

Nota - Questo articolo riassume le opinioni espresse dal professor Barry Fell nel suo libro: America a.C., Antichi colonizzatori nel Nuovo Mondo (prima edizione 1976).
La maggior parte del pubblico è convinta che nessun europeo
sia arrivato in America, prima di Cristoforo Colombo o del capo
vichingo Leif Eriksson; tale convinzione si è consolidata
nell'opinione pubblica nel corso dei secoli, sino a diventare un
vero e proprio dogma. Per gli americani odierni, la "grande
storia" sembra cominciata non in un'antichità remota
(come nel resto del mondo), ma con la comparsa sulla scena di uomini
grandi e famosi, tanto noti e ben documentati, che qualcuno potrebbe
anche pensare di trovare negli archivi i loro certificati di nascita
o le loro tessere della sicurezza sociale.
Controcorrente, il professor Barry Fell, nel corso dell'estate del
1975, si convinse dell'esistenza di antiche iscrizioni e luoghi
archeologici negli stati americani del New England, in particolare
nel New Hampshire e nel Vermont, e ritenne di dover attribuire quelle
testimonianze ad un'antica colonizzazione celtica. La presenza d'iscrizioni,
in diverse lingue e in diversi alfabeti, tipici dell'Europa e del
Mediterraneo di oltre 2500 anni fa, indicava non soltanto l'installazione
di colonie celtiche, ma anche quella di baschi, libici e persino
di egizi.
Nel suo libro America B.C. (1976), Barry Fell scrisse con enfasi
lirica:
"Circa tremila anni fa, imbarcazioni di marinai celti attraversarono l'Atlantico del nord sino al Nord America. Venivano dalla Spagna e dal Portogallo, lungo la rotta delle Isole Canarie, e navigavano con gli stessi venti che Colombo avrebbe sfruttato, secoli dopo. Il vantaggio di tale rotta è che i venti agevolano la traversata da est verso ovest, ma per i celti, abituati ad un clima temperato, essa comportava l'inconveniente di trasportarli alle Indie Occidentali, in un clima tropicale: un luogo inadatto per uomini del Nord. Perciò, dopo lo sbarco nei Caraibi, essi andarono a stabilirsi sulle coste rocciose e nell'entroterra montuoso del New England. Il nome dato a quella terra era Iarghal, che significava "al di là del tramonto". I monaci che scrivevano i manoscritti irlandesi nel medioevo si ricordavano ancora in che modo scrivevano gli Iarghalte ("abitanti del tramonto"), anche se erano trascorsi molti secoli da quando le navi europee avevano visitato quelle lontane sponde. I Celti costruirono villaggi e templi, eressero cerchi druidici e seppellirono i loro morti in tombe a tumulo. Erano ancora qui ai tempi di Giulio Cesare, come testimonia un monolito graffito, sul quale la data della grande festa celtica di Beltane (primo maggio) è data in numeri romani, secondo il calendario giuliano, introdotto nel 46 a.C. Al seguito dei pionieri celti vennero commercianti fenici e ispanici, uomini di Cadice che parlavano la lingua punica, ma scrivevano col proprio particolare alfabeto, noto come iberico".
Secondo Barry Fell, i druidi eressero templi solari e cerchi di
pietre nel continente che oggi chiamiamo America, e su quelle pietre
incisero iscrizioni con l'antico alfabeto celtico detto ogam. In
Europa i celti avevano fatto la stessa cosa, ma - col Cristianesimo
- i sacerdoti fecero cancellare tutte le antiche iscrizioni pagane,
per sostituirle con un ogam cristianizzato, o per lasciare la pietra
nuda, e tutti i particolari legati al culto della fertilità
furono totalmente distrutti. La romanizzazione - ma ancor più
la cristianizzazione - fecero scomparire le tracce degli alfabeti
ogam più antichi. Non così in America, ove i celti
non furono mai convertiti al Cristianesimo, le loro antiche iscrizioni
rimasero intatte, ed un'imponente quantità di gigantesche
pietre falliche caratterizza gli antichi luoghi di culto. Secondo
le ricerche di Barry Fell, in Nord America sarebbero rimaste visibili
le fasi più antiche del pensiero e dei riti religiosi dell'uomo
europeo, di cui in Europa si conservano solo esigue tracce.
Nel libro di Fell sono riportate diverse iscrizioni trovate in America,
scritte in diverse lingue, con diversi sistemi di scrittura. Una
lingua è il libico ed un'altra l'antica lingua celtica detta
goidelica, scritta in una speciale varietà di caratteri ogam,
originari della penisola iberica. Un'altra è la lingua di
Tartesso (Tarshish), antica città posta nel sud-ovest della
Spagna; e ve ne sono altre ancora.
Come fu decifrato l'ogam irlandese - Il revival celtico
I monaci irlandesi del Medioevo custodivano un antico sapere, mentre
l'Europa era sconvolta dai barbari invasori. Nelle loro celle di
pietra, in remoti eremitaggi su isolette, quei devoti servi di Dio,
sopravvissuti al collasso dell'impero romano d'occidente, fondarono
splendide dimore per la Chiesa, ricopiarono antichi manoscritti
e ne riempirono le biblioteche. Uno di quei manoscritti, noto come
"Libro di Ballymote", trascritto circa ottocento anni
fa, è una raccolta miscellanea di vari testi. Alla fine di
esso si trova il "trattato ogam", con una settantina di
varietà dell'antica scrittura celtica ogam, detta anche "scrittura
a solchi". Il principio è abbastanza semplice: si tratta
d'una specie di alfabeto, composto di quindici consonanti e cinque
vocali, con pochi altri segni che rappresentano lettere doppie e
dittonghi. Le lettere sono costituite da gruppi di segni paralleli
(da uno a cinque), posti sopra, attraverso o sotto una linea-guida.
L'ogam può essere scritto a piacere, dall'alto in basso o
viceversa, oppure orizzontalmente, e persino lungo i raggi divergenti
d'un cerchio.
Quello che sembrava un codice inventato dai monaci medievali fu
identificato come la chiave per comprendere le antiche iscrizioni
irlandesi in lingua gaelica, in cui i segni ogam erano posti in
parallelo con gli alfabeti romanico e gotico, usati in epoca cristiana.
