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4 Maggio 2005 MISTERO
Vincenzo Poma
Il mistero della maschera di ferro
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"Vedi, amico mio carissimo" mi diceva spesso Ludovico Fervoni "il metodo investigativo deve essere basato sull'esclusione delle ipotesi meno probabili. Scartate queste ipotesi, tutto ciò che resta, per quanto improbabile, dovrà per forza essere molto ma molto vicino alla verità."
Questa è la frase che più mi resta nella memoria del mio sfortunato amico studioso di storia, ucciso inaspettatamente da un sicario solitario penetrato di nascosto nella sua casa al primo piano attraverso la porta del balcone aperta, mentre era solo a compulsare libri e documenti in merito al mistero storico della Maschera di Ferro, un Enigma che da qualche anno lo teneva occupato in letture e ricerche persino di carattere investigativo, uno studio diventato talmente appassionato e annichilente di ogni altro interesse culturale da averlo condotto persino a viaggiare in lungo e in largo per l'Italia e la Francia.
Non so se la sua uccisione sia da ascrivere ai suoi noti interessi storici o a qualche altra causa di natura strettamente personale e privata, ma la coincidenza dei suoi interessi e le sue peregrinazioni saltuarie in Italia e in Francia con questa morte improvvisa la dicono lunga su una probabile connessione tra la sua principale occupazione e la sua dipartita.
La telefonata della moglie mi arrivò appena un'ora dopo la scoperta dell'omicidio. Quando giunsi a casa del defunto, trovai un nugolo di carabinieri che stavano compiendo i rilievi di rito e approfondite perlustrazioni alla ricerca di qualche reperto utile per le indagini.
L'abitazione era stata completamente scompigliata, specialmente la biblioteca era stata messa letteralmente a soqquadro, tutti i libri giacevano a terra alla rinfusa in una confusione inenarrabile, evidentemente il sicario, dopo avere ucciso lo studioso, era alla ricerca di qualche documento che forse non aveva potuto o saputo trovare per la fretta.
Mi presentai agli agenti nella mia qualifica di investigatore privato e mi fu permesso di osservare dettagliatamente la scena.
Quando gli agenti se ne furono andati e il morto fu portato al più vicino obitorio, chiesi alla moglie se sapeva di qualche documento nascosto dal consorte, al chè, come mi ero aspettato, ella mi rivelò quasi con le lacrime agli occhi che il manoscritto sulla Maschera di Ferro che il suo Ludovico stava quasi per terminare era stato misteriosamente asportato dal posto in cui il defunto lo aveva collocato, come del resto era stato sequestrato anche il computer . Poteva però darmi qualcosa che mi poteva tornare utile nelle mie indagini personali, una specie di taccuino in cui erano presenti numeri telefonici e appunti di colloqui con vari personaggi con i quali l'ucciso si era intrattenuto per alcuni mesi, oltre ad un flop disck che le era stato affidato dal marito per ogni evenienza nel quale, come promemoria dell'opera che aveva in animo di redigere, l'autore aveva riportato il sunto di una misteriosa visita compiuta a Parigi. Lo affidò a me pregandomi di andare al fondo delle cause del delitto.
Prima di andarmene le chiesi cosa avevano trovato gli agenti nella loro perquisizione e la signora Teresa, questo era il suo nome, mi rivelò che avevano scoperto e ovviamente portato via una medaglietta che forse il sicario teneva al collo, che riportava l'effige di una donna, probabilmente della madre. Logicamente l'oggetto era stato posto sotto sequestro e uno degli agenti le disse che in proposito le avrebbe detto qualcosa di più in seguito. La salutai con deferenza e tornai a casa.
Qui mi disposi a compulsare il taccuino e subito saltò dinanzi ai miei occhi un numero telefonico con accanto il relativo nominativo: nientemeno che il Cardinal Romualdo Lettieri, Ispettore degli Archivi Vaticani Segreti con un incarico nella famosa e controversa Congregazione per la Salvaguardia della Fede, il nome moderno dell'antica Inquisizione antiereticale . La circostanza mi parve subito sospetta, come sospetto mi parve subito un piccolo sunto di un colloquio sostenuto dal defunto con un certo Fraulet, segretario personale del Direttore della Biblioteca Centrale di Parigi, presso la quale ovviamente Ludovico si era recato per le sue ricerche storiche. Vi erano anche riferimenti a una sua visita effettuata a Pinerolo sette mesi or sono, con due o tre numeri telefonici che corrispondevano ad altrettanti studiosi locali della Maschera di Ferro.
Subito, mi fu chiaro che la connessione tra i suoi studi e la sua morte era un'evenienza che non si doveva scartare per nessun motivo, troppi essendo i fatti in grado di avvalorarne l'attendibilità.
I miei dubbi divennero certezza allorchè, collocato il flop disck nello spazio relativo del modem, lessi allibito quanto segue.

Uno dei misteri colossali della storia umana è costituito senz'altro dalla vicenda altamente inquietante della cosiddetta Maschera di Ferro, un individuo oscuro e quanto mai incognito sul quale la ricerca sembra arenatasi per l'impossibilità intrinseca di pervenire ad una qualche verità che sia in grado di squarciarne quanto meno una parte dei cotanti arcani.
Quando cominciai le mie indagini, dapprima quasi come passatempo e poi via via sempre più impegnato man mano che riuscivo meglio ad inquadrare la questione, mi resi subito conto che qualcosa di assai losco era stato nascosto in quella vicenda tanto conturbante, un qualcosa che era mio dovere indagare fino in fondo, tenuto conto che ho sempre considerato la ricerca della Verità storica la mia più grande aspirazione.
Cominciai così a frequentare archivi e biblioteche, lessi innumerevoli libri, ma la materia sembrava così ostica che non riuscivo in alcun modo a scoprire un bel niente; si parlava di un certo Dauger, arrestato in circostanze oscure a Calais o a Dunkerque nel nord-ovest della Francia, si ripeteva il nome di Nicolas Foucquet quale depositario di "segreti di Stato", anch'egli arrestato misteriosamente e in seguito ad un altrettanto strano processo internato nella fortezza militare di Pinerolo, si accennava ad un certo Mattioli, diplomatico al seguito del Duca di Mantova, impegnato in quel tempo in trattative segrete per la cessione di Casale alla corona francese, che in seguito venne catturato per alto tradimento e condotto anch'egli a Pinerolo, si vociferava di altri avventurieri e qualche romanziere riteneva quasi per certo che sotto la Maschera di Ferro si celasse nientemeno che il fratello gemello di Luigi XIV, un'ipotesi, quest'ultima, difesa ancora a spada tratta anche da innumerevoli storici e studiosi.
Insomma, nulla di preciso. Il mistero, sin dal 1703 in cui secondo gli storici la Maschera di Ferro muore alla Bastiglia, resta tutt'oggi tale ed anzi tende ad infittirsi.
Ma io non sono tipo da arrendermi facilmente e dopo avere studiato montagne di libri e documenti, immediatamente compresi che vi era nella storia un particolare che balzava subito all'attenzione: ad un certo punto, Dauger, arrestato nel 1669, dopo circa cinque anni di prigionia viene posto in qualità di servitore nella stessa cella di Nicolas Foucquet, l'inquietante Ministro delle Finanze di Re Sole come detto fatto arrestare da quest'ultimo con l'accusa fantomatica di essersi appropriato di beni dello Stato francese e persino di essere a capo di un complotto sedizioso teso allo scardinamento della monarchia.
E' un particolare che mi ha dato sempre da pensare, tenendo specialmente conto che nugoli di esperti della materia danno ormai quasi per scontato che la Maschera di Ferro fosse stato proprio questo oscuro Dauger.
Ebbene, ammesso e non concesso che Dauger fosse stato celato davvero sotto la Maschera di Ferro e quindi in possesso di certi segreti "proibiti" che tale dovevano rimanere anche a costo di seppellirlo vivo, come mai viene collocato in qualità di valletto nella cella di Foucquet, personaggio assai controverso anch'egli ritenuto in possesso di "segreti" poco raccomandabili e che forse proprio per queste sue "conoscenze" era stato tradotto nel mastio di Pinerolo dopo un processo-farsa che ancora oggi fa rizzare i capelli a chi se ne intende di Giustizia?
