e un attaccabrighe
di prima categoria e in più di un'occasione aveva sfidato
apertamente persino il potere di Luigi XIV. Del resto, non era la
prima volta che veniva incarcerato. Se non erro, era stato per qualche
mese anche alla Bastiglia per accuse inerenti al suo atteggiamento
da guascone. Cosa temeva in sostanza il de Louvois, quando praticamente
ingiungeva a Saint-Mars di impedire ad ogni costo che Dauger e Lauzun
s'incontrassero? Temeva che il secondo riconoscesse nelle fattezze
del primo la somiglianza abbagliante col Re? Ma se così fosse
stato, avrebbe dovuto impedire al Dauger di incontrarsi con chicchessia,
cosa che, come sappiamo, avviene invece tranquillamente con La Riviere,
l'altro valletto di Foucquet, con alcuni altri inquilini del carcere
pinerolese e, fatto assai indicativo secondo Fervoni, proprio con
lo stesso Ministro delle Finanze di Luigi XIV. A questi e ad altri
dubbi, Fervoni rispondeva, ripeto con una sicumera quasi da investigatore
navigato, che evidentemente il segreto da nascondere, pur potendo
riguardare questa fantomatica somiglianza (a proposito, ricordo
che a un certo punto il suo caro amico mi disse che poteva trattarsi
addirittura di un qualunque sosia come ce ne sono e ce ne sono sempre
stati nella storia umana di tutti i tempi), avrebbe invece potuto
relazionarsi al mandato segreto di Dauger ricevuto da parte dell'acerrimo
nemico Colbert, consistente nientemeno nell'ordine di uccidere il
temibile Nicolas Foucquet, in possesso di 'orribili segreti' di
Stato cui nessuno doveva accedere. In questa prospettiva, fare imbattere
Lauzun con Dauger avrebbe significato la distruzione del piano delinquenziale
orchestrato dal più fidato amico del Re ovviamente in combutta
con quest'ultimo e per certi versi anche con Louvois, in quanto
temevano che la parlantina e i sottili sotterfugi comportamentali
dell'avventuriero potessero coinvolgere il suo sicario fino alla
rivelazione del progetto delittuoso, con effetti devastanti per
la corona francese, tenuto conto che l'arte dell'intrigo rappresentava
la prima occupazione del controverso avventuriero. Almeno altre
tre misteriose circostanze, secondo il Fervoni in grado di avvalorare
queste sue argomentazioni, riguarderebbero la strana visita fatta
da Le Tellier a Dauger a Pinerolo, il carteggio segreto intrattenuto
dal Ministro della Guerra col suo ex omologo delle Finanze Regie
(carteggio che neppure il Saint-Mars era tenuto a visionare e nel
quale si dice che Louvois chiedesse a Foucquet notizie dettagliate
sulle probabili eventuali rivelazioni di Dauger in merito alla sua
vera identità) ed infine l'inquietante lettera spedita da
Le Tellier al secondino di Pinerolo (subito dopo la presunta morte
di Foucquet per avvelenamento), nella quale il primo chiedeva "come
il nominato Eustachio (Dauger?) abbia potuto fare ciò che
mi avete mandato e dove abbia preso le droghe necessarie, non potendo
certamente supporre che gli siano state fornite da voi."
Dopo quanto le ho detto, mi sembra di poter concludere in buona
fede che le analisi del suo amico erano alquanto perspicaci, tanto
perspicaci da
averne provocato la morte."
"Egregio dottor Porema" incominciò il Sostituto Procuratore di Roma Alberto Svampi, responsabile delle indagini ufficiali, "la debbo a malincuore avvertire che qualsiasi suo intervento nella vicenda delle indagini attinenti alla ricerca delle oscure ragioni dell'omicidio del suo caro amico e studioso Fervoni, specialmente se non dovesse essere concordato col sottoscritto, verrà interpretato da questa Procura come atto ostile e pertanto perseguito a norma di Legge, quantunque sappia che la sua professione di investigatore privato viene garantita da altre Leggi dello Stato di Diritto. Ma, purtroppo per lei, siamo di fronte ad un problema giudiziario di enorme valenza politico-religiosa, le ricadute sul piano sociale potrebbero essere talmente dirompenti che lei stesso potrebbe subirne conseguenze allo stato neppure immaginabili. La pregherei pertanto di svolgere le sue personali inchieste in stretto rapporto con questa Procura, comunicandoci eventualmente e immediatamente qualsiasi elemento nuovo trovasse nelle sue ricerche." "Che mi dice" dissi a questo punto per nulla intimidito dalle parole del Sostituto Procuratore "della medaglietta trovata in casa del defunto? Mi è stato detto dalla moglie che riproduceva l'immagine di una donna, probabilmente la madre o la moglie del sicario solitario autore materiale del delitto. Parlo di delitto materiale a ragion veduta, poiché è ovvio che dietro di lui ci deve per forza essere la "longa manus" di qualche organizzazione ben addestrata all'insabbiamento della Verità." "Non mi piace questo suo modo di parlare" rispose prontamente Svampi guardandomi fissamente in segno di sfida "le faccio presente che sta dinanzi al responsabile legale delle indagini e pertanto esigo il rispetto che mi è dovuto. Sulla medaglietta non posso essere molto preciso, posso dirle soltanto che stiamo esaminando tutti gli aspetti di questa oscura vicenda, non tralasciando proprio nulla, neppure questa medaglietta che a lei pare così importante. Ma se, come dice lei, si tratta di un delitto materiale ordito da mandanti occulti, cosa potrebbe valere una semplice medaglietta?" "Potrebbe collegarci a questi mandanti, specie se venisse individuata l'identità del soggetto raffigurato e di conseguenza accertato nome e cognome del colpevole; non le pare?" "E poi" mi contrastò subito Svampi "che faremmo? Dovremmo arrestare questi mandanti? E quali prove avremmo per compiere un simile passo? A scanso di equivoci, sappia che proprio l'indomani dell'omicidio dello studioso a lei così caro, l'omicida come dice lei "materiale" è stato trovato impiccato nella sua modesta abitazione che condivideva con la sua povera madre, la genitrice raffigurata proprio in quella medaglietta. E ora, cosa intende fare, una volta che ci viene tolto quest'unico appiglio indiziario? Su quale strada dobbiamo incamminarci? Come vede, tutto ricomincia daccapo. Siamo nel buio più totale e se lei non collabora con coi questo buio potrebbe diventare ancora più fitto."




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