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Pagina dal Libro di Ballymote, col Trattato Ogam |
Dopo i primi tentativi di decifrazione dell'ogam, compiuti nel
1784 dal colonnello Vallancey e dal giovane O'Flannagan, altri due
studiosi - con le dovute credenziali universitarie - intrapresero
gli studi sull'alfabeto ogamico: il molto reverendo dr. Graves,
vescovo di Limerick (e quindi uno dei pilastri della Chiesa anglo-irlandese)
e Sir Samuel Fergusson, distinto avvocato e consigliere della Regina
Vittoria. Il vescovo raccolse una collezione di calchi cartacei
d'iscrizioni irlandesi su pietra, e presto riuscì a dimostrare
che una sequenza di caratteri ogam, che si legge M-A-Q-Q-I, si trova
quasi sempre nella parte centrale di un'iscrizione, preceduta e
seguita da altre due sequenze, che talvolta possono corrispondere
a nomi personali di antichi personaggi irlandesi. Il termine maqq
significava "figlio di", come il moderno "mac",
ed era seguito dal nome del padre. Questa scoperta fece una grande
impressione sugli studiosi inglesi, perché mostrava anche
che gli antichi irlandesi usavano la declinazione in casi (la "i"
finale è una desinenza genitiva). Il parallelo col latino
era troppo lampante ed allettante da essere trascurato facilmente.
Il dr. Samuel Fergusson scoprì iscrizioni ogam sulle architravi
di costruzioni simili a granai (in gaelico dette raths). Parti di
quelle iscrizioni erano nascoste all'interno, coperte da parti in
muratura, e certi raths erano menzionati nei manoscritti irlandesi
come costruiti in tempi pagani. Si scoprirono iscrizioni bilingui
su lapidi, col nome della persona morta scritto sia in caratteri
ogam sia in lettere latine. Non poteva essere un momento migliore,
perché, sotto l'influenza del principe Albert e della Regina,
l'Inghilterra si stava rivolgendo alla contemplazione dell'arte
gotica, Tennyson stava per cantare gli "Idilli del Re"
e mettere tutta l'Inghilterra sotto l'incanto dei romanzi arturiani
di Cornovaglia, Galles e Britannia.
Uno degli antichi nomi dell'Irlanda era Ibheriu, pronunciato "Iveriu",
il che suggeriva una derivazione da un più antico termine
Iberiu. Ciò era molto interessante, perché le storie
gaeliche affermano che gli antenati dei gaeli provenivano dall'Iberia,
antico nome della Spagna. Iberiu poteva essere lo stesso d'Iberia:
il nome dell'antica patria trasferito alla nuova? Alcuni linguisti
pensano che possa essere proprio così.
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Richard Bolt Brash (1817-1876), uno dei pionieri degli studi sull'alfabeto ogam irlandese |
Varietà d'alfabeti
I più antichi riferimenti alla scrittura ogam degli antichi
gaeli si trovano in un libro compilato dal vescovo di Kildare, di
nome Finn Mac Gorman, che morì nel 1160 d.C. Noto agli studiosi
come Libro di Leinster, si trova nella biblioteca dell'Università
di Dublino. Nel Libro di Leinster troviamo l'alfabeto ogam nella
forma usata sugli antichi monumenti di pietra della Gran Bretagna.
Un simile alfabeto ogam è registrato nel Libro di Ballymote,
al numero 16 d'una serie di settanta alfabeti noti all'autore del
Trattato di Ogam. Il libro si trova oggi nella biblioteca dell'Accademia
Irlandese di Dublino. Un altro antico libro, del 1416, conservato
nella biblioteca dell'Accademia Irlandese, si chiama Libro di Lecan.
Esso comprende un trattato di grammatica, Uraceipt nan-Eges (Sillabario
dei Bardi), attribuito alla mano di Cennfaclad "il Saggio",
che morì nel 677 d.C. Inoltre è stato accertato che
Cennfaclad ricavò quel materiale da trattati ancor più
antichi, scritti da druidi che si chiamavano Amhergin e Feir-ceirtne,
vissuti prima dell'era cristiana. Questa dichiarazione è
interessante, perché la varietà di ogam presentata
nell'Uraceipt è la stessa del Libro di Leinster, corrispondente
al n. 16 del Libro di Ballymote, e in generale con l'ogam lapidario
della Gran Bretagna.
Visto che l'ogam tipico dei druidi precristiani Amhergin e Feir-ceirtne
ha il n. 16 nella serie del Libro di Ballymote, dobbiamo forse trattare
gli alfabeti di Ballymote dal n. 1 al n. 15 come ancor più
antichi, più antichi persino dell'ogam lapidario dei monumenti
irlandesi?
Sino a periodi molto recenti, gli studiosi hanno risposto di no.
L'unico ogam lapidario conosciuto in Gran Bretagna è il n.
16 di Ballymote. Poiché l'ogam delle antiche iscrizioni è
ovviamente precedente a quello dei manoscritti medievali, tutti
gli altri stili ogam presentati nei libri citati sembravano essere
l'invenzione infantile e più recente di monaci, che non avevano
altro da fare salvo applicarsi ad inventare codici per scriversi
l'un l'altro delle lettere segrete.
Ebbene, Barry Fell scoprì che talune delle iscrizioni del
Nord America erano scritte proprio in quei caratteri che non si
trovavano in Europa.
Tracce in Spagna ed in Portogallo
L'archeologia si trovava alle soglie di un'eccitante scoperta, che
avrebbe identificato tracce scritte dei celti molto più indietro
nel tempo di quanto nessuno osasse sperare. Ricapitoliamo, seguendo
le argomentazioni di Barry Fell:
"1 - Sembra che solo i celti gaelici della Britannia usassero
il sistema di scrittura ogam. I galli di Francia ed i P-celti dell'antica
Britannia usavano caratteri greci o latini, come si vede sulle loro
monete.
2 - La tradizione gaelica dichiara che gli antenati giunsero in
Britannia da una patria primitiva: la penisola iberica.