Insomma, c'era un dettaglio che non quadrava: chi era davvero in possesso di questi "segreti", Dauger o Foucquet? E come spiegare l'altro enigma di questa allucinante storia, quello riguardante la presunta uccisione del Ministro ad opera proprio di Dauger? Perché non si è mai trovata la salma di questo eminente uomo politico? E perché, altro angosciante enigma, il mistero della Maschera di Ferro inizia proprio subito dopo la morte del soprintendente alle Finanze, a partire appunto dal 1680, quando viene ordinato al signor de Saint-Mars, responsabile del carcere pinerolese, di condurre e segregare ancor di più in una cella praticamente inaccessibile sia Dauger, sia La Riviere, altro servitore che per molto tempo abitò la cella dello sfortunato Ministro? Perchè il marchese de Louvois, ministro della Guerra con l'incarico di supervisore delle carceri francesi, dà anzi ordini tassativi al de Saint-Mars affinché si divulghi la voce che questi due individui sono stati praticamente liberati, forse per trarre in inganno un altro enigmatico prigioniero, l'avventuriero conte de Lauzun, anch'egli entrato nascostamente e in maniera rocambolesca in rapporti col Foucquet attraverso un buco praticato nel soffitto in corrispondenza della cella di quest'ultimo? E perché il conte viene in seguito rilasciato, nonostante si sapesse di quanto sciolta avesse la lingua?
E che dire, per finire, di quella misteriosa missiva spedita dall'abate Louis al potente fratello Nicolas Foucquet, dopo un incontro segreto sostenuto dal primo col l'inquietante pittore Nicolas Poussin?
In quella lettera, cui tuttora gli storici sembrano non dare quell'importanza cruciale anche per l'evidente difficoltà di interpretarla nella maniera giusta, Louis scriveva al Ministro delle Finanze di Luigi XIV quanto segue: "Non potreste credere, signore, né le fatiche che si sobbarca per il vostro servizio, né l'affetto con cui lo fa, né il merito e la probità che mette in ogni cosa. Ho reso al signor Poussin la lettera che voi gli avete fatto l'onore di scrivergli; lui ed io abbiamo progettato certe cose delle quali potremmo intrattenervi a fondo tra poco e che vi doneranno, tramite appunto il signor Poussin, dei vantaggi (se voi non vorrete disprezzarli) che i re durerebbero gran fatica ad ottenere da lui e che, dopo di lui, nessuno al mondo scoprirà nei secoli futuri; e quello che più conta, ciò sarebbe senza molte spese e potrebbe persino tornare a profitto, e si tratta di cose da ricercare così fortemente che nulla di quanto esiste sulla terra potrà avere migliore fortuna od esservi uguale."
Di quali conoscenze e di quali vantaggi si trattava? E' un mistero insondabile che è mio dovere indagare fino in fondo, poiché si tratta forse del dettaglio più importante dell'intera vicenda, un dettaglio che può condurci alla rivelazione del segreto e dell'identità del misterioso individuo cui la Storia dà la caccia da ben tre secoli.
Da quanto mi risulta, forse la lettera venne intercettata dalle spie di Mazzarino e da questi passata al Re, che non perse tempo per mettere alle calcagna del suo fastoso Ministro diversi agenti segreti col compito di controllarne le mosse private e pubbliche.
Strano ma vero, è proprio da quel momento che Foucquet comincia ad avvertire attorno a sé un clima politico assai sfavorevole, ma poiché è ancora in ottimi rapporti col suo protettore Mazzarino, le sue alterne vicende si trascinano ancora per qualche anno, fino al 1661, anno della morte del Cardinale e anno, appunto, nel quale viene con una sorprendente coincidenza arrestato da d'Artagnan con l'accusa abbastanza sintomatica di sedizione contro il potere monarchico di Luigi XIV.
Mi fermo qui, perché altrimenti non si finirebbe mai di scrivere e annotare gli innumerevoli enigmi di questa storia.
Ad ogni modo, pur di fronte a questa congerie di misteri insondabili, non mi persi d'animo e per prima cosa decisi di compiere in incognito un viaggio proprio a Pinerolo per una ricerca sul posto.
Andai dapprima nella Biblioteca della città e m'intrattenni con il Direttore, chiedendogli libri e documenti in merito alla vicenda che tanto mi stava a cuore. Mi furono dati in visione alcuni testi, ma nulla più. Chiesi come mai di alcuni autori famosi non si trovassero le relative opere e mi fu risposto che in verità a Pinerolo la questione non era ritenuta degna di molta attenzione. Come? La Maschera di Ferro è vissuta a pochi passi da qui e a Pinerolo non se ne danno pena? La cosa mi parve assai contraddittoria.
Nelle giornate susseguenti cercai di entrare in rapporti con abitanti e studiosi del posto, ma tutti avevano l'aria di fregarsene di questa vicenda, dicevano che ne avevano piene le tasche e non desideravano sentir parlare di maschere e cose varie. La circostanza fu per me la spia rivelatrice che qualcuno in Italia non voleva che s'indagasse su questa questione, particolare dimostrato anche dal fatto che di alcune opere scritte in francese non esistono praticamente traduzioni, a partire da quella ciclopica di Lair e di Iung per finire con un'opera specifica di Gerard De Sede che allude a Foucquet quale conoscitore di segreti in rapporto alla questione altrettanto inquietante di Rennes-le-Chateau.
Dopo un lungo colloquio col Sindaco di Pinerolo, che in pratica cercò di distogliere i miei interessi dai gravi angoscianti enigmi sopra riportati, alla fine fu giocoforza decidere di ritornare nella mia terra natia, anche per le circostanze poco chiare di alcuni accadimenti verificatisi nell'albergo in cui avevo alloggiato, dove appunto rimasi colpito da una visita improvvisa della gendarmeria del posto, che dopo controlli e una specie di fitto interrogatorio, mi consigliarono velatamente di lasciare Pinerolo al più presto possibile. La mia presenza, ovviamente, non era gradita, forse avevo commesso qualche errore di cui comunque non riuscivo a trovare traccia nella mia memoria.
Giunto a casa, però, e accendendo il computer, ebbi la nuova di leggere un'e-mail, nella quale uno studioso francese sconosciuto m'invitava a Parigi per una questione della "massima urgenza". Come aveva saputo che indagavo sul mistero della Maschera di Ferro? Aveva forse trovato il mio nome sul web, nel quale avevo scioccamente fatto filtrare il tenore delle mie ricerche? Era possibile, in effetti proprio su questo mistero avevo ottenuto di poter pubblicare on line un piccolo articolo che evidentemente aveva colpito nel segno. Ma era una cosa saggia da fare intrattenermi con uno sconosciuto? Certamente no. Potevo andare incontro a spiacevoli inconvenienti. Afferrai dunque la cornetta e m'informai presso un mio collega francese se conosceva l'uomo in questione. L'altro mi confermò che potevo fidarmi, si trattava di una persona molto dabbene peraltro con un impiego presso l'Archivio Nazionale Documenti Storici. Il gioco valeva la candela, cosicché, fatti i bagagli in fretta e furia, l'indomani mattina presto partii col primo aereo diretto a Parigi. Qui alloggiai in un hotel modesto il cui indirizzo avevo comunicato al mio sconosciuto interlocutore, e dopo circa quattro-cinque ore che mi ero sistemato nella mia stanza sentii bussare al portone. Era proprio lui, un uomo sulla sessantina con folti baffi e parrucca e dagli occhi scuri e penetranti quanto mai. Parlava molto bene l'italiano, cosicché entrammo subito nel merito della discussione.
Mi disse subito di non aver paura, che era venuto per aiutarmi nella mia ricerca della Verità, che si trattava di una questione della massima importanza, che dovevo dimostrarmi all'altezza del compito affidatomi dal destino. Io gli dissi che non riuscivo a seguirlo, al chè mi chiese guardingo di prepararmi per una passeggiata ai Campi Elisi. Rimasi sbalordito dalla proposta, "non sono venuto per una gita" mi difesi. Ma l'altro si dimostrò talmente insistente che alla fine dovetti cedere, anche per un senso di curiosità irrefrenabile.