3 - Il nome più antico dell'Irlanda è Ibheriu e somiglia
ad Iberia. I popoli migranti di solito riproducono il nome dell'antica
patria nella nuova".
In base a questi elementi, Barry Fell pensò d'indirizzare in Spagna ed in Portogallo la ricerca di possibili iscrizioni ogam. Alcune le iscrizioni trovate in America, lungo il corso del fiume Paraguay, eerano scritte in una varietà di ogam che impiegava solo consonanti e ometteva le vocali. L'abitudine di scrivere solo le consonanti è una caratteristica dei popoli semiti, e nel millennio prima di Cristo caratterizzava i fenici, noti per aver colonizzato la Spagna meridionale e fondatori di Cadice, città il cui nome si leggeva nelle iscrizioni. Essi portarono la loro lingua semitica in Spagna, dove fu adottata da nativi iberici, che scrivevano in modo simile al fenicio. La cosa più curiosa tra queste iscrizioni in ogam è proprio che la lingua non è un dialetto celtico, ma piuttosto una specie di fenicio. In altri termini, i navigatori iberici che avevano inciso le iscrizioni sui muri di una grotta, presso le acque navigabili del fiume Paraguay, avevano usato due diversi alfabeti, uno ogam e l'altro iberico, mentre la lingua era in entrambi i casi un dialetto fenicio.
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Piccolo vano di costruzione megalitica a Mystery Hill, North Salem, New Hampshire (foto P. J. Garfall) |
Fell identificò alcune località portoghesi in cui
si potevano trovare iscrizioni ogam. La scrittura impiegata era
una varietà dei caratteri ogam detti, nel Libro di Ballymote,
Aradach Finn (scala di Finn). Apparve che la sequenza numerica degli
stili ogam nel Libro di Barrymote costituiva una progressione in
ordine temporaneo: i più antichi sono quelli col numero più
basso, e sono proprio questi stili arcaici che si trovano diffusi
al di fuori delle Isole Britanniche.
Lo stile iberico dell'ogam, specialmente come si trova a Cachão
da Rapa, nella valle del Douro (Portogallo del nord), è associato
con simboli solari come il disco del sole e la scacchiera, che sembra
raffigurare un'antica forma di quadrante solare, già ben
nota dai siti di culti solari ovunque in Europa, come per esempio
le culture della prima Età del ferro di Taranto, Napoli e
d'altre località del sud Italia. In alcuni di quei siti europei
il simbolo della scacchiera è associato con la rotula solare,
la cosiddetta ruota in miniatura, un simbolo solare universale.
Più tardi, nel Nord America, sarebbero stati trovati gli
stessi simboli associati con evidenza al culto solare e - come negli
esempi iberici - accompagnati da iscrizioni ogam della varietà
Finn.
Un altro tipo di ogam si trova in Iberia, ad esempio nei dipinti-rebus
di Cogul (Lerida, Spagna). Un rebus è un modo di scrivere
in cui le lettere sono adattate per suggerire un'immagine del soggetto
cui ci si riferisce. Ci è familiare nel campo della pubblicità:
ad esempio la parola PANE sagomata con la forma di un vero pane.
Tale stile di scrittura era molto più diffuso in tempi antichi
che non oggi. A Cogul c'è un rebus affascinante in cui le
lettere ogam sono sistemate intorno a righe alternativamente orizzontali
e verticali, in modo da produrre le immagini stilizzate (diremmo
nello stile di Picasso) di due cervi, con le gambe ed i palchi formati
da tratti di scrittura ogam, mentre i corpi ed i colli sono le righe
d'appoggio. Al disegno si aggiunge l'immagine d'un giovane con arco
e freccia.
Un terzo tipo di ogam si può trovare in Spagna, corrispondente
a quello che il Trattato Ogam chiama Cos-Ogam e Sron-Ogam, classificato
da Macalister come criptocheironomia, una lunga parola derivata
dal greco, che significa "comunicazione segreta tramite segni
della mano". L'autore del Trattato Ogam dice che i segni sopra,
a cavallo e sotto la riga rappresentano le dita, ma non spiega tutti
i dettagli. Nel Cos-Ogam un uomo accovacciato può usare la
propria tibia come riga di base (verticale, naturalmente) ed usare
le dita di ciascuna mano per comporre i segni da uno a cinque sui
due lati, necessari a rendere le lettere. Presumibilmente i tratti
che incrociano la riga di base vengono formati simultaneamente,
con le dita corrispondenti di entrambe le mani. Tale procedimento
permette a due persone letterate (druidi, per esempio) di scambiarsi
informazioni in presenza d'altre persone illetterate (per esempio
clienti d'un oracolo), in modo che i consultanti illetterati non
comprendano. Si può stabilire un parallelo con le abili tecniche
di certi presunti lettori della mente, o truffatori. L'altra varietà
dell'ogam delle mani, citata dal Trattato col nome di Sron-Ogam,
è simile al Cos-Ogam, ma si usa come riga di base l'asse
del naso anziché la linea della tibia.
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Un esempio d'iscrizione nordamericana in stile ogam (Coll. J. P. Whittall II, foto J. D. Germano) |
Nei cimiteri degli antichi siti celtici in Spagna le statue di
defunti hanno le mani con certe dita stese ed altre piegate. La
spiegazione più plausibile è che le figure si esprimano
col linguaggio delle dita. Le figure di giovani sono comunemente
nude, e quando sono nude tengono stese le cinque dita della mano
destra, mentre solo il pollice della sinistra è levato (ricordatevi
che quando state di fronte ad una persona la sua sinistra è
la vostra destra). Sappiamo da scrittori classici che i celti combattevano
nudi. Queste immagini possono rappresentare guerrieri morti in battaglia.
L'espressione "in battaglia" in antico goidelico è
qath, pronunciata come "kah". Se leggiamo le lettere delle
dita nel modo suggerito, appare che i guerrieri dicono di essere
morti "in battaglia".
Se leggiamo in questo modo le dita d'altri monumenti, scopriamo
che le donne (vestite e con tutte le cinque dita di entrambe le
mani distese) sembrano dire Q-N. Dal momento che mancano le vocali,
Q-N è la forma iberica per dire qaoin, corrispondente al
termine moderno gaelico ed anglo-irlandese "keen", che
indica "emettere lamentazioni" per la persona scomparsa,
come si fa ad un funerale irlandese. Sembra dunque che quelle signore
dicano "Piangete per me" o "Abbiate pietà".
Nella mitologia celtica, come dice il prof. Poinsias MacCana dell'University
College di Dublino, la ruota era la forma di rappresentazione del
fulmine, e si trova un bel bassorilievo del Dio del Fulmine Taranis
che impugna fulmini, su un calderone celtico, al Museo Nazionale
Storico di Copenhagen. Guardate le mani di Taranis, nell'illustrazione.
Entrambe tengono i pollici alzati, in un modo molto artificiale
per chi stia afferrando due ruote della grandezza di quelle che
egli impugna. Ancora una volta, sospettiamo un messaggio ogam celato.
L'antico termine goidelico che indicava il fulmine non è
noto, ma in gaelico moderno beithir può avere lo stesso significato.
Fell sospetta che Taranis stia dicendo B-H o "Bith", e
che ciò possa indicare il suono del termine che in tempi
antichi designava il fulmine.
La collina del mistero
Il 14 giugno 1975, Barry Fell "scoprì" l'altura
di Mystery Hill, "la collina del mistero", nel New Hampshire:
un complesso di camere fatte di lastre di pietra, associate a pietre
erette, orientate in modo che il sole tramonti dietro particolari
pietre, nei giorni degli equinozi e dei solstizi. Il sito copre
una decina di ettari, occupati per lo più da un bosco di
seconda crescita, con muri di pietra a secco con pietre alte, a
punta, triangolari, poste ad intervalli regolari nei muri. Su mezzo
ettaro sorge da un labirinto di massicce camere di pietra con vari
altri caratteri impressionanti e misteriosi, come la cosiddetta
Tavola del Sacrificio. Alcune delle camere a lastre ricordavano
i dunans (piccole fortezze) degli antichi celti goidelici.
Quando i primi coloni inglesi avevano raggiunto nel New England,
avevano trovato numerosi edifici di pietra ad un piano, di forma
circolare o rettangolare, lunghi anche dieci metri, ma di solito
la metà, larghi sino a tre metri ed alti due metri e mezzo,
o più. Alcuni erano completamente in rovina, giacenti a terra,
e furono scoperti solo anni dopo, quando uno scavo o un picchetto
piantato al suolo penetravano nella camera. Altri erano in parte
sepolti o coperti da tumuli di terra, con alberi che crescevano
sulla loro cima, tanto grandi da indicare un'età di almeno
250 anni. Altri erano totalmente fuori terra o scavati nel fianco
d'una collina. Tutti erano fatti di larghe pietre ed avevano lastre
di copertura del peso di diverse tonnellate. Molti avevano elaborati
"comignoli" ed altri incavi ricavati nei muri.
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Un tipo di costruzione trilitica a Mystery Hill (foto J. D. Germano) |
I coloni pensavano che queste strutture fossero l'opera di tribù
scomparse d'indigeni e li usarono come granai e ripostigli per sementi
e cereali. Alcuni furono usati come rifugi segreti dagli schiavi
fuggiaschi ed altri furono adattati a distillerie clandestine di
whiskey. Furono definiti "ripostigli di radici"; nel corso
del tempo un gran numero di essi fu smantellato per usarne le pietre
come materiale per fare muri a secco. Barry Fell racconta che, durante
una visita a quel luogo:
"Dopo avere spazzolato la polvere che la ricopriva, apparve
chiara alla vista una riga di scrittura ogam che si legge B-B-L.
Ne potei concludere solo che si trattasse dello stesso stile delle
scritture puniche e dell'ogam portoghese e spagnolo, e quindi si
dovesse leggere come "Bi Bel", ossia "dedicato a
Bel". Bel è il nome della divinità solare dei
celti, a lungo ritenuta (ma sino ad ora senza prove) la stessa divinità
del fenicio Baal
Come presto gli eventi mostrarono, avevamo in pugno la soluzione.
Nel giro di dieci giorni vedevamo dozzine di iscrizioni ogam in
un altro sito, meno danneggiato e più remoto, nel Vermont
centrale. Divenne chiaro che antichi celti avevano costruito le
camere megalitiche del New England e che marinai fenici erano graditi
visitatori, autorizzati ad adorare il sole nei santuari celtici
ed a lasciare dediche nella loro propria lingua.
L'antichità delle iscrizioni di Mystery Hill poteva ora essere
stabilita con una certa attendibilità all'800-600 a.C. circa
(a giudicare dallo stile di scrittura delle iscrizioni fenicie)
ed era chiaro che in quel periodo vi si trovassero i celti goidelici,
i quali, con ogni probabilità, ne erano anche i costruttori."
La potenza marittima celtica
L'ascesa e la caduta della potenza marittima celtica è trascurata
dalla maggior parte degli storici e degli archeologi, come prova
lo scetticismo con cui Fell fu accolto quando cominciò a
riferire delle iscrizioni celtiche in America. "Non posso dire
di aver mai udito che i celti fossero marinai", era un tipico
commento. Coloro che si ricordano che Giulio Cesare descrisse gli
antichi britanni come selvaggi quasi nudi, che indossavano soltanto
torques (collari) di ferro intorno al collo, con le spalle coperta
talvolta da una pelle ferina, pensano che i britanni non avessero
nulla di meglio, per varcare le acque, che un coracle(1)
a un solo posto.