Uscimmo dall'albergo che erano circa le sei di pomeriggio, era quasi buio e l'idea di compiere un'escursione a Parigi insieme ad uno sconosciuto non era per nulla allettante.
"Dove andiamo?" chiesi titubante e continuai timoroso del suo improvviso mutismo: "Intende davvero condurmi ai Campi Elisi?" "No" fu la gelida risposta dell'altro "desidero farle conoscere un anziano signore che si interessa di anticaglie e documenti storici inediti. Credo che le farà piacere incontrarlo. Sono in ottimi rapporti con lui, sto trattando proprio in questo periodo l'acquisto da parte dell'Istituzione che rappresento alcuni documenti inediti che certamente saranno tali da accendere la sua curiosità."
Mentre camminavamo spediti in mezzo ad una strada deserta di passanti e stranamente anche di autoveicoli, mi accorsi che eravamo pedinati da lontano da due strani figuri apparsi all'improvviso ad un incrocio, che ci stavano osservando addirittura con un binocolo. Rivelai subito la circostanza al mio accompagnatore e l'altro mi consigliò di accelerare l'andatura.
"Forse ci hanno scoperti" disse indispettito "a questo punto conviene che ci dividiamo. Ci rivedremo in via Sedan, accanto ad una birreria. Si trova in fondo a quella via a destra. La percorra fino ad un grande incrocio e poi vada a sinistra e subito a destra in fondo, ma molto in fretta, potrebbero inseguirci!"
Feci come consigliatomi e seppure non conoscessi questa via Sedan, infilai la traversa che mi era stata suggerita ed in breve mi ritrovai a percorrere una zona di Parigi per me ovviamente del tutto sconosciuta. Già maledicevo il momento in cui mi ero deciso di venire nella capitale francese, già cominciavo a temere chissà quale terribile inconveniente. Una paura incontenibile s'impossessò di tutte le mie membra e ad un tratto mi accorsi sorpreso di stare correndo come un pazzo scatenato. Qualche viandante mi apostrofò in malo modo allorché gli passai talmente vicino da impaurirlo.
Ero ancora impegnato in una corsa furiosa attraverso vie e straduzze di Parigi, allorché fui fermato da un passante che, presomi letteralmente sotto le ascelle, mi disse che aveva ricevuto l'ordine di condurmi in un posto preciso, per un "appuntamento".
Vista la situazione (anche perché il "punto preciso" corrispondeva alla casa indicatami), credetti opportuno prestar fede all'improvvisa apparizione ed in breve entrammo per un portone roso dalle tarme, attraversammo un androne buio e quindi scendemmo in una specie di ampio scantinato dove giacevano alla rinfusa innumerevoli scartoffie e vetusti testi ingialliti dal tempo e dall'umidità e in quel locale poco raccomandabile ritrovai rinfrancato il mio oscuro anfitrione che stava parlottando con un uomo dalla pelle raggrinzita dalla vecchiaia incipiente. Era il trafficante di anticaglie di cui mi aveva parlato. La mia fortuita guida a questo punto ci lasciò e lo strano individuo per cui mi trovavo colà disse al vecchio di prendere un documento preciso, una specie di pergamena annerita e mezzo bucherellata dal tempo, insieme a due altri fogli mezzo fradici che rappresentavano gli originali o le minute di due strane lettere spedite a suo tempo dal marchese di Louvois al capitano di Saint-Mars. Mi furono messi sotto il naso e mi si consentì di sedermi ad un tavolo per leggerli e tradurli simultaneamente.


Mi chiamo Nicolas Foucquet e ho servito fedelmente il mio augusto Re Luigi XIV. Per un sinistro destino che non avrei mai desiderato, sono rimasto vittima di una vicenda quanto mai terrificante che non auguro a nessuno di vivere. Sono stato accusato delle più turpi azioni di questo mondo, ma Dio è mio testimone che si tratta di accuse costruite a tavolino da Colbert e dai suoi accoliti per rovinare la mia reputazione e la mia vita. Ma non sono riusciti nel loro blasfemo intento.
Dopo aver subìto un processo assurdo ed essere stato internato nella fortezza di Pinerolo, nel 1680, anno della mia presunta morte anch'essa costruita a tavolino, sono riuscito ad evadere dalla prigione con l'aiuto di un'organizzazione segreta della quale non rivelo il nome (S…).
Da allora sono vissuto in incognito in un villaggio del sud della Francia e logicamente farò di tutto pur di salvare in incognito la pelle.
Sono ormai un vecchio in attesa di presentarmi dinanzi all'Onnipotente, cosicché la mia anima deve essere mondata da tutte le menzogne di questo mondo.
Dico allora subito che dietro il Mistero della Maschera di Ferro si cela una Verità che neppure il de Saint-Mars (spietato carceriere di Pinerolo al soldo del marchese de Louvois) conosce. Il mio sfortunato compagno di prigione, il signor Dauger, collocato nella mia cella in quanto mia vecchia conoscenza, altri non era che un affiliato ad un'Associazione Massonica di cui anch'io facevo parte, un uomo ritenuto pericoloso perché in strettissimi rapporti col ducato dei Lorena, fatto arrestare pretestuosamente dagli sgherri di Colbert perché si temeva che qualcuno potesse usarlo per rovesciare la Monarchia di Luigi XIV.
Dopo la mia fuga, il Saint-Mars, come ho saputo in seguito, ha fatto rinchiudere Dauger e La Riviere (l'altro mio valletto) in una cella sotterranea, affinché di essi si perdessero per sempre le tracce, in quanto lo spietato secondino riteneva per certo fossero a giorno di certi segreti dei quali in verità sono anch'io in possesso. Ma allora, perché li hanno collocati nella mia cella? La cosa ha veramente dell'assurdo!!
Non nego che tali segreti esistano, dico solo che è assolutamente contrario alle leggi divine incarcerare chicchessia solo perché una Verità non piace. Ed io, purtroppo, una Verità la posseggo.
Nel 1656, parlando amichevolmente col mio triste fratello l'abate Louis, essendo stato da sempre un mecenate convinto delle arti letterali e pittoriche, e avendo avuto notizia di un certo Poussin, a quel tempo vivente a Roma, lo pregai di recarsi nella capitale italiana per discutere con l'interessato dell'eventuale acquisto di alcune sue opere, specialmente delle due che portano come titolo "I Pastori d'Arcadia", con le quali desideravo ornare i miei castelli. In verità quest'iniziativa mi era stata caldeggiata da alcuni personaggi facenti parte di quella stessa Associazione Esoterica sopra accennata, della quale facevano parte anche alcuni miei intimi familiari, i quali mi pregarono vivamente di compiere quel passo in quanto, mi rivelarono, in quelle tele era racchiusa una Verità talmente sconvolgente da distruggere dalle fondamenta l'intero impianto della Chiesa di Roma.
Incuriosito da queste strane rivelazioni, pressai i miei familiari affinché mi rendessero edotto di quale mistero poteva mai trattarsi, al chè, dopo vari tentennamenti, mi fu detto che lo avrei saputo solo se avessi acconsentito ad entrare in incognito nell'organizzazione di cui sopra, che allora si stava battendo per far cadere la legittimità al trono dell'ancora giovane Luigi XIV in favore del fratello di Luigi XIII, morto senza discendenti sicuri. Come ben tutti sanno, sto parlando di Gastone d'Orleans, in seguito sposatosi con una damigella del nobile Casato dei Lorena, fortemente impegnato a salire al trono alla morte del fratello senza eredi. Mi fu detto che la candidatura di Gastone d'Orleans aveva preso piede dopo appunto il suo matrimonio con la nobildonna sunnominata, in quanto si vociferava che la Stirpe dei Lorena fosse depositaria di conoscenze segrete particolarmente devastanti in quanto presunti discendenti dei Merovingi, i primi Re francesi a loro volta depositari di segreti in rapporto al mistero della discendenza di Gesù.