Nulla potrebbe essere più lontano dalla verità. La
maggior parte del Libro III del De Bello Gallico di Cesare è
dedicata alla più grande battaglia navale che egli abbia
mai combattuto
e i suoi avversari? Non erano altri che i celti
di Bretagna, la cui flotta fu rafforzata dall'arrivo d'una flottiglia
degli alleati della Britannia! L'armamento navale congiunto gallico
e britannico comprendeva un'immensa e potente forza, che contava
- così Cesare ci dice - non meno di 220 navi, tutte più
grandi e superiori per costruzione a quelle dei romani. Le navi
celtiche - dice Cesare - erano costruite così solidamente
da poter affrontare da sole le tempeste o i venti contrari dell'alto
oceano, senza subirne danno.(2) è chiaro che quelle
navi, che torreggiavano sulle galere romane, erano capaci di attraversare
l'Oceano Atlantico vasto atque aperto mari, "sul vasto mare
aperto", come afferma Cesare. Cesare, da rude uomo d'azione
qual era, diventa quasi lirico quando descrive la splendida flotta
di navi a cigno, dall'alta prora e graziose, che circondavano l'ultima
terra per chiudere le galere romane nella strettoia tra le isole,
dove Cesare avrebbe impegnato la battaglia navale.
Mentre le triremi e le biremi dei romani diventavano lente e poco
manovrabili in acque basse, perché dotate di chiglie profonde,
le navi celtiche torreggiavano alte sopra di loro, su chiglie piatte
che le rendevano manovrabili nell'estuario. Benché la chiglia
aiuti la nave a non andare in deriva di fronte al vento, non è
un elemento indispensabile. Nessuno nega la capacità di navigare
sull'Oceano delle navi vichinghe, e i loro resti, riesumati, mostrano
che avevano il fondo piatto. Non c'è bisogno perciò
di mettere in dubbio le affermazioni di Cesare.
Le imbarcazioni celtiche avevano alti alberi, corde e vele fatte
di pelli cucite; il cuoio era molto più solido nelle tempeste
dell'Atlantico del lino egiziano o delle vele romane. Erano navi
spinte dal vento e dall'abile conduzione dei loro timonieri, che
sapevano controllare a piacere i soffi delle correnti d'aria, anche
navigando contro vento, con grande stupore di Cesare. Resistevano
bene contro il rollio delle onde dell'oceano, grazie a catene di
ferro(3), mentre nelle galere romane si usavano legacci di
stoffa per legare insieme le tavole. Le ancore dei celti erano tutte
di ferro, un dettaglio che (visto che Cesare lo menziona) fa sospettare
che le navi di Cesare usassero ancore di pietra con l'asse di legno,
copiate dagli antichi nemici cartaginesi.
Per la loro superiorità di stazza e d'altezza, i marinai
delle navi celtiche potevano lanciare frecce e lance sui ponti sottostanti
delle galere romane, prive di protezione. L'armamento con le catene
di ferro proteggeva le navi dai tentativi d'arrembaggio dei piloti
romani. Le due flotte si scontrarono a mezzogiorno, e lo svantaggio
dei romani fu subito evidente: erano inferiori per numero e per
stazza, benché una trireme romana potesse caricare duecento
uomini.
In tale situazione di pericolo Bruto pensò ad un'arma segreta,
da prendere a bordo delle navi romane. Conoscendosi come marinai
poco capaci, nello scontro con i cartaginesi, durante le guerre
puniche, i romani avevano inventato da tempo il sistema dei ganci
d'arrembaggio da lanciare sulle navi nemiche per poterle abbordare
e combattere come in una battaglia terrestre. Ora, di nuovo, il
genio militare romano venne in aiuto alla mediocrità navale.
Era stato inventato un attrezzo affilato a forma d'uncino, chiamato
falx (falce), attaccato ad una lunga corda, che era stato imbarcato
in gran quantità sulle navi. Le falces venivano lanciate
sui cordami delle navi celtiche, poi i rematori romani si mettevano
a vogare indietro, mentre i timonieri viravano come per allontanarsi.
Le falces andavano in trazione, tagliavano i sostegni e provocavano
rovine nel sartiame delle navi celtiche.
I celti cercarono di allontanarsi, ma la natura giunse in aiuto
ai romani. Il vento improvvisamente cadde e lasciò la flotta
celtica in panne, priva di mezzi di propulsione. L'ammiraglio Bruto
colse l'occasione, fece lanciare i rampini d'arrembaggio e la battaglia
fu rovesciata a favore della specialità dei romani: corpo
a corpo su ponti fissi. L'intera flotta celtica fu distrutta o catturata,
mentre i romani rimasero con ottanta navi efficienti, con cui in
seguito Cesare, nel settembre del 55 a.C., portò la guerra
oltre la Manica, in Britannia.
Non c'è nessun'altra menzione di navi britanniche o galliche
nei Commentari di Cesare, né in Tacito, nel secolo seguente,
si trova alcuna citazione dei mezzi navali dei nativi. Sembra che
la battaglia contro i veneti fosse la fine della potenza navale
celtica nei tempi classici.
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Ambiente sotterraneo a Upton, Massachusetts (foto M. D. Pearson) |
I Cartaginesi
Le tavolette dedicatorie punico-iberiche, trovate nel tempio di
Bel a Mystery Hill, si riferiscono al dio (o forse ai committenti
delle tavolette stesse) con l'espressione "di Canaan".
Il termine kana'ni (canaanita) era usato per indicare sé
stessi sia dai cartaginesi, sia dai fenici di Tiro e Sidone. Fell
suponeva che l'iscrizione di Mystery Hill potesse indicare una dedica
posteriore al 530 a.C., da persone provenienti dall'Iberia, sotto
l'influsso culturale di Cartagine. Siamo pure obbligati a datarla
non più tardi del 146 a.C., quando Cartagine cadde sotto
i colpi di Roma. Da quel momento, nessuna nave punica avrebbe più
potuto raggiungere le Americhe.
Che dire dell'iscrizione dell'isoletta di Manana, presso l'isola
Monhegan, che Fell tradusse come un avviso in celtico ogam che si
legge "piattaforma di carico per le navi della Fenicia"?
Nell'alfabeto ogam usato si distinguono i suoni G e K, a differenza
della maggior parte delle scritture del New England, in cui non
sono distinte le due consonanti velari. La differenza può
suggerire che l'iscrizione di Monhegan sia più tardiva. Il
termine che Fell suppone indicare la Fenicia è F-N-K, da
leggere "Finiki", come l'arabo Finiqi. Come alternativa,
la forma F-N-K può anche indicare il popolo feni d'Irlanda,
un regno di naviganti, al tempo in cui i romani sbarcarono in Britannia.
I celti in America
Entrambi i tipi di ricerca, quella sul campo e quella storica, mostravano
quindi a Fell che i celti della penisola iberica erano autori delle
iscrizioni ogam poste sulle antiche costruzioni di pietra nel New
England. Con ogni probabilità, gli stessi celti erano stati
anche i costruttori delle strutture su cui si trovano le iscrizioni.
I celti ed i fenici, loro vicini in Spagna, erano capaci di navigare
sino in America per colonizzare terre lontane. Un considerevole
numero di celti doveva essersi stabilito nel nuovo continente, in
particolare nel New England. Infatti le iscrizioni celtiche in America
non potevano essere state un'invenzione autonoma degli americani!
Dovevano essere venuti a scriverle gli stessi celti.
Purtroppo non vi sono scheletri da studiare. Esistono molte pietre
tombali, con nomi scritti in ogam, ma niente corpi, perché
tutte le pietre sono state spostate dalla loro posizione originale
dai coloni del sec. XVIII e usate per costruire muri a secco, nelle
fattorie e nei boschi del New England. Quando trovano pietre tombali,
gli archeologi cercano di ricostruire i movimenti di quei coloni,
nello sforzo d'identificare dove fossero stati sepolti i corpi,
in origine. Quasi tutte le rocce del New England però sono
antichi graniti, gneiss e scisti, con alto contenuto acido. Ciò
significa che anche il suolo è acido, e le ossa resistono
al massimo un secolo in un suolo simile. Le terre d'origine dei
celti, in Francia ed in Inghilterra, sono invece in gran parte argillose
o calcaree, ossia alcaline, e conservano a lungo le ossa. Anche
i metalli, tranne l'oro, si deteriorano e scompaiono nel suolo acido,
ma targhette ed ornamenti lavorati in pietra possono essersi conservati
e forse si trovano da qualche parte, nel terreno, in attesa d'essere
scoperti.
Le strutture sono di tipo megalitico, di grandi massi non rifiniti,
cui sono state sovrapposte con gran cura, in orizzontale, lastre
di pietra lavorate ed architravi, ciascuna del peso spesso di diverse
tonnellate. Ciò è molto interessante perché,
benché i tipi di costruzione dei paesi celtici in Europa
siano quasi identici, molti di questi oggetti massicci sono stati
considerati come opere non dei celti, ma di una razza a loro anteriore.
I testi europei di archeologia celtica dicono molto poco delle strutture
megalitiche, e di fatto quasi nulla del tutto sulle costruzioni
fatte dai celti. è come se i celti europei fossero abili
e civilizzati, ma si dimenticassero di costruire edifici.
Invece in America, e in particolare nel New England, si possono
ritrovare tutti i principali tipi di strutture megalitiche che esistono
in Europa, e in molti casi essi recano iscrizioni in caratteri ogam,
che tradiscono origini celtiche. Il fatto che i loro corrispondenti
europei non rechino iscrizioni ogam appare dovuto al fatto che i
primi padri della Chiesa Cristiana proibirono ai loro seguaci di
avvicinarsi ai monumenti pagani, oppure fecero convertire l'edificio
pagano in una chiesa, o in un monastero, curando innanzitutto di
cancellare le scritte che ritenevano offensive.
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L'archeologo James P. Whittall II con la stele del Mill River (Fiume del Mulino), presso Boston, scritta in caratteri iberici e simile ad altre iscrizioni funerarie ritrovate in Portogallo |
Alcuni monumenti megalitici in Europa sono molto antichi, anteriori
ai celti. Ciò però non significa che tutti i monumenti
megalitici siano anteriori ai celti, né che i celti fossero
incapaci di costruirli. Possiamo classificare per tipi i monumenti
megalitici. I più noti, per il loro strano aspetto, sono
i dolmen, da una parola bretone che significa "tavola di pietra".
Un dolmen è il memoriale d'un capo o di qualche avvenimento
importante, ed ha la forma d'un massiccio masso centrale, talvolta
di dieci tonnellate o più di peso, sostenuto da tre o quattro,
o cinque pietre verticali, come appoggi. Se ne vedono begli esemplari
a Bartlett, New Hampshire, e North Salem, Massachusetts. Altri se
ne trovano nel Maine e a Westport, Massachusetts; l'ultimo è
di proporzioni relativamente piccole.
Gli esempi americani corrispondono a quelli europei e del Medio
Oriente. Gli esemplari più antichi conosciuti sono del Medio
Oriente, molto più antichi della presenza dei celti in Europa,
e mostrano che la tipologia provenne dall'Oriente. Nessun archeologo
o geologo ha mai suggerito che i dolmen europei possano essere il
prodotto dei ghiacciai. Del resto non ci fu nessuna era glaciale
in paesi come la Siria, eppure i dolmen vi sono diffusi. Occasionalmente
si trovano blocchi di pietra in bilico, detti erratici, su mensole
naturali, colline o montagne, abbandonati dai ghiacciai che si ritiravano,
dopo averli trascinati, ma non si è mai trovato, né
si considera possibile, che un ghiacciaio abbia eretto diversi blocchi
esattamente della stessa altezza, e poi abbia appoggiato con precisione
sulla loro cima una pietra gigante di copertura. Certi archeologi
in America, posti di fronte all'evidenza di dolmen megalitici, hanno
preteso che fossero opera dei ghiacciai. Gli esperti di ghiacciai,
invece, non hanno mai azzardato tali considerazioni, anzi riconoscono
che quelle strutture devono essere opera d'un agente diverso dai
ghiacci, e la loro opinione coincide con quella dei loro colleghi
europei e siriani.
In Francia si può osservare una curiosa sequenza di gradazioni,
dai dolmen più rustici ed antichi, attraverso diverse varianti,
in cui le pietre di sostegno sono più squadrate, con quattro
facce verticali, e un'altra varietà in cui i sostegni verticali
sono stati lavorati come colonne cilindriche, che terminano, in
un ultimo esempio medievale, con un gigantesco capitello che, in
tutta la sua primitiva mancanza di forma, si appoggia su quattro
colonne d'ordine tuscanico! Gli esempi americani sono tutti del
tipo più antico, che è di gran lunga il più
comune ovunque. In Irlanda i dolmen sono un po' più piccoli
e somigliano a quello che si trova nel Massachusetts a Burnst Mountain.