Non vi può essere dubbio che rimasi assai scosso da tali sinistre rivelazioni e innocentemente domandai ai miei consanguinei che c'entrava questo discorso con Nicolas Poussin. Mi dissero che c'entrava, e anche di molto, in quanto nelle due tele dei "Pastori d'Arcadia" il pittore francese emigrato a Roma aveva nascosto una pista cifrata in grado di dimostrare la veridicità delle aspirazioni dei Lorena. Ma non era solo di questo che si trattava, mi fu aggiunto. Il fatto altamente inquietante riguardava appunto il destino di Cristo, che non sarebbe affatto resuscitato, ma che si troverebbe al contrario sepolto in una zona che il dipinto di Poussin mostra con una chiarezza lampante. Si tratterebbe di un sito molto vicino all'attuale cittadella di Rennes-le-Chateau.
Dopo essere entrato in possesso di queste ed altre confidenze, ovviamente convinsi il mio povero fratello a recarsi a Roma. Egli si incontrò con Poussin e mi mandò una lettera nella quale alludeva a conoscenze in possesso del suddetto pittore, conoscenze talmente dirompenti che i Re avrebbero fatto di tutto pur di carpirne il contenuto.
La lettera era redatta in questi termini: "Non potreste credere, signore, né le fatiche che si sobbarca per il vostro servizio, né l'affetto con cui lo fa, né il merito e la probità che mette in ogni cosa. Ho reso al signor Poussin la lettera che voi gli avete fatto l'onore di scrivergli; lui ed io abbiamo progettato certe cose delle quali potremmo intrattenervi a fondo tra poco e che vi doneranno, tramite appunto il signor Poussin, dei vantaggi (se voi non vorrete disprezzarli) che i re durerebbero gran fatica ad ottenere da lui e che, dopo di lui, nessuno al mondo scoprirà nei secoli futuri; e quello che più conta, ciò sarebbe senza molte spese e potrebbe persino tornare a profitto, e si tratta di cose da ricercare così fortemente che nulla di quanto esiste sulla terra potrà avere migliore fortuna od esservi uguale."
Quando fummo a quattr'occhi, lo interrogai a dovere sui contenuti di questa lettera e qui ebbi la conferma che effettivamente qualcosa di assai losco si stava profilando all'orizzonte. Mio fratello mi disse in sostanza che Poussin era passato un giorno per caso o di proposito (su questo particolare non posso essere più preciso) da Rennes-le-Chateau e di avere dipinto la tomba del suo quadro copiandola pedissequamente da una realmente esistita in quel posto, con nello sfondo il conseguente panorama del piccolo paesino dei misteri. Alla mia domanda del perché di questa sosta di Poussin a Rennes-le-Chateau e su chi lo avrebbe consigliato di fermarsi in quel posto, rispose che su questo dettaglio il signor pittore non aveva voluto sbottonarsi, parlò vagamente di una "assistenza occulta" ricevuta e che in ultima analisi non poteva aggiungere altri particolari.
Strano che possa sembrare, dopo questo colloquio con mio fratello, la mia vita politica cominciò a peggiorare. Notavo sempre più apprensivo che mi si guardava fisso negli occhi quasi in segno di rimprovero, mi si frapponevano ostacoli sul mio lavoro mai prima di quel momento sperimentati. Lo stesso Capo del Governo, quel Mazzarino a cui avevo fatto tanti favori, dava segnali di volersi un po' distaccare dalla mia amicizia, cercando in tutti i modi di mettermi in cattiva luce davanti al Re nel mentre che si adoperava per l'avanzamento in carriera del suo personale segretario, quel Colbert che divenne il mio più aspro nemico.
Forse annusando le mie trame (in effetti avevo cominciato a frequentare di nascosto insieme a mia madre l'organizzazione esoterica di cui sopra), ad un certo punto Mazzarino divenne con me sempre più scorbutico, esigeva ogni giorno somme sempre più considerevoli per bisogni governativi di cui però non mi rivelava mai la destinazione e forse segretamente mise alle mie calcagna qualche spia per controllare le mie mosse, iniziativa che si fece evidentemente sempre più stringente allorché fummo messi al corrente che la nostra organizzazione era stata scoperta… ed io con lei.
Qui cominciò la mia disgrazia. Colbert si faceva di ora in ora più spavaldo, arrivò persino a togliermi il saluto, me ne combinò di cotte e di crude, evidentemente si riteneva al riparo perché protetto sia da Mazzarino, sia non ancora apertamente dallo stesso Luigi XIV. Fatto sta che, quando il primo morì, si ordì a mio danno una sottile congiura nella quale caddi come un agnello, mi si consigliò in sostanza che, data la mia alta posizione come Ministro delle Finanze, non era una bella cosa per il pubblico parigino sapere che mantenevo contemporaneamente la carica di Procuratore generale del Parlamento, ragion per cui il Re in persona, manovrato ad arte da Colbert, mi chiese con una gentilezza che mi parve in verità molto artificiosa di permettere che qualcun altro si occupasse di questa seconda carica che ricoprivo, me ne sarebbe stato assai grato e per questo, come in realtà avvenne, sarei stato ripagato lautamente. Lasciai dunque il mio posto al Parlamento e fu proprio dopo essermi svestito di tale potere che mi accorsi che il Re in persona non perdeva mai occasione per biasimarmi in privato e a volte persino in pubblico a causa del debito finanziario in cui versavano allora le casse francesi. Io mi difesi come meglio potei, parlando delle responsabilità di Mazzarino e della sua politica dispendiosa, ma il Re si mostrava quasi indifferente dinanzi alle mie lagnanze e ogni giorno ritornava a ripetermi alla litania accuse vaghe che cominciavano ad infastidirmi ed anche ad impaurirmi. Pensai ad un certo punto di tagliare la corda, ma oramai era troppo tardi, il Re aveva ormai ordinato il mio arresto.
Il processo a cui fui sottoposto fu uno dei momenti più difficili e allo stesso trionfali della mia vita, era evidente che i giudici erano pagati e manovrati per accusarmi delle più svariate nefandezze mai da me commesse; mi fu rinfacciato che mi ero appropriato in maniera fraudolenta di fondi statali per abbellire le mie residenze, che ero a capo di un complotto sedizioso teso a scalzare dal trono il Re, mi si mostravano carte da me controfirmate che potevano confermare tali accuse, ma le firme erano palesemente contraffatte. Quando a mia volta ribattevo che potevo provare documenti alla mano dove erano andati a finire quei fondi e dove fossero le testimonianze del complotto, mi s'ingiungeva di tacere e di inchinarmi alla volontà del Re. Alla fine mi fu consentito di difendermi e provai nel più grande e per me inaspettato trionfo che tutto era falso, al chè i soliti giudici corrotti fecero sparire gli incartamenti che avevo presentato, secretandoli e non ammettendoli più nel corso degli ulteriori dibattimenti. Il mio avvocato dovette subire varie minacce, io stesso venni interrogato in modo violento nella mia cella, mi si minacciò persino di morte se non avessi confessato, mi fu ingiunto di rivelare i nomi dei miei amici implicati nel complotto contro il Re, ma io fui irremovibile pur sotto la tortura e non tradii alcuno dei miei.
Se complotto c'era stato, si trattava solamente del complotto della Verità. E la Verità era che Luigi XIV non era l'erede legittimo al trono, che era il figlio dell'adulterio consumato da sua madre la Regina Anna d'Austria con non so quale bel giovane e che al suo posto avrebbe dovuto sedere Gastone d'Orleans, erede già designato dal popolo andato in sposo ad una sorella del Duca di Lorena.
Pur convinto fin nei precordi di questa Verità, però, non avevo fatto nulla per trarne le dovute conseguenze, anzi avevo tenuto a freno alcuni dei miei più spavaldi amici che a tutti i costi, in effetti, desideravano l'immediata destituzione del Re.