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Uno dei ritrovamenti più importanti di J. P. Whittall, da Mystery Hill, con la dedica a "Baal, dio dei Canaanei" (foto P. J. Garfall) |
La costruzione d'un dolmen, specialmente in cima ad una collina,
doveva richiedere un lavoro enorme. Dopo avere innalzato le pietre
verticali d'appoggio, un gran mucchio di terra, accumulata su di
esse, permetteva di trascinare la pietra di copertura e di collocarla
al suo posto. Dopo di che, la terra si poteva togliere, lasciando
così la pietra orizzontale appoggiata sui sostegni.
Analoghi metodi di costruzione potevano essere in uso per il secondo
tipo di monumenti megalitici trovati, ampiamente diffusi nel New
England e con qualche esempio negli stati vicini. Si tratta della
camera coperta da lastre, una costruzione a pianta quadrata o rettangolare,
coi lati fatti di blocchi naturali o grandi lastre di pietra, coperta
o da una gran lastra quadrata del peso da mezza ad una tonnellata
oppure, negli esempi di dimensioni maggiori, da una serie d'architravi
che possono pesare sino a tre tonnellate ciascuna. Sono talmente
numerose da proibire l'elenco di casi particolari, ma ci si può
riferire alle illustrazioni di questo libro. Strutture di tipo simile
si trovano in Europa, in epoche variabili dai cosiddetti "sotterranei"
scozzesi, alcuni dei quali risalgono all'epoca dell'occupazione
romana, sino ad esempi molto più antichi, dell'Età
del bronzo, diversi dei quali sono stati usati come tombe. Gli ultimi
esempi scozzesi ed irlandesi furono usati come abitazioni in periodi
di sconvolgimenti, come l'invasione dei normanni.
Gli esempi americani (molto simili a quelli europei) sono stati
invece ritenuti "opera di coloni", e chiamati "depositi
di radici". L'assurdità di tale interpretazione è
stata dimostrata dal prof. Barry Fell e dai suoi collaboratori.
Nomi di località celtiche nel New England
Quando Barry Fell, nato in Gran Bretagna e cresciuto in Nuova Zelanda,
arrivò nel New England, come uno straniero, nel percorrere
le strade di campagna era spesso sorpreso e divertito, dalla straordinaria
barbarità dei pochi nomi amerindi di località, sopravvissuti
nella parlata storpiata dei coloni (che avevano ribattezzato quasi
ogni luogo con qualche nome britannico, derivato dalla loro patria).
Termini come Umbagog o Squunq evocavano immagini di rozzezza neanderthaliana
ed erano completamente estranei al repertorio della sua formazione
polinesiana, fatto di termini eufonici, spesso con connotazioni
romantiche.
Si sbagliava. Il moderno gaelico, che conserva molte lettere scritte
ma non più pronunciate, appare considerevolmente diverso
se si converte in una scrittura, che lo renda foneticamente così
come è pronunciato. Se ci si riferisce all'antico modo di
scrivere o pronunciare il gallo, lingua ancestrale dei celti, molti
nomi del New England assumono un nuovo aspetto, nonostante le diverse
maniere di traslitterazione usate dai coloni, prima che Webster
introducesse una forma standard di corrispondenza tra la scrittura
e la pronuncia delle parole.
Prendiamo ad esempio il nome del fiume Amoskeag, ove rimangono resti
archeologici importanti. Quando Fell visitò per la prima
volta il sito, il nome non gli diceva niente, e pensava fosse algonchino.
Invece esso ne ha uno, come J. Almus Russell ha sottolineato in
un articolo del 1972. Il significato algonchino di Amoskeag è
"uno che prende pesci piccoli". Fell riconobbe il termine
come il celtico Ammo-iasgag, che significa "corrente del piccolo
pesce". Il termine gaelico che indica il pesce è iarg
ed il suffisso -ag è un diminutivo, che dà il significato
di "piccolo pesce". Evidentemente la prima origine del
nome era giunta agli indigeni algonchini dai celti, ma alcuni particolari,
come la pronuncia precisa, si erano deformati con il passare del
tempo.
Messo sull'avviso da questa sorprendente coincidenza, Fell cominciò
a guardare i toponimi del New England con un occhio nuovo, più
critico, e raccolse termini e frasi celtici, che prima gli erano
sfuggiti.
Guardiamo per primi i nomi dei fiumi. Anche in Britannia quasi tutti
i nomi dei fiumi sono celtici, pur quando scorrono attraverso regioni
in cui i sassoni hanno usurpato la terra, quindici secoli fa.
Russell insegna che il significato algonchino del nome del fiume
Ammonoosuc è "fiume della piccola pesca". Leggete:
Am'-min-a-sugh e avrete le antiche radici celtiche che significano
"piccolo fiume per prendere (pesce)". Si dice che entrambi
i nomi "Cohas Brook" e "Coos County" derivino
da una parola algonchina che indica l'albero di pino. Ma Cohas suona
come il termine gaelico ghiuthas, ridondante nella scrittura, che
significa "albero di pino".
Il fiume Merrimack ha più d'un nome indiano. Uno è
Kaskaashadi, che somiglia e suona, molto da vicino, come la frase
gaelica 'g-uisge-siadi, che significa "con acque che scorrono
lentamente". Nessuno sembra oggi ricordarsi del significato
del nome algonchino, ma Fell scommette che la similitudine col gaelico
apra la via alla vera spiegazione. Per quanto riguarda l'altro nome,
Merrimack, esso suona come le parole gaeliche mor-riomach, che significano
"di grande profondità" e corrispondono piuttosto
bene alla traduzione di Russell del termine algonchino: "dove
si pesca profondo". Il fiume Nashaway è segnalato da
Russell col significato "terra in mezzo". Non può
essere la pronuncia di un illetterato del gaelico naisg-uir, che
significa "terra collegata"?
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Foto di due dolmen in stile celtiberico, trovati presso North Salem, New York (Foto M. D. Pearson) |
Proseguiamo col fiume Piscataqua, che significa "pietra bianca".
Sembra molto simile al gaelico Pios-cata'-cua, che significa "pezzi
di pietra bianca come neve", con un probabile riferimento al
quarzo bianco, che abbonda nella regione. Segue il fiume Seminenal,
che si dice significare "grani di roccia"; ma semen-aill
in celtico significa la stessa cosa.
Il nome Quechee corrisponde col celtico cuithe, e significa burrone
o orrido, un aspetto evidente nella costituzione del fiume, che
scorre in quel baratro, profondo circa 54 metri; ed il nome del
fiume Ottauquechee, che scorre nella gola, può essere letto
come otha-cuithe, "le acque della gola" (la probabile
pronuncia antica doveva somigliare più alla versione algonchina
che non a quella celtica moderna, con le t aspirate soppresse).
Si dice che il nome del fiume Cabassauk significhi in algonchino
"posto dello storione". Lo storione, sfortunatamente,
è caduto vittima del degrado ambientale, ma i lettori familiari
con quel pesce riconoscono che l'epiteto "a denti sbrecciati"
rende bene l'aspetto delle sue file di ampie scaglie a denti di
sega, separate da larghi intervalli. In gaelico cabach significa
"a denti sbrecciati" e ciò che rimane, -sauk in
algonchino, somiglia al gaelico -sugh, che significa "un posto
per prendere"
in definitiva: per pescare lo storione.
I nomi delle montagne sono spesso, in Britannia, la corruzione d'antichi
nomi celtici, e lo stesso è vero nel New England. Il nome
della montagna Attilah dovrebbe significare "mirtilli",
e somiglia ad aiteal, un termine gaelico che oggi si usa per le
bacche di ginepro. Si dice che la collina Munt prenda il nome da
"gente" ed il gaelico muintear significa "gente".
Monad (in algonchino) e monadh (in gaelico) significano entrambi
"montagna" ed appaiono nei nomi di monti. Così
pure Kan-, che corrisponde al britannico Kin- ed al gaelico Ceann-,
sono tutti prefissi relativi a picchi dominanti. Cnoc, termine gaelico
per "collina" o dorsale rocciosa, sembra corrispondente
al suffisso -nock in uso nel New England, che si trova in nomi di
colline e montagne. Un altro nome algonchino usato per le montagne
è Wadjak, che significa in realtà "in cima":
ma è lo stesso significato del gaelico uachdar, che gli somiglia.
In Scozia e nelle Ebridi le colline coniche (specialmente se sono
accoppiate) sono spesso conosciute con nomi inglesi, come Paps ("mammelle",
nome diffuso), che sembrano residui dei tempi dell'Età del
bronzo, quando si attribuivano tali caratteristiche alla Madre Terra.
Nel New Hampshire abbiamo le montagne chiamate Uncanoonucks, nome
tradotto dall'algonchino come "seno di donna". L'equivalente
in gaelico sarebbe Uchd-nan-Ugan, e il nome geografico sembra una
corruzione di tale espressione. I nostri antenati attribuivano anche
ad alte rocce cilindriche un nome di simili origini, come il Fallo
di Kupe, ma non ha ancora trovato un equivalente di derivazione
celtica nel New England, benché non abbia dubbi di poterne
trovare.
Cowissewaschook è il nome algonchino d'una montagna nel New
Hampshire, che si dice significhi "picco coraggioso",
ed è evidentemente derivato da Cuiseach-stuc, che in gaelico
significa la stessa cosa. Così pure il nome Kearsage, che
indica lo stesso picco, significa "dalla punta aguzza"
e corrisponde al gaelico Cuimsich, con lo stesso significato.
Seguono nomi di luoghi che non sono direttamente connessi con la
geografia. Per esempio, Saco, che indica il lato meridionale, corrisponde
col gaelico seach e col latino siccus, entrambi col significato
di "secco", una qualità appropriata per una regione
in cui la pioggia e la neve arrivano di solito col vento del nord.
Ponemah è un nome algonchino di località algonchina
che significa "luogo di sosta" e sembra derivare dal gaelico
bonn-amuigh, "luogo di stazione permanente".
Si dice che il nome del lago Monomonock significhi "isola"
o "belvedere". Sembra corrispondere al gaelico Moine-manadh-ach,
che significa "posto isolato per guardare". Lo stagno
Pontanipo ("acqua fredda" in algonchino) ha lo stesso
significato del gaelico Punntaine-pol (letteralmente: "pozza
dal freddo che intorpidisce"). Il nome algonchino Natukko,
secondo Russell, significa "radura" e lo stesso senso
ha il gaelico Neo-tugha, che significa "scoperto". Il
lago Asquam ("posto acquatico piacevole") ha un corrispondente
gaelico in Uisge-amail, "acque per diporto".
Abbiamo illustrato l'argomento a sufficienza e sarebbe noioso proseguire
indefinitamente. Se desiderate studiare ulteriormente i toponimi,
in questo contesto celtico, potrete trovare utili i seguenti libri:
Macalpine's pronouncing Gaelic Dictionary, ed uno dei dizionari
algonchini pubblicati dall'U.S. Bureau of Ethnology.
Note:
1) Piccola imbarcazione celtica, capace d'imbarcare pochi
uomini, costruita su un'intelaiatura a traliccio, rivestita di pelli
cucite tra loro.
2) De Bello Gallico, libri III, XIII, I.
3) I greci le chiamavano hypozomata.
di Alberto Arecchi
liutprand@iol.it
www.liutprand.it




di Michael A. Cremo, Richard L. Thompson2. Archeologia Misterica
di Luc Bürgin3. Archeologia dell'impossibile
di Volterri Roberto4. Archeologia eretica
di Luc Bürgin5. Il libro degli antichi misteri
di Reinhard Habeck6. Rennes-le-Château e il mistero dell'abbazia di Carol
di Roberto Volterri, Alessandro Piana7. Il mistero delle piramidi lombarde
di Vincenzo Di Gregorio8. Le dee viventi
di Marija Gimbutas9. Come ho trovato l'arca di Noè
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