Il processo si trascinava con fasi alterne, ma io sentivo che il popolo di Parigi era con me, cosicché mi feci più baldanzoso che mai, ma all'improvviso entrò in gioco, a quanto mi è dato di sapere, la Chiesa, messa al corrente dal Re delle conoscenze da me acquisite dopo il contatto tramite terzi col pittore Poussin.
Se fosse stato solo per le accuse nebulose rivoltemi stancamente, sicuramente l'avrei avuta vinta. Ma quando cominciò a muoversi contro di me la Chiesa, capii che il processo si sarebbe concluso con la mia condanna a morte.
Evidentemente, durante il suo soggiorno a Roma, Poussin era stato notato da spie e gendarmi del papato, forse lo stesso Poussin era stato tradito da qualche amico che riteneva al di sopra di ogni possibile immaginabile sospetto ed in effetti mi hanno sempre dato da pensare alcune coincidenze, specialmente quelle relative alla sua morte, avvenuta non a caso qualche mese dopo la conclusione del mio orribile processo e cioè nel 1665.
Dunque, sembra pacifico che la Chiesa abbia fatto pressioni sul Re per farmi condannare a morte, in quanto, insieme a Poussin, mi si riteneva in possesso di conoscenze "proibite" in riferimento alla vera storia di Gesù e alla sua discendenza di sangue culminata nei Merovingi e poi sfrangiatasi in vari rivoli di cui uno era sicuramente il Casato dei Duchi di Lorena imparentatisi con Gastone d'Orleans proprio allo scopo di ovviare ad un'usurpazione politico-religiosa che era durata ben sedici secoli.

Il processo quindi ebbe termine, ma i giudici, sicuramente marcati a vista dai miei nemici politico-religiosi, non se la sentirono di farmi impiccare e decisero per il bando perpetuo dalla Francia, ma il Re, come mi aspettavo, non fu dello stesso parere e temendo che potessi rivelare all'estero il "segreto" di cui sopra, fece cambiare il verdetto condannandomi vergognosamente al carcere perpetuo nel brutto mastio di Pinerolo.
I primi anni furono durissimi, non potevo parlare con nessuno, mi si impediva persino di uscire nel cortile della prigione per respirare un po' d'aria, non mi si davano penne o libri, non si permetteva neppure che potessi ascoltare messa; il Saint-Mars, pur nella sua cieca tracotanza, qualche volta mi portava un po' di sollievo mangiando insieme a me nella cella, ma evitando di intrattenersi con me su discussioni che non fossero quelle banali relative al tempo e alla bontà dei pasti che egli si vantava facesse cucinare apposta per me dal suo cuoco personale. Alle volte cercavo di incamminarmi su una qualche diversa interlocuzione e allora il carceriere si alzava come impazzito dalla sedia, gridava che aveva avuto ordini tassativi di uccidermi se solo avessi osato parlare di cose che non riguardassero le condizioni della mia permanenza in prigione, dopodiché usciva dalla cella sbattendo il pesante cancello e ordinando alle sentinelle di essere sempre pronte e vigili nel caso di qualche mia mossa sconveniente.
Questi atteggiamenti non facevano che acuire in me lo sdegno per un trattamento che ritenevo ignobile per il sottoscritto, una volta potente Ministro ed ora crollato e sotterrato nel più profondo dei recessi del regno carcerario. E fu così che mi vendicai a mio modo. Rivelai tutte le cose che conoscevo a La Riviere, mio compagno di cella e amico carissimo, che da quanto seppi morì dopo essere stato trasferito a Exilles. Egli mi giurò che avrebbe mantenuto questo segreto fino alla tomba e a dire il vero non ho ragione di dubitare che non si sia comportato come promessomi.
Quando mi fu portato nella cella il triste Dauger, perché collaborasse con La Riviere alla mia servitù, capii subito che qualcosa non andava. Lo interrogai minuziosamente sulla sua vita passata e allora lo sfortunato individuo mi raccontò tutte le sue peripezie, di come era stato arrestato a tradimento nelle Fiandre dal signor de Vauroy , di come era stato ritenuto pretestuosamente implicato in affari di veneficio, in quei momenti nei quali questa maniera di dare la morte era in voga, tanto che ad un certo punto si decise di instaurare la famosa Camera Ardente all'Arsenale, appunto per giudicare questo tipo di reati. Ma Dauger non era affatto un assassino, su questo non ho alcun dubbio, era un individuo assai speciale in quanto molto legato ai Lorena, forse il più misterioso dei rampolli del nobile Casato, forse addirittura genealogicamente discendente dai Merovingi di cui a quei tempi si vociferava si volesse di nuovo restaurare la dinastia.
Adesso si dice che vi sia un uomo con la Maschera di Ferro, proprio dopo la mia presunta morte!! Tutte balle!! Quell'uomo è abbastanza conosciuto e famoso e nessuna Maschera di questo mondo potrà nasconderlo! Non si vuole che lo si conosca sia perché si sa quale enorme minaccia rappresenta per la Corona e sia perché a conoscenza del "segreto" che gli ho rivelato. Svelare la sua identità, in sostanza, corrisponderebbe a svelare le losche trame del mio imprigionamento e le circostanze per la monarchia disonoranti della mia fuga organizzata da Pinerolo, corrisponderebbe a far sì che gli si faccia un processo equo permettendogli sia di dire le cose che gli ho detto e sia di rivelare nomi e cognomi dei suoi altolocati carcerieri parigini. Colbert e il Re non possono permettersi questo pericolo, per questo hanno fatto credere al Conte di Lauzun che i due erano stati liberati, appunto per far cadere l'ultimo dubbio a proposito del "segreto".
Non so che fine farà questo Dauger; egli, pur essendo la Maschera di Ferro, non è l'unico depositario del Segreto della Maschera di Ferro, sono io in verità l'architrave di questo mistero e di questo mi vanto e mi vanterò fin quando il buon Dio vorrà tenermi in vita.

Egregio capitano di Saint-Mars,
ho ricevuto l'astuccio con quelle strane droghe fabbricate da Dauger. Non so come quest'uomo abbia potuto fare ciò che mi avete mandato, non oso credere ad un vostro coinvolgimento…..
Mi dite che nelle tasche del "preteso" defunto signor Foucquet sono state trovate delle carte "segrete", di cui però mi nascondete il contenuto.
In nome e per conto di Sua Maestà Luigi XIV, vi ordino di inviarmele immediatamente e di non far parola alcuna di quanto avrete potuto leggere, si tratta probabilmente di notizie che potrebbero destabilizzare la convivenza civile del nostro popolo, minarne la religiosità e portare in ultimo all'anarchia.
Per tutto questo e per altro ancora che non posso in questa sede rivelare, rimango in attesa di un vostro immediato riscontro.

Nobilissimo capitano di Saint-Mars,
vi sono grato di quanto mi avete accluso…..sapevo che non avreste potuto esimervi dal compiere il vostro dovere.
E' come mi aspettavo, documenti scottanti di carattere politico-religioso che ho consegnato subito nelle mani del Re, che nella mia persona vi ringrazia sentitamente.

"Che le ne pare?" mi chiese con una serietà marmorea lo sconosciuto, mentre il vecchio mi osservava con un leggero sorriso da ebete.
"Sono documenti interessantissimi, non c'è che dire. Ma sono davvero originali?" domandai in tono sommesso quasi vergognandomi della mia perplessità. " Su questo la posso tranquillizzare. Un esperto grafologo mi ha confermato che si tratta inequivocabilmente di scritti vergati dalla mano di Foucquet per quanto riguarda la memoria e di due missive autentiche del Ministro Le Tellier. Ecco a lei due atti ufficiali di Foucquet e del Ministro! Li confronti lei stesso!" e così dicendo m'invito a comparare i documenti. Uguali nella scrittura come gocce d'acqua!! Non c'era alcun dubbio, del resto gli atti ufficiali che lo sconosciuto mi pose dinanzi erano testimonianze scritte che gli storici erano tutti concordi nell'attribuire alle mani di Foucquet e di Louvois, da una parte una lettera redatta in tempi non sospetti nella quale lo sfortunato soprintendente alle Finanze chiedeva a Mazzarino come comportarsi per far fronte al crescente dissanguamento delle casse statali a causa delle varie guerre che la Francia stava allora sostenendo con le Potenze europee e dall'altro una minuta vergata dal Ministro della Guerra e diretta ad un oscuro governatore della Bretagna.
"Purtroppo non posso fare altro per lei, mi sembra che quanto ha avuto modo di vedere le basti e avanzi. Arrivederci!"

Quando fui a casa e riandai a quella lettura proveniente dai bui recessi della Storia, fu come se d'un tratto mi si aprisse il famoso terzo occhio: compresi…compresi che era sul personaggio di Foucquet che dovevano indirizzarsi tutte le mie ricerche, per cui passai notti e giorni a compulsare libri e documenti che parlavano della sua vita. Tutto, dico tutto, sembrava corrispondere a quanto letto in quei misteriosi manoscritti.

Il Cardinal Lettieri mi ricevette nel suo studio al Vaticano con molta cordialità. Mi fece accomodare accanto alla sua sfarzosa scrivania e mi chiese a cosa era dovuta questa visita inaspettata.
"Sono qui per chiederle se sa qualcosa della morte del noto studioso di storia, il professor Fervoni, sembra sia stato ucciso per cause apparentemente legate alla sua fama di ricercatore. Ultimamente, si dice stesse preparando una voluminosa inchiesta sul mistero della Maschera di Ferro." "E lei, carissimo, a che titolo viene da me? Quantunque sappia che lei è un onesto investigatore privato assoldato dalla moglie del defunto, non ritiene di essersi lanciato un po' troppo avanti e lontano chiedendo di incontrarmi? Pensa davvero lei che io possa aiutarla nel suo ammirevole desiderio di scoprire le cause dell'assassinio del dottor Fervoni?" "Sapevo che lei mi avrebbe risposto in questo modo" risposi accavallando le gambe "ad ogni modo sappia che lo studioso di cui stiamo parlando aveva avanzato ultimamente delle ipotesi che certamente alla Chiesa non dovrebbero piacere. Sto parlando precisamente del segreto di Rennes-le-Chateau. A quanto mi risulta, Poussin, il famoso pittore de 'I Pastori d'Arcadia', era in strettissimi rapporti con il controverso Ministro di Luigi XIV, Nicolas Foucquet. Una lettera misteriosa del fratello di costui, certo Louis, lo confermerebbe in maniera inequivocabile. E' a conoscenza di questa lettera? Saprebbe dirmi di quale segreto parla Louis al suo potente fratello?"
Il Cardinale non si aspettava certo una domanda del genere; restò per qualche secondo soprappensiero e poi, ponderando bene le sue argomentazioni, disse: "Gentilissimo dottor Vincenzo, e lei crede davvero che una lettera, seppure misteriosa, possa essere una spia accettabile di un collegamento forzato tra Foucquet, Rennes-le-Chateau e la Maschera di Ferro? Ma ammettiamolo pure. Dove sarebbero gli altri documenti in grado di confermare questa ipotesi? Se li ha lei, me li dia, risolveremmo tutto in quattro e quattr'otto." "So che non è facile averli" risposi in un certo senso mentendo a me stesso "per questo sono venuto da lei, che se non sbaglio è uno dei più importanti responsabili degli Archivi Segreti del Vaticano." "Ma lei è davvero ingenuo!" esclamò sbalordito il Cardinale "pensa davvero che io possa aprirle i forzieri di una Istituzione di cui sono appunto uno dei massimi responsabili? Non corrisponderebbe a tradire la mia carica e la mia onestà?" "E a chi mi dovrei rivolgere?" domandai insistente "forse al Papa in persona? Sa bene che non è possibile." "Non mi dica altro" rispose stizzito il Cardinale "per me il discorso è chiuso. Faccia pure quello che le pare, faccia pure intervenire la Procura di Roma, le garantisco che nessuno a questo mondo è in grado di provare le tesi di uno studioso a proposito di un fatto pur inquietante ma avvenuto se non erro ben tre secoli or sono! Se è stato ucciso, come lei mi dice, forse ci saranno dei motivi molto delicati, ma da qui a dire che si tratta di un omicidio ispirato dalla Chiesa ce ne corre e tanto." "Lei ritiene che la Chiesa sia del tutto incolpevole di questo assassinio?" "Le cose non avvengono mai per caso. Evidentemente, forse l'ucciso dava fastidio a qualcuno, aveva forse sproloquiato basandosi su mere congetture prive di appoggi documentali. Ma è un'ipotesi che deve valutare lei in quanto investigatore di professione, non può farsi sostituire dal sottoscritto che è un umile servitore di Cristo." "Ritiene davvero lei, nella sua qualità appunto di servitore di Cristo, che questi sia davvero Dio o Figlio di Dio?" "Questo è il dogma principale della Chiesa cattolica. Negarlo è il peggiore delitto che un credente possa fare." "Ma è delitto pensarla in modo diverso? Perché avere tanta paura del contrario?" "Lei non sa cosa accadrebbe" rispose il Cardinale scuro in volto "cosa accadrebbe nel mondo se venisse acclarata la tesi della mortalità di Cristo. Cadrebbe la Chiesa, cadrebbero tutti i valori, il mondo sprofonderebbe nel caos e Dio solo sa chi potrebbe salvarci da una simile tragedia! Tutti questi discorsi su Rennes-le-Chateau, forse lei non lo riconoscerà, sono deleteri per l'umanità. L'uomo ha bisogno di credere e se gli togliamo questa speranza per lui sarebbe la fine, l'instaurazione del regno del Demonio. La Chiesa ha il diritto di difendersi, con qualsiasi mezzo e.." "Anche ricorrendo all'omicidio?" dissi in maniera offensiva comprendendo subito di essermi lasciato andare. "Non le permetto di avanzare queste basse insinuazioni. Arrivederci!" e così dicendo il Cardinale mi congedò in malo modo.

"Signor Fraulet" dissi al segretario personale del Direttore della Biblioteca Centrale di Parigi "conosceva lei lo studioso italianoFervoni?" "Sì" fu la risposta lapidaria dell'uomo, che per mia fortuna era solo nel suo ufficio per una temporanea assenza del Direttore. "Sa che tipo di ricerche è venuto a fare qui a Parigi?" "Devo saperlo per forza, essendo purtroppo un dirigente di questa Illustre Istituzione." "Mi dica" dissi in tono calmo. "Se non sbaglio, la sua particolare attenzione era rivolta alla ricerca del personaggio misterioso passato alla storia come 'Maschera di Ferro'. Mi ha richiesto diverse pubblicazioni, tra cui una in particolare di uno studioso francese di genealogie." "Di quale studioso e di quale opera si tratta?" lo incalzai fremente. "E' una persona tuttora vivente e abita in via dello Scrivano, non molto lontano da qui. Se vuole posso darle anche il numero di telefono. Ogni tanto lo contattiamo per avere informazioni sulla sua attività precipua." Poi, diventato improvvisamente impaurito, disse: "Per favore, non mi tradisca, so di averle rivelato un segreto, ma l'ho fatto del tutto innocentemente, anche perché ero molto legato al suo amico. L'ho invitato un giorno perfino a casa mia per una cena!
D'altronde, l'opera in questione non può più essere data in prestito. Ho ricevuto persino l'ordine di non darla più in visione a chicchessia, sia pure il Presidente della Francia!"

"Egregio signor Vincenzo" iniziò le sue lunghe e contorte argomentazioni il genealogista allorché ebbi modo di rintracciarlo "le idee del suo compianto Fervoni erano abbastanza precise. Mi dispiace davvero che sia stato ucciso in questa maniera barbara. Ho fatto anch'io delle ricerche e anche a me risulta che Foucquet abbia avuto abbastanza le mani in pasta nel mistero della Maschera di Ferro. E' stato l'uomo più sfortunato di questo pianeta. Pur essendo un'anima buona e caritatevole, è stato di proposito infangato dai suoi nemici che lo ritenevano a torto pericolosissimo. Colbert si è dimostrato assai spietato nei suoi confronti. Non dico che la Maschera di Ferro sia stato lui, dico soltanto che egli conosceva chi era la Maschera di Ferro. E ne conosceva purtroppo anche il segreto. Per questo è stato assassinato, anche se ovviamente tutti gli storici sono concordi nell'affermare che la sua sepoltura non si è mai trovata e forse non si troverà mai. Qualcuno ritiene perfino che non sia morto e che sia evaso dalla prigione di Pinerolo in seguito all'intervento di un'organizzazione segreta conosciuta dagli addetti ai lavori col nome di 'Compagnia del Santo Sacramento'. Sembra che alcuni suoi familiari ne facessero parte, a cominciare dai suoi fratelli ecclesiastici per non parlare della madre, donna religiosissima che tante lacrime versò per la sventura occorsa al celebre figliolo.
Poiché si doveva nascondere questo delitto o questa evasione (la questione è ancora apertissima tra gli studiosi), coloro o colui al quale verosimilmente aveva rivelato il segreto venne condannato a portare questa sorta di maschera di ferro o come dicono altri di velluto, sia per impedire che si venisse a sapere chi era stato l'artefice dell'assassinio e sia soprattutto per evitare che costui potesse rivelare in qualche modo il contenuto del segreto appreso da Foucquet.
Ammesso e non concesso che si trattasse del segreto di una abbastanza compromettente stretta parentela di sangue del Dauger con il Re Luigi XIV (evenienza ovviamente da tenere nella giusta considerazione, con la possibilità che lo stesso Dauger ne fosse stato all'oscuro e ne fosse stato informato solo dal Foucquet), credo che ciò non sarebbe bastato per rinchiudere e tormentare a vita un uomo pur sempre così caro al Re, persona storicamente risoluta negli affari di stato ma provatamente scrupolosa per quanto riguarda gli aspetti psicologici e religiosi. No, la tesi della presunta fratellanza o quanto meno stretta parentela (e quindi somiglianza) tra Dauger e Luigi XIV, pur convincente sotto tanti punti di vista e persino verosimile se addirittura Voltaire se n'è fatto paladino, forse non è sufficiente a spiegare l'immenso mistero della Maschera di Ferro. Forse, ma ovviamente non ne posseggo le prove, poteva anche trattarsi di un segreto di carattere genealogico, nel senso che, acclarata l'ipotesi della consanguineità tra il presunto assassino di Foucquet con Luigi XIV, il primo potesse aver potuto rivelare al Dauger non solo che egli era l'erede legittimo al trono di Francia essendo nato adulterineamente nello stesso parto di Anna d'Austria o in un parto precedente ovviamente sapientemente tenuto nascosto al consorte Luigi XIII, ma che in definitiva il tutto doveva ricondursi ad una sorta di complotto probabilmente orchestrato da Mazzarino tendente a negare a Gastone d'Orleans, legato a filo doppio con il Casato dei Duchi di Lorena, di prendere possesso del trono di Francia, sia nel momento della morte del fratello Luigi XIII ancora senza eredi diretti, sia a maggior ragione allorché si fosse addivenuti alla scoperta di quest'inganno storico colossale in un clima politico ancora abbastanza arroventato dopo la fine della Fronda.
E qui in effetti il discorso si complica, poiché, secondo le mie indagini genealogiche, non dico che è provato, ma che sarebbe possibile dimostrare che i Duchi lorenesi abbiano avuto un qualche rapporto di discendenza dai tanto misteriosi Merovingi, una Stirpe avvolta nella leggenda ritenuta in possesso delle chiavi del Mistero di Cristo e della sua probabile progenie derivante dalla sua unione con Maria Maddalena.
Il problema di Luigi XIV non era dunque soltanto quello di preservare il suo regno da un legittimo pretendente al trono di Francia, la questione delicatissima risiedeva nell'evenienza dirompente e sconquassante della rivelazione di un mistero religioso imperniato su almeno tre elementi fondamentali: primo, Gesù era stato un uomo come tanti altri e quindi non ha alcun senso dichiararlo Figlio di Dio, essendo questa un'impostura degna dell'oscurantismo preistorico-mitologico; secondo, il presunto Messia si era sposato ed aveva avuto da Maria Maddalena dei figli che, sposatisi a loro volta, ne avrebbero continuato il lignaggio fino ai Merovingi e da questi ai nobili di Lorena, che in questo caso erano da ritenersi i legittimi pretendenti al trono, e una volta che ciò fosse accaduto non è difficile immaginare quale impatto avrebbe significato per la Chiesa, che avrebbe avuto di fronte un Casato nobiliare in grado di sbeffeggiare e denunciare al mondo tutte le sue menzognere turlupinazioni; e in ultimo il fattore più delicato, quello forse più connesso a Nicolas Foucquet e al suo presunto avvelenamento ad opera di Dauger, la rivelazione acquisita dal Ministro delle Finanze tramite Nicolas Poussin dell'ubicazione esatta del sepolcro di Cristo nella zona del Cardou presso Rennes-le-Chateau, non a caso alcuni studiosi sostengono che la parola 'Arcadia' che forma il titolo del celebre quadro del pittore francese sia appunto un anagramma proprio del termine 'Cardou', come risaputo un rilievo montuoso di circa settecento metri di altitudine che si trova a pochi chilometri in linea d'aria dalla piccola cittadina tuttora teatro di foschi intrighi e complotti a sfondo religioso.
Questi tre motivi basilari, messi insieme, credo rappresentino tuttora una minaccia radicale alla sopravvivenza della Chiesa, figuriamoci cosa ciò avrebbe potuto significare per quei tempi ancora immersi sino al collo nella melma dell'ignoranza medievale. Foucquet, non Dauger, avrebbe potuto distruggere dalle fondamenta la società dei suoi tempi per rifondarla su altri valori magari imperniati sull'onestà, sulla carità, sull'umiltà, sulla lealtà e sulla verità (il fatto documentato che si era circondato di un nugolo di artisti e intellettuali che aiutava nei momenti del bisogno è un'indicazione abbastanza inequivocabile delle virtù dello sfortunato soprintendente).
A dimostrazione che quanto le sto dicendo non è poi così lontano dal vero, vi è la spia rivelatrice dello strano comportamento quasi da fisima di Luigi XIV, il quale, alla morte di Poussin nel 1665 e dopo la conclusione del processo-farsa a Foucquet più o meno nello stesso periodo (noti la coincidenza sorprendente), scatena praticamente a Roma i suoi più fidati agenti segreti con l'incarico di acciuffare e praticamente sequestrare l'opera pittorica del famoso connazionale 'I Pastori d'Arcadia' (secondo l'opinione concorde degli studiosi emblema del mistero di Rennes-le-Chateau), riuscendo infine nell'impresa e nascondendola immediatamente alla vista del pubblico, a quanto si dice addirittura nella stanza più interna della sua residenza regale.
Ovviamente" concluse il genealogista "non ho prove a sufficienza per avallare queste mie considerazioni, ma solo indizi quantunque abbastanza corposi.
Se poi lei volesse conoscere il metodo col quale sono riuscito a mettere insieme queste quasi-prove, c'inoltreremmo in un territorio forse per lei indigesto, dovrei spiegarle tante di quelle cose sulla scienza della genealogia che alla fine lei stesso mi direbbe di farla finita. Credo che in definitiva a lei interessassero le conclusioni, non le mie conoscenze professionali mediante cui vi sono giunto."

"Caro dottor Perroni" mi rivolsi nella sua casa pinerolese allo studioso collega del mio amico Fervoni "che mi può dire del suo incontro sostenuto col defunto?" "E' stato un incontro bellissimo. Il professor Fervoni espresse le sue idee in merito alla Maschera di Ferro con la massima calma ed io restai allibito da come parlava, quasi fosse sicuro di quel che diceva ed avesse persino le prove relative, una circostanza che mi colpì non poco, anche perché nel corso della storia altri studiosi hanno avanzato innumerevoli ipotesi, ma mai con quel piglio di sicumera di cui il defunto, al contrario, sembrava persino vantarsi. Una riflessione che mi parve assai interessante era che, secondo Fervoni, c'era nella storia un particolare assai indicativo, secondo lui poco sottolineato dagli altri studiosi della materia; in sostanza, se, come si vocifera, Dauger fosse stato davvero il fratello gemello di Re Luigi XIV, oppure un consanguineo cadetto o di età superiore dello stesso, come mai, sosteneva appassionatamente il Fervoni, dal 1669, data del suo arresto, e fino al 1680, praticamente l'anno della morte di Foucquet, quest'individuo in sostanza vive e cammina nel mastio di Pinerolo, pur ovviamente sotto il controllo asfissiante dei secondini di Saint-Mars, senza la famosa Maschera applicata sul volto? E perché, sosteneva ancora il Fervoni, questa Maschera gli viene appioppata dopo la morte di Foucquet? Se Luigi XIV voleva impedire a tutti i costi di far conoscere al suo popolo l'esistenza di questo suo presunto fratello, non avrebbe dovuto forse nasconderlo con un'attenzione maggiore di quanto non sia stato fatto, almeno fino al 1680? E ancora, mi diceva Fervoni, perché viene dato a Foucquet in qualità di semplice valletto? Non è la dimostrazione che si trattava di persona di basso rango sociale, tenuto conto che, ammesso che Foucquet sapesse della sua origine regale, era logico aspettarsi da questi che rifiutasse di essere servito da persona di così alto lignaggio? E perché in una misteriosa lettera, fatta recapitare al de Saint-Mars da parte del marchese de Louvois, questi ingiunge al primo di non permettere al Dauger di avere contatti col misterioso conte de Lauzun? Effettivamente, questo conte, come narrano le cronache del tempo, era una persona poco raccomandabile, si vociferava che era un donnaiolo e un attaccabrighe di prima categoria e in più di un'occasione aveva sfidato apertamente persino il potere di Luigi XIV. Del resto, non era la prima volta che veniva incarcerato. Se non erro, era stato per qualche mese anche alla Bastiglia per accuse inerenti al suo atteggiamento da guascone. Cosa temeva in sostanza il de Louvois, quando praticamente ingiungeva a Saint-Mars di impedire ad ogni costo che Dauger e Lauzun s'incontrassero? Temeva che il secondo riconoscesse nelle fattezze del primo la somiglianza abbagliante col Re? Ma se così fosse stato, avrebbe dovuto impedire al Dauger di incontrarsi con chicchessia, cosa che, come sappiamo, avviene invece tranquillamente con La Riviere, l'altro valletto di Foucquet, con alcuni altri inquilini del carcere pinerolese e, fatto assai indicativo secondo Fervoni, proprio con lo stesso Ministro delle Finanze di Luigi XIV. A questi e ad altri dubbi, Fervoni rispondeva, ripeto con una sicumera quasi da investigatore navigato, che evidentemente il segreto da nascondere, pur potendo riguardare questa fantomatica somiglianza (a proposito, ricordo che a un certo punto il suo caro amico mi disse che poteva trattarsi addirittura di un qualunque sosia come ce ne sono e ce ne sono sempre stati nella storia umana di tutti i tempi), avrebbe invece potuto relazionarsi al mandato segreto di Dauger ricevuto da parte dell'acerrimo nemico Colbert, consistente nientemeno nell'ordine di uccidere il temibile Nicolas Foucquet, in possesso di 'orribili segreti' di Stato cui nessuno doveva accedere. In questa prospettiva, fare imbattere Lauzun con Dauger avrebbe significato la distruzione del piano delinquenziale orchestrato dal più fidato amico del Re ovviamente in combutta con quest'ultimo e per certi versi anche con Louvois, in quanto temevano che la parlantina e i sottili sotterfugi comportamentali dell'avventuriero potessero coinvolgere il suo sicario fino alla rivelazione del progetto delittuoso, con effetti devastanti per la corona francese, tenuto conto che l'arte dell'intrigo rappresentava la prima occupazione del controverso avventuriero. Almeno altre tre misteriose circostanze, secondo il Fervoni in grado di avvalorare queste sue argomentazioni, riguarderebbero la strana visita fatta da Le Tellier a Dauger a Pinerolo, il carteggio segreto intrattenuto dal Ministro della Guerra col suo ex omologo delle Finanze Regie (carteggio che neppure il Saint-Mars era tenuto a visionare e nel quale si dice che Louvois chiedesse a Foucquet notizie dettagliate sulle probabili eventuali rivelazioni di Dauger in merito alla sua vera identità) ed infine l'inquietante lettera spedita da Le Tellier al secondino di Pinerolo (subito dopo la presunta morte di Foucquet per avvelenamento), nella quale il primo chiedeva "come il nominato Eustachio (Dauger?) abbia potuto fare ciò che mi avete mandato e dove abbia preso le droghe necessarie, non potendo certamente supporre che gli siano state fornite da voi."
Dopo quanto le ho detto, mi sembra di poter concludere in buona fede che le analisi del suo amico erano alquanto perspicaci, tanto perspicaci da…averne provocato la morte."

"Egregio dottor Porema" incominciò il Sostituto Procuratore di Roma Alberto Svampi, responsabile delle indagini ufficiali, "la debbo a malincuore avvertire che qualsiasi suo intervento nella vicenda delle indagini attinenti alla ricerca delle oscure ragioni dell'omicidio del suo caro amico e studioso Fervoni, specialmente se non dovesse essere concordato col sottoscritto, verrà interpretato da questa Procura come atto ostile e pertanto perseguito a norma di Legge, quantunque sappia che la sua professione di investigatore privato viene garantita da altre Leggi dello Stato di Diritto. Ma, purtroppo per lei, siamo di fronte ad un problema giudiziario di enorme valenza politico-religiosa, le ricadute sul piano sociale potrebbero essere talmente dirompenti che lei stesso potrebbe subirne conseguenze allo stato neppure immaginabili. La pregherei pertanto di svolgere le sue personali inchieste in stretto rapporto con questa Procura, comunicandoci eventualmente e immediatamente qualsiasi elemento nuovo trovasse nelle sue ricerche." "Che mi dice" dissi a questo punto per nulla intimidito dalle parole del Sostituto Procuratore "della medaglietta trovata in casa del defunto? Mi è stato detto dalla moglie che riproduceva l'immagine di una donna, probabilmente la madre o la moglie del sicario solitario autore materiale del delitto. Parlo di delitto materiale a ragion veduta, poiché è ovvio che dietro di lui ci deve per forza essere la "longa manus" di qualche organizzazione ben addestrata all'insabbiamento della Verità." "Non mi piace questo suo modo di parlare" rispose prontamente Svampi guardandomi fissamente in segno di sfida "le faccio presente che sta dinanzi al responsabile legale delle indagini e pertanto esigo il rispetto che mi è dovuto. Sulla medaglietta non posso essere molto preciso, posso dirle soltanto che stiamo esaminando tutti gli aspetti di questa oscura vicenda, non tralasciando proprio nulla, neppure questa medaglietta che a lei pare così importante. Ma se, come dice lei, si tratta di un delitto materiale ordito da mandanti occulti, cosa potrebbe valere una semplice medaglietta?" "Potrebbe collegarci a questi mandanti, specie se venisse individuata l'identità del soggetto raffigurato e di conseguenza accertato nome e cognome del colpevole; non le pare?" "E poi" mi contrastò subito Svampi "che faremmo? Dovremmo arrestare questi mandanti? E quali prove avremmo per compiere un simile passo? A scanso di equivoci, sappia che proprio l'indomani dell'omicidio dello studioso a lei così caro, l'omicida come dice lei "materiale" è stato trovato impiccato nella sua modesta abitazione che condivideva con la sua povera madre, la genitrice raffigurata proprio in quella medaglietta. E ora, cosa intende fare, una volta che ci viene tolto quest'unico appiglio indiziario? Su quale strada dobbiamo incamminarci? Come vede, tutto ricomincia daccapo. Siamo nel buio più totale e se lei non collabora con coi questo buio potrebbe diventare ancora più fitto."